Categoria: Cassazione civile
Visite: 5246

Cassazione Civile, Sez. Lav., 22 novembre 2017, n. 27807 - Danno biologico conseguente ad infortunio sul lavoro. Rigetto


 

Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: BERRINO UMBERTO Data pubblicazione: 22/11/2017

 

 

Rilevato
che la Corte d'appello di Lecce (sentenza 21.3.2011) ha rigettato l'impugnazione proposta da A.L. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede che le aveva respinto la domanda volta alla condanna dell'Inail al riconoscimento in suo favore dell'indennizzo per danno biologico conseguente ad infortunio sul lavoro;
che la Corte territoriale ha spiegato che l'appello era infondato in quanto all'esito della consulenza d'ufficio espletata in secondo grado era stato possibile accertare che non vi era stato un aggravamento del grado di invalidità permanente del 10% già riconosciuto dall'Inail;
che per la cassazione della sentenza ricorre A.L. con un solo motivo;
che l'Inail resiste con controricorso;
 

 

Considerato
che con un solo motivo la ricorrente denunzia l'omessa o insufficiente motivazione in ordine alla conferma dell'accertamento in sede amministrativa in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., nonché la violazione dell'art. 112 c.p.c., oltre che la contraddittorietà della motivazione e l'omessa applicazione o violazione delle tabelle Inail di cui al DM 12/7/2000, in relazione all'art. 360 n. 3 c.pc.;
che in pratica la ricorrente contesta la motivazione con la quale la Corte territoriale ha confermato l'esito del procedimento amministrativo in ordine all'entità del rilevato grado di invalidità ed imputa allo stesso organo giudicante di essersi limitato a richiamare le valutazioni medico-legali espresse dal consulente d'ufficio nel corso del giudizio d'appello;
che, invece, secondo il presente assunto difensivo, la Corte d'appello avrebbe dovuto esplicitare in modo analitico in quali termini aveva tenuto conto del sistema tabellare normativo vigente in materia e spiegare, per ciascuna patologia conseguente all'infortunio sul lavoro, la percentuale assegnata in base alle predette tabelle;
che, secondo la A.L., in sede di osservazioni alla consulenza d'ufficio il perito di parte aveva tenuto dei criteri tabellari vigenti, pervenendo alla diversa conclusione della sussistenza di un grado di invalidità da infortunio sul lavoro del 15%;
che il motivo è infondato, avendo la Corte territoriale spiegato con congrua motivazione che il perito d'ufficio di secondo grado, nel confermare il grado di invalidità permanente del 10% già riscontrato in sede amministrativa, si era basato sulla documentazione sanitaria allegata, oltre che su di un'accurata visita personale dell'appellante, vale a dire su dati obiettivi; che la stessa Corte ha, altresì, evidenziato che, a fronte delle ineccepibili valutazioni di ordine tecnico-scientifico eseguite dal consulente d'ufficio, l'appellante si era limitata a formulare osservazioni critiche alquanto generiche, apparendo le stesse come la semplice riproposizione di questioni già esaminate e vagliate dal consulente d'ufficio;
che la Corte d'appello ha anche chiarito che la ricorrente non aveva nemmeno addotto nuovi e probanti elementi obiettivi, tali da poter inficiare la validità delle risultanze peritali d'ufficio;
che questa Corte ha già avuto occasione di ribadire (Cass. Sez. 6 - L, Ordinanza n. 1652 del 3.2.2012) che "nel giudizio in materia d'invalidità il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione";
che nella fattispecie, a fronte della congrua motivazione espressa dalla Corte territoriale in merito alle condivise conclusioni peritali medico-legali, ritenute corrette sul piano tecnico-scientifico, ed in presenza della rilevata genericità delle censure mosse a tal riguardo dalla ricorrente, quest'ultima si limita a contrapporre, nel presente giudizio, la valutazione espressa dal proprio consulente di parte a quella formulata dal consulente d'ufficio e a dolersi in modo generico della mancata indicazione dei criteri tabellari adottati dal perito d'ufficio senza specificare, da parte sua, la fonte dell'asserita devianza dai canoni della scienza medica;
che, pertanto, il ricorso finisce per tradursi in un mero tentativo di rivisitazione del giudizio espresso dalla Corte di merito in ordine alla determinazione del grado di invalidità conseguente all'infortunio sul lavoro, operazione, questa, non consentita nel giudizio di legittimità laddove, come nella fattispecie, la contestata decisione risulti adeguatamente motivata e riposi su argomentazioni immuni da rilievi di ordine logico-giuridico;
che, in definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata, in base al principio della soccombenza, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di € 1800,00, di cui € 1600,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma il 19 luglio 2017