Cassazione Civile, Sez. Lav., 22 novembre 2017, n. 27809 - Aggravamento degli esiti di un infortunio o malattia: divieto di cumulo tra rendita ed indennità temporanea


 

In tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, qualora si aggravino, determinando una inabilità temporanea assoluta, gli esiti di un infortunio o di una malattia professionale, per i quali viene già corrisposta una rendita per inabilità permanente parziale, non sussiste il diritto ad una indennità giornaliera, non potendo tali prestazioni cumularsi, mentre eventuali ricadute nella malattia o riacutizzazioni degli esisti dell'infortunio, che determinino l'impossibilità temporanea di attendere al lavoro, possono essere prese in considerazione, ove aggravino stabilmente la condizione del lavoratore, in sede di revisione della rendita di inabilità


Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: CALAFIORE DANIELA Data pubblicazione: 22/11/2017

 

 

 

Rilevato

 

Che M.B., titolare di rendita di inabilità per infortunio sul lavoro occorsogli il primo agosto 2000 nella misura del 18% con decorrenza dal sei marzo 2003, ha chiesto il riconoscimento di un ulteriore periodo di inabilità temporanea assoluta rispetto a quello riconosciutogli tra il mese di agosto 2000 ed il 6 marzo 2003, nonché di maggiori postumi permanenti successivi a tale periodo;
che il Tribunale di Lucca ha accolto in parte la domanda, riconoscendo maggiori postumi nella misura del 25% con decorrenza dal 18 novembre 2007 e l'indennità temporanea assoluta dal 7 marzo 2003 al 2 febbraio 2006 e dal 4 aprile 2007 al 18 novembre 2007, con sentenza che è stata confermata dalla Corte d'appello di Firenze sull'implicito presupposto della irrilevanza della circostanza che il M.B. già percepiva la rendita per inabilità permanente dal sei marzo 2003;
che avverso tale sentenza ricorre per cassazione l'INAIL affidandosi a due motivi di ricorso cui resiste con controricorso, illustrato da memoria, M.B.;
che il P.G. non ha presentato conclusioni;
 

 

Considerato
Che con i due motivi di ricorso, rispettivamente riferiti alla violazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 74 ed 89, nonché al vizio di motivazione, si prospetta sostanzialmente la violazione del divieto di cumulo fra l'indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta e la rendita in godimento sin dal 6 marzo 2003, essendo stato accertata dalla c.t.u. una situazione di inabilità temporanea assoluta addirittura sino al novembre 2007 ed in difetto di alcuna congrua motivazione sul punto da parte della sentenza impugnata che si era limitata a ricostruire la vicenda con uno spostamento in avanti della decorrenza della rendita;
che il ricorso è fondato in conformità ai principi più volte espressi da questa Corte (cfr. Cass. n. 11145/2004, Cass. n. 1380/2005, cui adde Cass.n. 8308/2006; 27676/2011 ) secondo cui, in tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, qualora si aggravino, determinando una inabilità temporanea assoluta, gli esiti di un infortunio o di una malattia professionale, per i quali viene già corrisposta una rendita per inabilità permanente parziale, non sussiste il diritto ad una indennità giornaliera, non potendo tali prestazioni cumularsi, mentre eventuali ricadute nella malattia o riacutizzazioni degli esisti dell'infortunio, che determinino l'impossibilità temporanea di attendere al lavoro, possono essere prese in considerazione, ove aggravino stabilmente la condizione del lavoratore, in sede di revisione della rendita di inabilità, D.P.R. n. 1124 del 1965, ex art. 83 salva la tutela del lavoratore predisposta in via generale dall'art. 2110 c.c. a mezzo delle prestazioni per malattia a carico dell'INPS;
che nella specie, come si legge nella sentenza impugnata, M.B. dal sei marzo 2003 godeva di una rendita di inabilità rapportata al grado del 18% sicché non poteva cumulare tale prestazione con quella prevista dagli artt. 66 e 68, cit. T.U. in casi di inabilità temporanea assoluta; che d'altra parte, nel caso di specie, non sussistevano neppure le condizioni previste dall'art. 89, cit. T.U. per far luogo alla corresponsione di una integrazione della rendita di inabilità fino alla misura massima dell'indennità per inabilità temporanea assoluta (cd. integrazione della rendita), posto che, ai sensi della suddetta disposizione di legge, tale integrazione può essere riconosciuta solo nel caso in cui, dopo la costituzione della rendita, l'infortunato debba sottoporsi a speciali cure mediche e chirurgiche disposte dall'INAIL in quanto ritenute utili per la restaurazione della capacità lavorativa, condizioni, queste, che non si riscontrano nel caso in esame; che, infine, anche il secondo motivo è fondato giacché la Corte d'appello di Firenze, al fine di aggirare la conseguenza del divieto di cumulo tra rendita ed indennità temporanea richiamato dalll'Inail in appello, ha sbrigativamente alluso ad un contenuto della domanda implicitamente esteso sino a contestare la legittimità della decorrenza della rendita già fruita; che, tuttavia, la motivazione sul punto è vistosamente in contrasto con le stesse premesse in fatto riportate in sentenza e, dunque, è viziata in quanto ha omesso di considerare il fatto controverso e decisivo per la controversia che una rendita era già in erogazione sin dal marzo 2003, con la conseguenza che al più, in presenza dei denunciati aggravamenti sanitari, si una revisione ai sensi dell'art. 83 t.u. n. 1124/1965 ma non l'indennità temporanea;
che, correttamente, dunque è stato denunciato il vizio di cui all'art. 360 n.5 cod.proc.civ., posto che questa Corte di cassazione ha più volte precisato che l'interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che era stata avanzata, tale statuizione, ancorché in ipotesi erronea, non può essere censurata per ultrapetizione, atteso che il suddetto difetto non è logicamente verificabile prima di avere accertato l'erroneità della relativa motivazione, ma detto errore può concretizzare solo una carenza nell'interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio motivazionale (vd. Cass. 21874/2015; 2630/2014); che, in conclusione, il ricorso va accolto e, non essendo necessario alcun ulteriore accertamento, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda;
che le spese dell'intero processo vanno compensate attesa la difformità degli esiti del presente grado di legittimità rispetto a quelli dei gradi di merito ed alle peculiarità della vicenda sanitaria.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da M.B. ; dichiara compensate le spese dell'intero processo.
Così deciso nella Adunanza camerale del 19 luglio 2017.