Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 3, 15 dicembre 2017, n. 56039 - Appalto e violazioni antinfortunistiche durante i lavori edili


 

Presidente: FIALE ALDO Relatore: LIBERATI GIOVANNI Data Udienza: 05/07/2017

 

Fatto

 


1. Con sentenza del 28 giugno 2016 il Tribunale di Lodi ha condannato V.C., nella sua veste di titolare dell'impresa individuale Edil Manutenzioni di V.C. , alla pena complessiva di euro 4.000,00 di ammenda, in relazione a plurime violazioni alle disposizioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro (artt. 80, comma 3; 97, comma 1; 109; 126; 133, comma 1, d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81).
2. Avverso tale sentenza ha proposto appello la V.C., convertito in ricorso per cassazione, trattandosi di sentenza non appellabile, lamentando, con una prima censura, la propria mancata assoluzione per non aver commesso il fatto. 
Ha al riguardo lamentato l'omessa considerazione da parte del Tribunale dell'affidamento, in subappalto, alla Società cooperativa Gemina dei lavori edili nell'ambito dei quali erano state riscontrate le violazioni alle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro contestate, cosicché l'obbligo di redigere il piano di sicurezza doveva ritenersi gravante esclusivamente sulla impresa subappaltatrice, essendo i lavori stati subappaltati per intero ed essendo, di conseguenza, l'appaltatore subcomittente privo di qualsiasi potere di ingerenza in ordine alle modalità di esecuzione dei lavori e, dunque, anche privo di responsabilità riguardo alle eventuali violazioni di disposizioni antinfortunistiche.
Ha, inoltre, con una ulteriore censura, lamentato l'eccessività della pena inflittale, determinata senza tener conto del ruolo secondario svolto, sulla base del quale poteva essere ravvisata solamente una corresponsabilità a suo carico.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è inammissibile.
2. Le doglianze della ricorrente, oltre che intrinsecamente indeterminate, essendo fondate sulla generica prospettazione della sua estraneità alla esecuzione dei lavori edili nell'ambito dei quali vennero accertate le violazioni antinfortunistiche contestate, e sulla apodittica asserzione della eccessività della pena, e prive di confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, sono volte a conseguire una rivisitazione sia dell'accertamento dei fatti compiuto dal giudice del merito, sia della valutazione dallo stesso compiuta all'atto della determinazione della pena, non consentite nel giudizio di legittimità.
Alla Corte di cassazione è, infatti, preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362). Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata-, Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 2, n. 7380 in data 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Nel caso in esame il Tribunale ha fondato l'affermazione di responsabilità della ricorrente sulle risultanze del sopralluogo compiuto nel cantiere nel quale erano in corso i lavori affidati in appalto alla impresa della V.C., da cui era emerso che presso tale cantiere erano presenti un lavoratore dipendente della impresa della imputata e sei lavoratori dipendenti della Cooperativa Gemina, subappaltatrice dei medesimi lavori. Con tali rilievi, idonei a giustificare l'affermazione di responsabilità della ricorrente, quest'ultima ha omesso di confrontarsi, ribadendo genericamente la sua estraneità ai lavori, con la conseguente genericità della doglianza.
Altrettanto generica, oltre che volta a sindacare una valutazione compiuta in modo logico dal Tribunale, risulta essere la censura in ordine alla misura della pena, determinata tenendo conto della pluralità delle violazioni e della condotta della ricorrente successiva all'accertamento dei reati, con valutazione coerente, non sindacabile nel giudizio di legittimità.
3. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, stante la genericità e manifesta infondatezza delle censure cui è stato affidato, non consentite nel giudizio di legittimità.
L'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza impugnata, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e impedisce l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (Corte Cost. sentenza 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00.
In applicazione del decreto del Primo Presidente di questa Corte n. 84 del 2016 la motivazione è redatta in forma semplificata, in quanto il ricorso non richiede, ad avviso del Collegio, l'esercizio della funzione di nomofilachia e solleva questioni giuridiche la cui soluzione comporta l'applicazione di principi di diritto già affermati e che il Collegio condivide.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 5/7/2017