Cassazione Civile, Sez. Lav., 12 dicembre 2017, n. 29767 - Neoplasia polmonare, attività lavorativa e tabagismo. Il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni


Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: MANCINO ROSSANA Data pubblicazione: 12/12/2017

 

 

Rilevato
che, con sentenza in data 17 gennaio 2012, la Corte di Appello di Perugia ha riformato la sentenza di primo grado, che aveva rigettato la domanda presentata dall'attuale ricorrente, jure successionis, per il diritto alla rendita e accolto la domanda di rendita ai superstiti, a decorrere dalla data di notifica del ricorso, per la neoplasia polmonare contratta dal coniuge, B.P., nell'esercizio dell'attività lavorativa alle dipendenze della SOGEMA di Città di Castello (azienda produttrice di macchine agricole), quale addetto ai forni, alle forge, alla saldatura dei metalli, dal 1963 la 1993;
che per la Corte di merito, nella dichiarata adesione alle conclusioni rassegnate dall'ausiliare officiato in giudizio, non era risultata raggiunta la convinzione, quantomeno di concausa altamente probabile, delle condizioni ambientali di svolgimento della prestazione lavorativa nella genesi della neoplasia polmonare, sulla base del rilievo per cui, a fronte della certezza che il B.P. era tabagista, non si aveva contezza alcuna, per assenza di accertamenti tecnici svolti all'epoca, dell'eventuale tossicità della prestazione di lavoro; che avverso tale sentenza R.M. ha proposto ricorso affidato a due motivi, ulteriormente illustrato con memoria, al quale ha opposto difese, con controricorso, l'INAIL;
 

 

Considerato
4. che, deducendo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo della controversia, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte di merito valutato in modo errato e insufficiente l'accertamento svolto dall'ausiliare officiato in giudizio, negando che l'ausiliare avesse ritenuto sussistente l'elevata probabilità di eziopatogenesi lavorativa, laddove l'elaborato peritale, diversamente da quanto statuito, proprio in ragione delle caratteristiche dell'ambiente di lavoro aveva concluso nel senso dell'elevata probabilità dell’esposizione del lavoratore a inquinanti tossici definiti come cancerogeni certi e che tale fattore ambientale aveva assunto, accanto al tabagismo, un ruolo significativo nella genesi della malattia (primo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 3,4,85 d.P.R. n.1124/1965, del d.P.R. n.336/1994 e dell'art. 41 cod.pen., per avere la Corte del gravame pronunciato in difformità dal consolidato principio secondo il quale solo nel caso in possa essere accertato con certezza che un fattore esterno, quale nella specie il tabagismo, abbia da solo cagionato la tecnopatia, si possa escludere l'esistenza del nesso causale con l'attività lavorativa svolta (secondo motivo);
5. che ritiene il Collegio si debba accogliere il ricorso;
6. che la consulenza tecnica, adeguatamente e puntualmente riprodotta nel ricorso per cassazione, è pervenuta a conclusioni di segno opposto da quanto statuito dalla Corte territoriale (che ha motivato la pronuncia dando atto di un'espressa adesione all'esito dell'indagine peritale) evidenziando che, proprio in ragione delle caratteristiche dell'ambiente di lavoro, il B.P., con elevata probabilità, era stato esposto a inquinanti tossici definiti come cancerogeni certi, quali idrocarburi policiclici aromatici, metalli pesanti, amianto, silice libera cristallina, rimarcando l'elevata probabilità di eziopatogenesi lavorativa;
7. che, del pari, l'attitudine tabagica o tabagismo del lavoratore è stato oggetto di disamina da parte dell'ausiliare con esito difforme dalla statuizione della Corte territoriale che, data per certa solo la predetta attitudine del lavoratore, ha formulato un giudizio di "non contezza alcuna... dell'eventuale tossicità della prestazione di lavoro" difformemente dalle conclusioni dell'ausiliare che ha rimarcato comunque, la significatività dei fattori occupazionali;
8. che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, in materia di nesso causale tra attività lavorativa e malattia professionale, trova diretta applicazione la regola contenuta nell'art. 41 cod.pen., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, per il quale va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento; solo se possa essere con certezza ravvisato l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l'infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi A l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge (da ultimo, Cass. 7 marzo 2017, n. 5704; 26 marzo 2015, n. 6105; Cass., 11 novembre 2014, n. 23990; Cass. 19 giugno 2014, n. 13954);
9. che, nella specie, la Corte d'Appello non si è attenuta a questi principi, atteso che, pur in presenza di una pluralità di cause, quale l'esposizione a sostanze nocive e il tabagismo, ha rigettato la domanda senza fornire adeguata motivazione sul perché, nonostante la pacifica prolungata esposizione del B.P. ad agenti patogeni (come idrocarburi policiclici aromatici, metalli pesanti, amianto, silice libera cristallina) che presentano coefficienti di rischio cancerogeno, come ampiamente argomentato dallo stesso consulente, abbia negato esservi contezza della tossicità dell'ambiente lavorativo e sia pervenuta alla conclusione dell'efficacia causale esclusiva del fumo;
10. che tale giudizio può essere espresso solo se con certezza si ravvisi l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni (cfr., in tal senso, Cass. n. 5704/2017 cit.);
11. che, inoltre, la malattia tumorale polmonare per esposizione a idrocarburi policiclici aromatici è malattia tabellata (n.30  d.P.R. n.336/1994 e ora n. 33 d.P.R. n.1124/1965) e al riguardo deve darsi continuità all'orientamento affermato da questa Corte, con la sentenza 26 luglio 2004, n. 14023, e ribadito, da ultimo, con la sentenza 21 novembre 2016, n. 23643, secondo il quale: «Dall’inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia (purché insorta entro il periodo massimo di indennizzabilità) deriva l’applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato, con il conseguente onere di prova contraria a carico dell’I.N.A.I.L., quale è, in particolare, la dipendenza dell’infermità da una causa extralavorativa oppure il fatto che la lavorazione non abbia avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia, di modo che, per escludere la tutela assicurativa è necessario accertare, rigorosamente ed inequivocabilmente, che vi sia stato l’intervento di un diverso fattore patogeno, che da solo o in misura prevalente, abbia cagionato o concorso a cagionare la tecnopatia. Tale regola deve essere, tuttavia, temperata in caso di malattia, come quella tumorale, ad eziologia multifattoriale, nel senso che la prova del nesso causale non può consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma deve consistere nella concreta e specifica dimostrazione, quanto meno in via di probabilità, della idoneità della esposizione al rischio a causare l'evento morboso, con la precisazione che in presenza di forme tumorali che hanno o possono avere, secondo la scienza medica, un'origine professionale, la presunzione legale quanto a tale origine torna ad operare, sicché l'I.N.A.I.L. può solo dimostrare che la patologia tumorale, per la sua rapida evolutività, non è ricollegabile all'esposizione a rischio, in quanto quest'ultima sia cessata da lungo tempo» (così Cass. n.23643/2016 c/t.);
che, in definitiva, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d'appello di Perugia, in diversa composizione, che si atterrà, nell'ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati;
che il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese di questo giudizio.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione.
Così deciso nella Adunanza camerale del 19 luglio 2017