Cassazione Penale, Sez. 4, 14 novembre 2017, n. 51735 - Infortunio mortale con un'autogru dal gancio di sollevamento della linguetta non funzionante. Responsabilità del datore di lavoro


 

 

Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: CAPPELLO GABRIELLA Data Udienza: 08/11/2017

 

Fatto

 

1. La Corte d'appello di Bologna ha confermato la condanna dell'imputato G.C., quale Presidente della ditta Autotrasporti G.C. S.p.A. e datore di lavoro, per il reato di omicidio colposo ai danni del dipendente U.M., aggravato dalla violazione delle norme sulla sicurezza dei lavoratori, revocando le statuizioni civili, eccezion fatta per quelle relative a Z.O..
In particolare, si è contestato all'imputato, nella suindicata qualità, di avere cagionato la morte dell'U.M., per colpa generica (consistita in negligenza, imprudenza e imperizia) e specifica, in quanto:
- metteva a disposizione del lavoratore attrezzature inidonee ai fini di sicurezza (autogru con gancio di sollevamento della linguetta non funzionante e non sottoposta alla prescritta verifica annuale);
- ometteva di sottoporre il lavoratore alla necessaria formazione per l'utilizzo dell'autogrù, cosicché costui, giunto presso il cantiere edile "Complesso Crocetta", a bordo dell'automezzo SCANIA, dovendo scaricare bancali contenenti rotoli di guaine impermeabilizzanti, sganciava l'estremità della fune e sfilava i bracci della gru, posizionandoli a 19 mt. dal suolo, dopodiché, con radiocomando, azionava il verricello portando il gancio di sollevamento, con linguetta non funzionante, in corrispondenza dell'alloggiamento della forca, che doveva sollevare il primo bancale e, mentre stava iniziando il sollevamento del bancale con fune in tensione, a causa della linguetta non funzionante, dal gancio della gru fuoriusciva l'anello di sollevamento e il bozzello colpiva al capo U.M., causandone l'immediato decesso (in Parma il 27 maggio 2009).
2. Questa, in sintesi, la vicenda descritta nell'impugnata sentenza.
Il fatto è stato ricostruito grazie alle testimonianze, agli accertamenti dei verbalizzanti, alle consulenze tecniche e ai documenti (fotografici e sanitari) acquisiti agli atti. In base a tale compendio, la Corte di merito ha ritenuto incontestato che, nell'occorso, l'evento lesivo fosse stato immediata conseguenza del mancato funzionamento della linguetta che doveva chiudere il gancio della gru, utilizzata dal lavoratore per operare lo scarico del materiale, controversa essendo, invece, la ragione di tale mancato funzionamento. La difesa riteneva, infatti, che il lavoratore avesse operato lateralmente, così disassando le molle della linguetta; laddove, secondo la prospettazione accusatoria, la linguetta era stata ab origine non funzionante, anche a causa della grave usura del fine corsa, non più idoneo al suo scopo.
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il G.C., formulando quattro motivi.
Con il primo, ha dedotto mancanza della motivazione in ordine ad un punto rilevante. Questo il ragionamento del ricorrente: la Corte di merito aveva ritenuto non provata nel processo la riconducibilità del mancato funzionamento del componente al difetto del fine corsa elettrico, ma anche indimostrata l'incidenza causale dell'angolazione laterale impressa dal lavoratore all'innesto della carrucola, prospettata a difesa. Tuttavia, pur non individuando alcuna diversa causa della riscontrata problematica, aveva comunque ritenuto provato il malfunzionamento della linguetta al momento dell'evento lesivo e, conseguenzialmente, ritenuto che tale difetto non fosse temporaneo e quindi imprevedibile, bensì strutturale ed imputabile quindi al datore di lavoro, omettendo, tuttavia, di spiegare le rassegnate conclusioni.
Con il secondo, ha dedotto vizio di motivazione contraddittoria in ordine all'elemento soggettivo della colpa, la cui esistenza assume esser stata affermata sulla scorta di un travisamento probatorio, avendo il giudice ravvisato la rimproverabilità della condotta nelle modalità di aggancio della carrucola, giudicate scorrette e imprudenti rispetto a quelle da utilizzarsi (utilizzo di un componente, c.d. grillo) in base al manuale delle istruzioni che, invece, nulla prescriveva sul punto, essendo quel componente prescritto per un altro modello di gru.
Cosicché, non poteva essere mosso al titolare della posizione di garanzia alcun rimprovero, atteso che le modalità di posizionamento erano conformi alle prescrizioni fornite dalla casa costruttrice, altresì rilevando che il teste G., dipendente di quest'ultima, aveva affermato che solo tre mesi prima dell'accaduto erano state effettuate alcune sostituzioni (la parte riporta alcuni stralci della testimonianza in cui si accenna ai fermi di sicurezza e si parla del gancio girevole).
Con il terzo motivo, ha dedotto violazione di legge in relazione all'All. VII del d.lgs. 81 del 2008, assumendo che l'obbligo di verifica annuale riguardava solo le attrezzature che hanno un anno di fabbricazione non antecedente ai 10 anni, quella utilizzata dai lavoratore nell'occorso risalendo al novembre 1999 e, dunque, al momento dell'infortunio non essendo ancora decorsi i 10 anni che ne richiedevano la sottoposizione a verifiche più ravvicinate.
Sotto altro profilo, la parte rileva che la Corte ha ritenuto la gru rientrante tra quelle utilizzate in settori per i quali è previsto l'obbligo di verifica di cui si tratta, laddove la ditta dell'imputato si occupa di trasporti e consegna merci, rimanendo del tutto irrilevante la circostanza che il trasporto in questione fosse avvenuto in un cantiere edile.
Infine, con il quarto motivo, ha dedotto mancanza di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, rispetto al quale, in caso di reato colposo, non potrebbe rinviarsi ai plurimi profili nei quali si articola il rimprovero, atteso che, in difetto di colpa, saremmo al cospetto di una condotta penalmente irrilevante.

 

Diritto

 


1. Il ricorso va rigettato.
2. Alla luce del compendio probatorio richiamato in sentenza, la Corte territoriale ha preliminarmente ricostruito la vicenda, rilevando che:
- la parte lesa si era recata con l'autocarro munito di gru presso un cantiere edile per scaricare alcuni bancali;
- la morte era stata conseguenza della caduta del bozzello sul capo della vittima, a sua volta riconducibile alla fuoriuscita del gancio della gru dall'anello di sollevamento;
- il lavoratore aveva correttamente sbloccato la gru, inserendo il gancio nell'apposita sede, posizionandosi sopra il carico e mettendo in tensione la fune;
- il carico non era stato sollevato e, a quel punto, era invece caduta la carrucola;
- gli ispettori intervenuti in sede di sopralluogo avevano rilevato alcuni malfunzionamenti del macchinario (dispositivo di chiusura all'imbocco del gancio di sospensione palesemente fuori uso e sistema di fine corsa del verricello non correttamente funzionante) che avevano prodotto sollecitazioni anomale aggravanti la situazione del macchinario;
- i testi oculari avevano confermato che la carrucola era agganciata quando la parte lesa aveva sfilato il braccio della gru.
Quanto ai pareri tecnici, la Corte bolognese ha precisato che i consulenti del P.M. e delle parti civili avevano ricondotto la caduta del bozzello al malfunzionamento della linguetta di sicurezza del gancio di sospensione (che ne aveva deterninato il blocco al suo interno, determinando lo sfilamento della carrucola) e al mancato funzionamento del fine corsa. Inoltre, nella fase dell'assemblaggio del macchinario, non erano state seguite le istruzioni della casa costruttrice (il collegamento della carrucola alla testa del braccio era stato realizzato avvalendosi del solo grillo o direttamente a quest'ultima, anziché con il grillo e con un gancio, con conseguente aumento delle oscillazioni), altresì rilevando che il macchinario era difettoso. La difesa, invece, l'aveva ricollegata all'Inserimento laterale della carrucola nel gancio da parte della vittima (a causa del quale la molla di ritorno si era inceppata, impedendo alla linguetta di tornare alla posizione corretta, accadimento sul quale il G.C. non avrebbe potuto esercitare alcun potere di controllo).
Alla luce del compendio probatorio e dei profili in contestazione, il giudice dell'appello ha dunque precisato che l'incertezza aveva riguardato il collegamento tra il mancato funzionamento della linguetta e il comprovato difetto del fine corsa: su tale circostanza, infatti, si erano registrate le opposte posizioni dei consulenti della difesa e delle parti civili, ma anche il silenzio del C.T. del P.M. e la testimonianza S., il quale - in sede di immediato sopralluogo - aveva escluso tale collegamento.
Tuttavia, nella sentenza si richiama espressamente l'affermazione del C.T. del P.M. in udienza, allorché, richiesto dal giudice (se, nel caso in cui la linguetta fosse stata perfettamente funzionante, pure in presenza dei movimenti anomali, non si sarebbe verificata la caduta del carico), quegli aveva replicato fermamente che ciò non sarebbe avvenuto, così confermando, secondo la Corte d'appello, che il mancato funzionamento del dispositivo era da ricondursi ad un difetto dello stesso. Sul punto, peraltro, la Corte ha pure evidenziato la carenza di riscontri all'assunto difensivo che attribuiva pregnante rilievo al posizionamento laterale della carrucola nel gancio, sottolineando altresì la non plausibilità di una simile spiegazione anche perché, ove un presidio perfettamente efficiente si deformasse sol perché azionato lateralmente e non frontalmente dal lavoratore, ciò varrebbe quanto confermare la inidoneità assoluta di quel macchinario.
Ma, anche a voler ritenere indimostrata la non incidenza del malfunzionamento del fine corsa sull'evento lesivo, per la Corte di merito, sarebbero state dimostrate comunque le pessime condizioni del sistema (con fili decotti, sporchi e ossidati, come aveva riferito il teste ispettore B.) e la critica condizione di manutenzione della gru, affermando conclusivamente che la linguetta era certamente difettosa e che tale difetto non era temporaneo, né imprevedibile, ma rappresentava una carenza strutturale certamente rimproverabile al datore di lavoro.
Quanto, poi, alla modalità di aggancio realizzata nell'occorso, sia il C.T. del P.M., che il teste ispettore S. ne avevano ritenuto la inadeguatezza, rilevando che era stato scorretto e imprudente, considerata la tipologia del carico e l'utilizzo del bozzello, agganciare l'anello di quest'ultimo al gancio posto alla sommità della gru, dovendo la puleggia essere agganciata con un componente che la tenesse fissa, laddove il gancio utilizzato non era dotato di un funzionante dispositivo di chiusura all'imbocco, come rilevato anche dal teste ispettore B., il quale aveva aggiunto che il sistema utilizzato era diverso da quello descritto nel libretto di istruzioni.
Pertanto, alla luce dei pareri conformi dei consulenti della parte pubblica e delle parti civili, e delle testimonianze degli ispettori del lavoro, l'errata modalità di aggancio del carico aveva avuto una evidente rilevanza causale, perché, alla luce dello svolto giudizio contro-fattuale, se la regola di cautela ribadita dai testi e dai consulenti citati fosse stata ottemperata, l'infortunio non sarebbe avvenuto, l'ottemperanza alla stessa essendo ancor più doverosa in un caso in cui era stato rilevato il malfunzionamento della linguetta.
Per restare al tema delle violazioni contestate, la Corte ha poi ritenuto integrata anche quella della omessa revisione annuale del macchinario (All. VII del d.lgs. 81/2008), trattandosi di apparecchi di sollevamento materiali con portata superiore a 200 Kg. non azionati a mano, di tipo mobile o trasferibile, con modalità di utilizzo riscontrabili in settori di impiego, quali costruzioni, siderurgico, portuale, 
Quanto, invece, all'obbligo di formazione, la Corte territoriale, attingendo ai dati fattuali indicati in sentenza, ne ha ritenuto integrata la violazione da parte del datore di lavoro: il lavoratore, infatti, non aveva partecipato ad alcun corso, aveva ricevuto una formazione del tutto generica, più formale che altro, priva di informazioni specifiche e di addestramento; laddove un corso di formazione era stato significativamente approntato solo dopo l'infortunio.
Quel giudice riteneva inoltre del tutto irrilevante la condotta, eventualmente imprudente, del lavoratore, atteso che, anche ove ciò avesse ricevuto conferma, avrebbe anche confermato l'inadeguatezza della sua formazione, con conseguente responsabilità di chi ad essa doveva dar corso, il che sgombrava il campo anche dalla rilevanza della tesi difensiva che faceva leva sul posizionamento laterale della carrucola.
Conclusivamente, quel giudice ha rilevato che le complessive modalità di esecuzione del lavoro da parte della vittima (che operava anche senza casco e nel raggio d'azione del carico) attestavano un modus operandi sostanzialmente approssimativo, rispondente più all'esigenza datoriale della celerità, che a quella della sicurezza dei lavoratori, come pure comprovato dai turni di lavoro svolti dalla vittima (una media di 13,5 ore lavorative al giorno, con punte anche di 16, il giorno dell'evento essendo la vittima addirittura partita alle due di notte).
Proprio muovendo dalla scarsa sensibilità così dimostrata dall'imputato nell'assolvimento degli obblighi impostigli dalla posizione di garanzia ricoperta, la Corte territoriale ha tratto la conclusione della non meritevolezza delle circostanze attenuanti generiche, la sola incensuratezza non potendone giustificare il riconoscimento, a fronte dei molteplici profili di colpa ascritti, indicativi di una particolare gravità della condotta.
3. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Deve, intanto, rilevarsi che, in maniera assai suggestiva, parte ricorrente ha evidenziato il gap motivazionale circa le cause del malfunzionamento della linguetta, avendo la Corte disatteso la tesi difensiva (del posizionamento laterale della carrucola), ma anche quella prospettata dall'accusa (del difetto del fine corsa elettrico) assumendo che quel giudice non avesse indicato la causa alternativa di detto, comprovato malfunzionamento.
Tuttavia, così argomentando, ha proceduto ad una lettura della sentenza parcellizzata e pertanto privata del suo complessivo significato, avendo la Corte territoriale chiaramente operato una verifica della prova di resistenza, addivenendo alla conclusione che, in ogni caso, sarebbero residuati profili di colpa (contestata, si badi bene, anche nella forma generica) in capo al datore di lavoro che aveva consegnato al lavoratore, non formato, un macchinario certamente difettoso.
In questa sede, può solo constatarsi che la Corte territoriale ha - espressamente e con disarmante chiarezza (il che fa venir meno ipso facto la sussistenza dello specifico vizio denunciato) - collegato al malfunzionamento della linguetta la caduta del carico che ha determinato la morte del lavoratore, ad un componente, cioè, del complesso macchinario in dotazione. E ciò ha fatto attraverso una ricostruzione che non ha mancato di evidenziare l'incertezza di partenza (che cioè quel malfunzionamento fosse dipeso effettivamente dal difetto del fine corsa), superandolo, tuttavia, alla luce delle prove esaminate (in particolare, del parere del C.T. del P.M. e della testimonianza dell'ispettore S.) che avevano consentito di accertare: che al momento del fatto lesivo la linguetta era malfunzionante; che il suo corretto funzionamento avrebbe certamente scongiurato la caduta del carico; che il malfunzionamento riguardava un componente di un macchinario in condizioni manutentive definite critiche, circostanza da cui ha poi tratto il convincimento che il difetto della linguetta non era stato temporaneo o imprevedibile, bensì strutturale, come tale direttamente rimproverabile al datore di lavoro.
3.1. Una volta operata tale premessa, non può non rilevarsi come le doglianze formulate con i motivi all'esame finiscano per assegnare al ricorso una funzione che ne snatura le caratteristiche di strumento di censura critica e argomentata del ragionamento svolto dal giudice, che pone la doglianza specifica (mancanza di motivazione) al di fuori dei parametri di ammissibilità, secondo i canoni di cui agli artt. 581 e 591, cod. proc. pen.
I motivi devono infatti indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Pertanto, il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione è indefettibilmente il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta [cfr., in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013 Ud. (dep. 21/02/2013), Rv. 254584; Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016 Cc. (dep. 22/02/2017 ), Galtelli, Rv. 268822, sui motivi d'appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione].
A tale protocollo, nel caso di specie, la parte non si è puntualmente attenuta, non avendo considerato la struttura complessiva della motivazione, con la quale il giudice, dando conto dell'incertezza su un dato fattuale, ha però confermato la certezza del decorso causale, sviluppando un ragionamento probatorio che si sottrae alla dedotta censura.
3.2. Il secondo motivo è infondato.
La Corte di merito ha descritto, attraverso un richiamo delle prove raccolte, la modalità di aggancio del carico che, nell'occorso, il lavoratore aveva osservato, giudicando, sempre in conformità alle stesse (C.T. del P.M., testimonianze ispettori S. e B.) che essa era stata scorretta, oltre che imprudente, atteso che, nel caso di specie, l'alloggiamento dell'anello del bozzello al gancio posto sulla sommità della gru non aveva consentito di tenere fissa la puleggia, e il gancio di sollevamento non era provvisto di un funzionante dispositivo di chiusura all'imbocco. Inoltre, quel giudice ha dato atto che il sistema seguito era diverso da quello descritto nel manuale d'istruzioni e che una maggior cautela era doverosa in un caso in cui vi era un malfunzionamento della linguetta.
La parte deduce una contraddizione in tale ragionamento, rilevando il travisamento della prova documentale (manuale delle istruzioni del macchinario), in cui non si faceva alcun cenno all'Inserimento del "grillo", del quale il teste B. aveva parlato, cosicché non poteva dirsi violata la norma cautelare contestata, essendo stata rispettata la procedura descritta dal costruttore.
Il ragionamento svolto dalla Corte territoriale non è contraddittorio e la parte non considera che l'uso di un macchinario deve innanzitutto avvenire in conformità alle regole di comune prudenza, tutte le volte in cui l'uso che se ne fa in concreto imponga cautele ulteriori rispetto a quelle normalmente richieste. In tal senso, questa Corte è già intervenuta, spiegando efficacemente che il datore di lavoro è responsabile delle lesioni occorse all'operaio in conseguenza dell'uso del macchinario, il quale, pur non presentando alcun difetto di costruzione o di montaggio, per come in concreto utilizzato ha comunque esposto i lavoratori a rischi del tipo di quello in concreto realizzatosi (cfr. sez. 4 n. 22819 del 23/04/2015, Rv. 263498; n. 49670 del 23/10/2014, Rv. 261175).
Trattasi di principi che si pongono in linea di continuità con quanto già precisato da questa stessa Sezione, che - in ipotesi di lesioni personali derivanti da infortunio sul lavoro per effetto dell'uso di un macchinario - ha riconosciuto la responsabilità colposa anche del venditore del macchinario medesimo, in ipotesi di infortunio riconducibile alla inadeguatezza dei congegni antinfortunistici, ritenendo irrilevante, a discolpa del venditore stesso, la presenza di una formale certificazione attestante la rispondenza del macchinario alle prescritte misure di sicurezza (cfr. sez. 4 n. 18139 del 17/04/2012, Rv. 253771); e che ha pure ravvisato l'obbligo del datore di lavoro di accertarsi che i macchinari messi a disposizione dei lavoratori siano sicuri ed idonei all'uso, con la conseguenza che costui risponderà, in caso di omessa verifica, dei danni subiti da questi ultimi per il loro cattivo funzionamento e ciò a prescindere dalla eventuale configurabilità di autonome concorrenti responsabilità nei confronti del fabbricante o del fornitore dei macchinari stessi (cfr. sez. 4 n. 6280 dell'11/12/2007 Ud. (dep. 08/02/2008), Rv. 238959).
Alla luce di tali principi, deve quindi essere disatteso - con riferimento al profilo della causalità della colpa direttamente evocato dalla tesi difensiva - l'assunto secondo cui, risultando l'ancoraggio effettuato dal lavoratore U.M. conforme alle prescrizioni impartite dal costruttore, nessun rimprovero poteva muoversi al datore di lavoro, non essendo dal medesimo esigibile la condotta alternativa descritta nella sentenza.
Ma non ci si può esimere dal rilevare come, ancora una volta, parte ricorrente abbia proposto una lettura del ragionamento probatorio utilizzato dal giudice parcellizzata e basata sulla scomposizione dei vari passaggi argomentativi, che finisce per disperderne l'effettivo significato: la Corte di merito, infatti, ha ritenuto, sulla scorta delle prove raccolte (consulenza del P.M. e testimonianza S.), scorretto l'ancoraggio del carico al sistema di sollevamento seguito dal lavoratore nell'occorso, tenuto conto dell'utilizzo concreto del macchinario, evocando a chiusra del suo ragionamento anche le considerazioni del teste B. (il quale aveva affermato che detto sistema era diverso rispetto a quello descritto dal costruttore nel manuale).
Nessun travisamento probatorio può essere attribuito al giudice, ma semmai l'indicazione di un elemento fattuale che, anche ove diverso da quello risultante dal documento richiamato, non muta di una virgola il giudizio già formulato sulla scorta di un parere tecnico e di quanto caduto sotto diretta osservazione dell'organo ispettivo.
3.3. Anche il terzo motivo è infondato.
La Corte d'appello, sulla scorta di un apprezzamento di merito, ancorato alle risultanze accertate dai consulenti e dagli ispettori del lavoro, ha confermato la sussistenza della violazione dell'allegato VII al d.lgs. 81 del 2008, relativo alle verifiche delle attrezzature di lavoro, ritenendo doverosa, nel caso di specie, tenuto conto della tipologia del trasporto, dell'ambiente lavorativo (un cantiere edile), della portata del carico e della tipologia del macchinario, la verifica annuale di funzionamento.
La parte ha contestato tale conclusione, ritenendo, sulla scorta dell'oggetto sociale della G.C. S.p.A. (trasporti e consegna merci) e della data di fabbricazione del mezzo (per sei mesi rientrante nel limite dei dieci anni) che il macchinario dovesse essere sottoposto solo a verifica biennale.
Trattasi, a ben vedere, non di una violazione di legge, come dedotta dalla parte, bensì della prospettazione di una lettura degli elementi fattuali, diversa rispetto a quella datane dalla Corte d'appello sulla scorta di precise indicazioni, del tutto coerenti con una delle ipotesi cui l'ALL. VII riconnette la necessità di una verifica più ravvicinata.
3.4. Deve rilevarsi, infine, la manifesta infondatezza del quarto motivo di ricorso, con il quale si è addirittura dedotta la mancanza della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, palesandosi una totale indifferenza verso le ragioni ampiamente esposte sul punto nella sentenza impugnata. Rispetto ad esse, infatti, consta l'obiezione secondo cui i profili di colpa (la cui pluralità è stata sottolineata dal giudice a conferma della non meritevolezza del beneficio), siccome fondanti il titolo della responsabilità penale, non potrebbero essere valutati per giustificare il diniego della mitigazione del trattamento sanzionatorio.
Il che val quanto dire che, a tali fini, non assumerebbe rilevanza la stessa gravità del reato, purtuttavia espressamente contemplata tra i parametri cui il legislatore ha agganciato l'esercizio del potere discrezionale del giudice nella individuazione della pena (cfr. art. 133, cod. pen.). 
In via conclusiva, peraltro si rileva, quanto all'assolvimento dell'obbligo motivazionale del giudice in tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, che la ratio della disposizione di cui all'art. 62 bis cod. pen. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (cfr. sez. 2 n. 3896 del 20/01/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/05/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/04/2013, Rv. 256201), rientrando essa nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (cfr. sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737), non essendo neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all'art. 133 cod. pen., ma sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (cfr. sez. 1 n. 33506 del 07/07/2010, Rv. 247959).
Ciò che la Corte territoriale ha fatto in maniera del tutto esaustiva, non mancando di stigmatizzare, tra l'altro, anche il negativo contegno datoriale dell'imputato, tratto da elementi di fatto che avevano confermato la precedenza da costui accordata ai ritmi produttivi, rispetto ai presidi di sicurezza a tutela della salute dai propri dipendenti.
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile Z.O. che si liquidano in complessivi euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
 

 

P.Q.M.

 


rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali; lo condanna inoltre a rimborsare alla parte civile Z.O. le spese sostenute per questo giudizio che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Deciso in Roma il giorno 08 novembre 2017