Categoria: Giurisprudenza sul d.lgs.n. 231/2001
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Corte di Assise di Taranto, ordinanza 04 ottobre 2016 - Responsabilità 231: ammessa la costituzione di parte civile nei confronti degli enti


La Corte di Assise di Taranto

 

 

 

sulle questioni afferenti i responsabili civili e le parti civili; sentite tutte le Parti; esaminati gli atti e le memorie;
 

 

OSSERVA
 

 

per comodità espositiva verranno trattate prima le questioni afferenti il responsabile civile e poi quelle relative alle partì civili, senza tuttavia, omettere di premettere alcune considerazioni su eccepite nullità di passaggi processuali prodromìci alla presente pronuncia.
 

 

a) Premessa: le questioni di nullità in generale e nello specifico.
Ritiene questa Corte che una premessa di ordine generale sia doverosa con riferimento da un lato al principio di tassatività delle nullità e di conservazione degli atti, e, dall'altro alla tematica, affrontata compiutamente da Cassazione SS.UU. 29.9.2011, n. 155, del c.d. abuso del processo.
Nel caso di specie ci si limita ad osservare che, quanto al primo profilo, nel nostro ordinamento deve ancora considerarsi vigente il disposto di cui all'art. 177, c.p.p.; quanto al secondo aspetto, si osserva, ad esempio che, con riferimento alle eccezioni sollevate - tutte esplicitamente contenute nella memoria deposita all'udienza del 27.7.2016 e sottoscritta dai seguenti difensori, Avvocati Omissis - relativamente alle questioni formali delle costituzioni di Parte Civile, le stesse sono state formulate previa consultazione della copia degli atti in PDF [...] rilasciata dalla cancelleria del GIP, come espressamente scritto a pagina 7 della citata memoria. Di fatto, all'esito della disamina degli atti e dei documenti effettuata in originale da questa Corte, molte - ma il punto sarà di seguito trattato in modo specifico - delle eccezioni sollevate sono risultate del tutto infondate (si pensi ad esempio che sono state sollevata questioni su due parti civili che si sono costituite alla prima udienza preliminare e che, escluse all'epoca, non hanno più riproposto alcuna istanza in tal senso). L'indicazione di cui alla citata pagina 7 della memoria - che non può rivestire alcun carattere giustificatorio - avrebbe consentito alla Corte di dichiarare in toto inammissibili le questioni in tali termini sollevate, non essendo stato rispettato l'onere probatorio che incombe sulla parte eccepente, in difetto della vigenza nel processo penale della forma telematica degli atti ed essendo quelle, copie di mera cortesia prive di autenticità, fermo restando che in tal modo si è constatato un esercizio più formale che effettivo del diritto di difesa.
Passando quindi alle eccezioni formulate, si osserva quanto segue.
E' stata eccepita (cfr. memoria depositata all'udienza del 19.7.2016) la nullità dei verbali delle udienze del 17.5.2016 e del 14.6.2016 per incertezza assoluta sulle parti civili costituite alle udienze dei 20.10.2015, 1.12.2015, 9.12.2015 al sensi dell'art. 142, c.p.p..
L'eccezione è infondata e va respinta.
Nei caso era accaduto che alle citate udienze venivano chiamate ed indicate a verbale di udienza anche le parti civili costituitesi nelle citate udienze del 20.10.2015, 1.12.2015 e 9.12.2015 celebratasi prima che la Corte dichiarasse la nullità del decreto che dispone il giudizio con regressione del procedimento all'udienza preliminare. Si trattava di parti "eventuali" del processo sul cui diritto di ingresso la Corte si sarebbe poi pronunciata con ordinanza del 14.6.2016. 
La questione, quindi, che al più avrebbe potuto porsi non era certo quella avanzata ma una questione dì legittimazione di quei soggetti ad essere parti del processo, il richiamo alla nullità del verbale di cui all'art. 142, c.p.p. è del tutto improprio in quanto la interpretazione letterale e logico-sistematica dello stesso, anche alla luce dei lavori preparatori del codice di rito, così come di recente osservato dalla Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 41461 del 17.7.2012, consente di affermare che il legislatore ha inteso comprimere al massimo la sfera delle situazioni con effetti invalidanti sul verbale, con relativa espansione delle mere irregolarità formali. La disposizione secondo la quale il verbale è nullo "se vi è incertezza assoluta sulle persone che sono intervenute" deve essere pertanto interpretata restrittivamente ed intesa nel senso che i requisiti indispensabili ai fini della legittimità di un verbale sono la certezza che ¡'ufficio che ha proceduto alla redazione sia stato effettivamente ricoperto e che siano stati assolti i compiti istituzionali. Pertanto la nullità del verbale si verifica solo in quei casi nei quali vi è una incertezza assoluta, tale cioè da impedire qualsiasi possibilità (anche facendo ricorso da altri dati o al richiamo ad altri atti processuali) di identificazione delle persone intervenute, ovvero una mancanza della sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale che ha redatto il verbale, situazione non ricorrente nel caso che ci occupa.
Vanno altresì respinte le eccezioni di nullità delle ordinanze procedimentali pronunciate sino a questo momento dalla Corte per omesso pronunciamento su alcune questioni subordinatamente ad altre.
In più circostanze, infatti, è stata eccepita la nullità delle ordinanze della Corte sino a questo momento emesse per dedotto mancato pronunciamento su una delle questioni sollevate dalla Difesa: ebbene, sul punto, si osserva che è principio pacifico in giurisprudenza quello in base al quale anche nella motivazione della sentenza il giudice non debba compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 13.5.2011, n, 26660).
Nello specifico è stata eccepita sin dagli atti depositati in Cancelleria in data 8.7.2016 la nullità della citazione dei responsabili civili R. FIRE s.p.a. in liquidazione, R. Forni Elettrici s.p.a., nelle persone dei rispettivi legali rappresentanti prò tempore.
Più precisamente veniva eccepita la nullità del decreto di citazione del responsabile civile per i seguenti motivi: violazione degli artt. 83 comma 3, lett. b) e comma 5, 178, lett. c), c.p.p., per mancanza di indicazione delle domande che si chiede di far valere nei confronti dei responsabile civile [...], per mancata indicazione e descrizione delle imputazioni riferite ai singoli imputati per le quali si richiede l'estensione della responsabilità civile alla società, per mancata indicazione delle ragioni di fatto e di diritto che giustificherebbero la responsabilità civile. La nullità delle citazione del responsabile civile in violazione dell'art. 154 comma 3, c.p.p.. Infine si chiedeva l'esclusione del responsabile civile ai sensi dell'art. 86, comma 2, c.p.p., in quanto gli elementi di prova raccolti prima della citazione sono potenzialmente pregiudizievoli per la sua difesa, facendo esplicito riferimento alle risultanze dell'incidente probatorio iniziato all'udienza dell'8.11.2010.
Infine, all'udienza de! 27.7.2016, veniva eccepita, nell'interesse esclusivo di R. FIRE s.p.a., la tardività delle notificazioni che sono state fatte alla società (cfr. pagg. 19 - 26 del verbale di stenotipia della citata udienza del 27.7.2016).
Quest'ultima eccezione è stata ritenuta fondata dalla Corte che in quella stessa data emetteva ordinanza con la quale rilevava il mancato rispetto del termine (per un solo giorno) e rinviava, nel rispetto del termine per la comparizione alla udienza del 21.9.2016, udienza in cui, come si evince dalla lettura del verbale, tutte le Parti si sono riportate alle precedenti richieste e/o questioni lasciando che il responsabile civile concludesse per ultimo, nel pieno esercizio del diritto di difesa.
Questa ultima attività, quindi, rende del tutto inammissibile la questione di nullità già in precedenza eccepita ma ribadita nell'incipit della udienza del 21.9.2016 con riferimento agli atti svolti nelle udienze dal 18 al 27 luglio 2016 che si sarebbero svolte in presenza di una parte, il responsabile civile R. FIRE s.p.a., presente al solo scopo di eccepire la tardività della sua eccezione.
La questione, quest'ultima, ritiene la Corte merito un breve ulteriore approfondimento: infatti, da un lato, non vi è dubbio che l'irregolare citazione del responsabile civile non per il mancato rispetto del termine a comparire non integri una nullità assoluta - essendone ad esempio preclusa la rilevabilità d'ufficio e la eccepibilità da soggetti che non ne abbiano interesse - (cfr. per tutte Cass. 27.6.2012, n. 35581), e, dall'altro, è altrettanto pacifico che l'ordine di trattazione delle questioni dettato dall'art. 491, c.p.p. non sia un ordine la cui violazione comporti una qualsivoglia sanzione processuale, sicché stabilisce esclusivamente un unico sbarramento temporale, ossia quello costituito dalla dichiarazione di apertura del dibattimento perché possano essere validamente proposte e decise le questioni relative all'individuazione del soggetto nei confronti possono essere efficacemente pronunciate ai sensi dell'art. 538, c.p.p., le statuizioni civili con la sentenza che definisce il procedimento (cfr. Cass. 14.11.2001, n. 1603). Tant'è vero che la citazione del responsabile civile è consentita anche per l'udienza successiva alla prima a condizione che non sia impedito al responsabile civile di svolgere il proprio ruolo defensionale sin dalla fase di costituzione delle parti. Nel caso che ci occupa, quindi, il rinvio con il rispetto del termine a comparire e, soprattutto, la nuova attività di udienza sviluppatasi, come si è detto, in data 21.9.2016 - nella quale tutte le parti si sono riportate alle precedenti, ha permesso il pieno e completo esercizio dei diritto di difesa da parte del responsabile civile eccepente.
Il termine a comparire concesso è stato quello dei venti giorni, così come chiarito dalla sentenza interpretativa di rigetto emessa Dalla Corte Costituzionale sin dal 10.11.1992, n. 430, secondo la quale, appunto, l'art 83 c.p.p. va interpretato nel senso che il termine, non inferiore a 20 giorni, stabilito per la comparizione dell'Imputato e della persona offesa è applicabile anche a favore del responsabile civile; pertanto, l'art. 83 cìt non è in contrasto con gli art. 3 e 24 cost, in base al presupposto che, in caso di citazione a giudizio del responsabile civile, non sia applicabile alcun termine di comparizione.
Tale indicazione, quindi, deve dirsi del tutto assorbente rispetto alla eccepita nullità della citazione per violazione dell'art. 154, comma 3, c.p.p.: infatti, stabilisce che le notificazioni alle persone giuridiche avvengano nelle forme stabilite per il processo civile e non anche nei termini del processo civile. Nel caso, la notificazione ha rispettato le forme di cui all'art. 145, c.p.c..
Ancora: la eccepita nullità ex art. 83 comma 3, lett. b) e comma 5, 178, lett. c), c.p.p., del decreto di citazione del responsabile civile per mancanza di indicazione delle domande che si chiede di far valere nei confronti dei responsabile civile [...], deve dirsi infondata e quindi respinta.
Infatti, il decreto deve intendersi un atto unitario ed indirizzato a tutte le Parti destinatarie dello stesso e deve contenere - a pena della nullità della citazione in giudizio - l'indicazione delle domande che si fanno valere contro il responsabile civile (arti. 83 commi 3, lett. b) e 4, c.p.p.). Nel caso, per ogni singola chiamata in giudizio contenuta nell'atto unitario costituito dal decreto, è stata esplicitata, sebbene In modo sintetico, la ragione posta a fondamento della domanda. Per ogni singola domanda di risarcimento del danno, infatti, è allegata la dicitura [...] anche ex art. 2049, c.c., indicazione che contiene la specificazione della ragione sottoposta alla domanda risarcitoria, riferendosi ai danni conseguenzialì alla condotta illecita dei soggetti citati derivanti dalla violazione del principio contenuto nel citato disposto di legge che stabilisce che i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dai fatto illecito del loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.
 

 

b) La posizione dei responsabili civili: la questione delle c.d. estensioni.
Con specifico riferimento al merito della posizione dei responsabili civili e alle richieste di esclusione che sono state avanzate, osserva la Corte che le stesse devono essere respinte.
Preliminarmente deve individuarsi con chiarezza la soggettività dei responsabili civili validamente costituitesi in questo processo.
Prima di tutto non vi è dubbio che già all'udienza preliminare doveva registrarsi la costituzione quale Parte Civile della Regione Puglia in persona del legale rappresentante prò tempore, dott.ssa A.B.: tanto si evince dalla mera lettura del decreto che dispone il giudizio. Da ciò e soprattutto dalla circostanza che la citazione effettuata dalle Parti Civili richiedenti (di cui al decreto di citazione emesso dalla Corte in data 14.6.2016) è stata già dichiarata inidonea a realizzare alcun effetto giuridicamente rilevante, essendo stata effettuata a mezzo PEC (si rinvia integralmente alla ordinanza emessa in data 18.7.2016), discende che nessuna rilevanza può assumere l'eccezione avanzata dalla Difesa della Regione Puglia dì omesso rispetto del termine minimo a comparire, rispetto alla nuova richiesta di citazione del Responsabile Civile, Regione Puglia.
Parimenti nessun pregio deve accordarsi alla questione avanzata da! medesimo Responsabile Civile, Regione Puglia, con riferimento alla nullità della citazione, mentre un discorso a sé - ma che verrà affrontato in modo unitario per tutte le altre richieste - attiene alla questione di "estensione" avanzata da alcune Parti Civili nei suoi confronti.
Quanto al merito a sostegno della richiesta di esclusione vengono Indicate le seguenti ragioni: la oggettività giuridica della condotta contestata al V. (reato contro la P.A.); la mancanza di nesso causale tra la condotta del V. e i danni lamentati dalle P.C.; l'attività positiva, in materia ambientale, posta in essere dal V.. Tali ragioni, ad avviso della Corte, soprattutto per quanto si specificherà più diffusamente di seguito con riferimento alle costituzioni di Parte Civile, non hanno fondamento.
Infatti, ma si tratta di un argomento che verrà di seguito sviluppato, il presupposto della possibilità di citazione di un responsabile civile prescinde dal bene giuridico oggetto della tutela penale della norma contestata all'imputato, legato da un rapporto con il responsabile civile medesimo, atteso che a norma dell'art. 185, c.p,, legittimati a costituirsi parte civile debbano intendersi non solamente le persone offese da reato ma anche il soggetto danneggiato che si identifica in colui il quale abbia comunque riportato un danno eziologicamente riferito all'azione e/o omissione del soggetto agente.
Ne discende, allora, - e si affronta così il secondo motivo addotto - che, nel caso la condotta del V. non possa, prima facie, ritenersi scollegata da un punto di vista causativo rispetto ai danni lamentati dalle persone danneggiate che si sono costituite Parti Civili: infatti, V. risponde di un delitto di concussione, teleologicamente collegato ai delitti di associazione a delinquere, disastro doloso (art. 434, c.p.), rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro (art. 437, c.p.), avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (art. 439, c.p.), ed altro. Sicché già dalla contestazione non si può escludere - essendo stato ipotizzato il contrario - la sussistenza di un nesso teleologico, causalmente orientato, tra la condotta del V. e il danno derivante anche dai delitti di cui innanzi; senza considerare, poi, che è pacifico l'approdo giurisprudenziale in base al quale il delitto di concussione rientri a pieno titolo nella categoria dei reati plurioffensivi (si da cass. 3.9.1992, Furlan, per cui finalità; assumibili come beni giuridici protetti, dell'incriminazione delle condotte di concussione sono individuabili nell'esigenza che sia assicurato il buon andamento, il decoro e l'imparzialità della pubblica amministrazione, secondo il principio-guida estraibile dall'art. 97 della Carta, nonché nella tutela della libera determinazione dei singoli anche in relazione alla gestione dei proprio patrimonio; l'una esposta a indebite pressioni e, l'altro, assoggettato a illegittimi depauperamenti. Pertanto, il delitto de quo rientra nella categoria dei reati plurioffensivi).
Infine, nulla rileva, infine, l'eventuale realizzazione di condotte polìtiche/amministrative in favore della tutela ambientale eventualmente poste in essere dal V., elementi che al più potranno essere valutati con riferimento al merito delle imputazioni.
Infine, sebbene la questione non sia stata sollevata da alcuna parte, non vi è alcuna incompatibilità e/o conflitto di interessi, per la Regione Puglia che contemporaneamente ha assunto la veste dì responsabile civile e parte civile: infatti, si tratta di un ente territoriale che da un lato ha agito nell'interesse dei cittadini che in essa vi abitano e sì assume abbiano subito un danno dalle condotte contestate agli odierni imputati; dall'altro è intervenuto come responsabile civile proprio perché un imputato ne era, all'epoca, il Presidente.
Quanto ai restanti soggetti che si sono costituiti in qualità di responsabili civili, R. FIRE s.p.a. in liquidazione, R. Forni Elettrici s.p.a., nelle persone dei rispettivi legali rappresentanti prò tempore, nel merito le questioni poste sono due: la nullità delle richieste di "estensione" (questione sollevata anche dalla Difesa del responsabile civile Regione Puglia); la richiesta di esclusione a norma del comma 2 dell'art. 86, c.p.p., nella parte in cui stabilisce che la richiesta può essere proposta altresì dal responsabile civile che non sia intervenuto volontariamente anche qualora gli elementi di prova raccolti prima della citazione possano recare pregiudizio alla sua difesa in relazione a quanto previsto dagli articoli 651 e 654.
Ebbene, con riferimento a quest'ultimo aspetto, la difesa eccepente ha citato due sentenze della Corte di Cassazione, ossia quella del Cassazione penale, sez. III, 03/12/2003, (ud. 03/12/2003, dep.30/12/2003), n. 49456, Cassazione penale, sez. III, 21/10/2004, (ud. 21/10/2004, dep.02/12/2004), n. 46746. Dalla lettura integrale delle citate sentenze, con riferimento ai punto in esame, si evince che il principio di diritto enucleato dal giudice di legittimità attenga ad ipotesi in cui il responsabile civile che chiede di essere estromesso a norma dell''art. 86, comma 2, c.p.p., non sia stato posto in essere nelle condizioni di partecipare alla raccolta di una prova i cui effetti potrebbero essere potenzialmente pregiudiziavoli per lo stesso. Chiaro, ad esempio, è il passaggio della sentenza n. 49456 del 3.12.2003 in cui, spiega la Cassazione che la norma di cui al citato art. 86, comma 2, prevede che il responsabile civile debba essere, a propria domanda, estromesso dai giudizio qualora prima dell'a sua citazione siano stati raccolti elementi di prova pregiudizievoli all sua difesa in relazione a quanto sancito dagli arti 651 e 654 c.p.p., relativi alla efficacia della sentenza penale - di condanna o di assoluzione - nei giudizi civili o amministrativi Le disposizioni di legge da ultimo richiamate vanno interpretate, conformemente a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 35 del 22/11/’71, nel senso dell'esclusione che l'accertamento dei fatti materiali oggetto di un giudizio penale possa essere considerato vincolante, in un distinto giudizio civile o amministrativo, nei confronti di coloro che ai primo siano rimasti estranei, perché non posti in condizione di intervenirvi (v. conf. Cass. sez. II civ., 22/V/92, n. 6164, B. P. c. C.).
Nella fattispecie oggetto dello scrutinio della Cassazione, infatti, il responsabile civile avrebbe potuto essere citato, a mente dell''art. 83 co. 2 c.p.p. (che pone, all’uopo, come termine ultimo la data di inizio del pubblico dibattimento), anche nella fase delle indagini preliminari, in tempo utile perché partecipasse all'incidente probatorio disposto ai fine di eseguire sull'imputato esami ematologici finalizzati ad accertarne ia paternità relativamente al figlio generato dalla P., asseritamente a seguito della violenza sessuale subita.
In altri termini, la norma anche nella interpretazione della Corte Costituzionale e della Cassazione mira a tutelare, come è ovvio, la effettività del diritto di difesa e cioè il principio basilare per cui nessuno può subire dei pregiudizi in base ad un portato probatorio alla cui raccolta non gli è stato consentito di partecipare.
Nel caso di specie, invece, si osserva che nell'incidente probatorio effettuato nei corso delle indagini preliminari, in concreto era presente R.E. che all'epoca era il legale rappresentante di R. F1RE s.p.a., essendone il presidente del consiglio di amministrazione, come si evince agevolmente da una semplice consultazione on line della visura camerale della citata società.
Diversamente come dimostrato dal provvedimento prodotto dal P.M. all'udienza del 277.2016 la società R. Forni Elettrici, s.p.a., al momento del citato incìdente probatorio non era ancora esistente, essendo stata costituita con atto unilaterale del notaio Omissis di Genova, n. rep. 17103, in data 25.9.2012, sicché la sua mancata partecipazione all'incidente probatorio non può dirsi il frutto di una scelta volontaria ma conseguenza della semplice impossibilità ontologica di parteciparvi.
D'altra parte, sebbene non sia questa la sede per affrontare in via diretta l'argomento, che, pertanto verrà utilizzato solo nei limiti funzionali alla verifica della eccezione, la interpretazione del disposto di cui all'art. 403, c.p.p., fornita dalla giurisprudenza di legittimità è la seguente: la regola della partecipazione del difensore dell''indagato all'assunzione della prova in sede d'incidente probatorio, con la conseguente sanzione di inutilizzabilità soggettiva della prova formatasi senza la partecipazione dei difensori dei soggetti ad essa interessati, non riguarda quei soggetti che solo successivamente all'assunzione della prova, ed anzi proprio sulla base di essa, siano stati raggiunti da indizi di colpevolezza, atteso che per definizione nessun contraddittorio poteva essere nei loro confronti assicurato (C. cost, sent. n. 181 del 1994). Fermo restando che ad oggi non si possono evidentemente verificare se vi saranno e quali saranno gli sviluppi dibattimentali con riferimento all'incidente probatorio. (Cassazione 8.1.1997, n. 745, ed ancora Cassazione 12.4.2002, n. 28845).
Infine, fermo restando quanto premesso circa il rinvio ricettizio effettuato all'udienza del 21.9.2016 - ossia l'udienza celebratasi nel pieno rispetto dei contraddittorio - di ogni parte processuale alle precedenti istanze e/o richieste e eccezioni, con riferimento alle richieste di "estensione” delle domande avanzate da alcune parti civili anche nei confronti dei responsabili civili (Regione Puglia, UVA Fire s.p.a. e R. Forni Elettrici s.p.a.), ne è stata eccepita la nullità.
Sul punto, osserva la Corte, che ai fini della regolarità della citazione dei responsabile civile non è necessario che l’istanza provenga da tutte le parti civili già costituite, purché al responsabile civile venga indirizzata la domanda risarcitoria anche dalla parte civile che non abbia proposto la predetta istanza di citazione.
La giurisprudenza di legittimità (Cass, 27.9.2012, n. 255209), ha precisato che: "Sotto la vigenza del precedente codice di rito è stato affermato che la formalità della citazione del responsabile civile ad istanza della parte civile, prevista dagli artt. 107 e 108 cod. proc. pen., può ritenersi non necessaria allorché la parte intervenga nel giudizio pendente tra altre parti civili ed il medesimo responsabile civile, purché dichiari che gli effetti della sua costituzione sono rivolti nei confronti del responsabile civile già presente nel giudizio e tale dichiarazione sia formalmente espressa non oltre il termine utile per la costituzione di parte civile (Cass. 24.3.1981, n. 149166). Il principio posto dal giudice di legittimità, tuttora valevole stante la sostanziale corrispondenza delle norme citate con l'attuale art. 83 cod. proc. pen., si confronta con l'ipotesi del sopraggiungere di una nuova parte civile, in un giudizio che vede già costituite altre parti civili ed il responsabile civile.
"Risultando il responsabile civile già parte del processo per effetto dell'iniziativa delle altre parti civili, una formale vocatio in ius risulta non necessaria, mentre è pur sempre necessario che nei confronti del responsabile civile si formuli quella domanda che è il nucleo della citazione in giudizio del responsabile per il fatto altrui.
"Ma da tale principio si può risalire ad una regola più generale:
quella della non necessità che l'istanza di citazione dei responsabile civile provenga da tutte le parti civili già costituite, purché ai responsabile civile che divenga parte dei processo venga indirizzata la domanda risarcitoria anche da quella parte civile che non ha fatto l'istanza. L'omessa proposizione della domanda" (cfr. Cass. 12.11.2015, n. 45991).
 

 

c) Le questioni relative alle parti civili: la legitimatio ad causam.
L'art. 185, comma 1, c.p. stabilisce che ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili, il comma 2 che ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui.
Non è certamente questa la sede né la Corte ne ha le competenze per ripercorrere quelle che sono state le elaborazioni sul punto sviluppate dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Quel che preme tuttavia sottolineare come sia giurisprudenza pacifica quella per cui in tema di risarcimento del danno, il soggetto legittimato all'azione civile non è solo il soggetto passivo del reato (cioè il titolare dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice), ma anche il danneggiato, ossia chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo del reato.
Nella elaborazione giurisprudenziale, infatti, è stata riconosciuta la legittimazione a costituirsi parte civile, quale persona danneggiata da reato, alla vittima della rapina nel caso di un processo per associazione per delinquere (Cass. 21.10.2014, n. 46084, che qualifica legittimato all'esercizio dell'azione civile nel processo penale, non solo il soggetto passivo del reato ma anche il danneggiato che abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo del reato e precisa che tale rapporto di causalità sussiste anche quando il fatto reato, pur non avendo determinato direttamente il danno, abbia tuttavia determinato uno stato tale di cose che senza di esse il danno non si sarebbe verificato).
Ancora, in modo conforme si consideri la famosa sentenza della Cassazione, dell'8.11.2007, n,. 4060, che, per la fattispecie relativa alla strage di Sant'Anna di Stazzema, ha ritenuto titolari dell'azione civile la Regione Toscana, la Provincia di Lucca, il Comune di Stazzema e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ancora, secondo Cass. 16.12.2010, n. 8350, si precisa che, in caso di condanna per il reato di falsa testimonianza, il risarcimento disposto in favore della parte civile anche da parte di un soggetto danneggiato dal mendacio.
Nel caso che ci occupa il P.M. ha proceduto a contestare agii odierni imputati (in modo diretto o attraverso il meccanismo della connessione teleologica) i delitti di cui agli artt. 434, 437 e 439, c.p., nonché quello di associazione a delinquere allo scopo di commettere più delitti contro la pubblica incolumità e segnatamente quelli di cui agli articoli 434, 437 e 439, c.p., nonché delitti contro la pubblica amministrazione e la fede pubblica, quali fatti dì corruzione e di concussione, falsi e abuso di ufficio.
Più precisamente l'associazione a delinquere è stata contestata a R.N., R.F.A., C.L., A.G., P.F., L.L., C.A., R.G., P.A., B.E.; agli stessi imputati, ad eccezione del P.F., e unitamente a A.M., C.A., D.I., D.S., D'A.S., F.B. e B.A., ed ancora C.A. e D.G., ed ancora L.L. sono poi stati contestati diverse condotte riconducibili ai reati di cui agli artt. 434,437 e 439, c.p..
Inoltre, con la contestazione del nesso teleologico di cui all'art. 61, n. 2, c.p. in relazione ai citati reati in materia ambientale, sono rinviati a giudizio il OMISSIS per delitti contro la P.A. e OMISSIS per delitti contro l'amministrazione della giustizia.
I restanti imputati, G.C., R.G., P.S., D.M.V., C.G. e C.C. rispondono: C.G. e C.C. del capo L) di rubrica ovvero di una condotta omissiva con riferimento alla attuazione delle necessarie misure tecniche ed interventi previsti in ordine alla gestione degli impianti ed al processo produttivo. Ancora D.M.V. e P.S. rispondono della violazione della normativa relativa alla attuazione delle cautele in materia di rischi industriali connesse all'uso di determinate sostanze pericolose.
Diversamente G.C., in qualità di preposto, risponde per omicidio colposo in danno di M.C.; R.G., quale tecnico Arpa Puglia, risponde dell'omicidio colposo in danno di Z.F..
Il principio elaborato dalla Giurisprudenza è quello secondo il quale la compromissione dell'ambiente trascende il mero pregiudizio patrimoniale derivato ai singoli beni che ne fanno parte se il bene pubblico - che comprende l'assetto del territorio, la ricchezza di risorse naturali, il paesaggio come valore estetico e culturale (L. n. 1497 del 1939, art. 7) e come condizione di vita salubre in tutte le sue componenti {Cass. Pen. 3852/1990) - va considerato unitariamente per il valore d'uso da parte della collettività quale elemento determinante della qualità della vita della persona (Corte Cost. 641/1987), quale singolo e nella sua aggregazione sociale.
Perciò la L, n. 349 del 1986, art. 18, rileva piuttosto come ripartizione procedurale delle competenze tra Stato, enti territoriali preposti al controllo e alla gestione del settore ecologico, ed associazioni protezionistiche (S.U. 10098/1996) - e pertanto il risarcimento per la lesione dell'ambiente in sé, quale valore pubblico immateriale primario ed assoluto (Cass. 10118/2008), che trova la sua fonte genetica non già nella L. n. 349 dei 1986, bensì nella Costituzione, attraverso il coordinamento tra le disposizioni primarie (artt. 2, 3, 9, 32 e 41 e 42) che tutelano l'individuo e la collettività, la cui violazione determina quindi un danno ingiusto non patrimoniale (Cass. 1087/1998), categorìa in cui rientra infatti ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona (Cass. 8827/2003), da risarcire secondo il principio generale e primario del neminem laedere (Cass. 5650/1996), è autonomo dal risarcimento delle conseguenze patrimoniali derivatene /cfr. Cass. civ., 10.10.2008, n, 25010).
Su tali presupposti, preme altresì ribadire che la responsabilità civile derivante da reato ha ad oggetto ogni danno eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo del reato, e tate rapporto di causalità sussiste anche quando il fatto reato, pur non avendo determinato direttamente il danno, abbia tuttavia prodotto uno stato tale di cose che senza di esse il danno non si sarebbe verificato (Cass. 2.12.2014, n. 11295, in senso conforme Cass., 7462 del 1985, Cass., 8.11.2007, n. 4060; Cass. 21.10.2014, n. 46084, Cass., 13.1.2015, n. 4380, Cass. 1.7.2015, n. 33815).
Non solo, si afferma altresì che, l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose legittima la pronuncia della sentenza di condanna generica al risarcimento dei danni, senza che il danneggiato provi l'effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l'azione dell'autore dell'illecito (Cass. n.12199 dell' 11.3. 2005).
Nel caso che ci occupa quindi, alla luce degli indicati approdi giurisprudenziali, non si può in questa sede escludere che le condotte contestate ai citati imputati (ad eccezione di quelli due che rispondono solo di omicidio colposo) costituiscano un antecedente causale potenzialmente causativo dì danno nei confronti delle persone danneggiate: pertanto andrebbero escluse le costituzioni d p.c. nei confronti dei due di cui innanzi (589 se avanzate da soggetti diversi dai parenti dei morti) infine, un ulteriore problema, sollevato dalla difese, è quello temporale inteso sotto un duplice aspetto: da un verso con riferimento ai momento della insorgenza della malattia rispetto ai fatti per cui si procede; da un altro con riferimento al momento in cui gli imputati hanno assunto un ruolo (sono stati assunti, hanno assunto una carica, ecc...) che concretamente possa aver consentito loro di porre in essere una condotta eziologicamente collegata al danno lamentato.
Ebbene, sotto quest'ultimo profilo, osserva la Corte, come si tratti di un accertamento che sia precluso in questa fase preliminare al dibattimento nella quale, ai fini della richiesta di esclusione della parte civile, il giudice quanto alla legitimatio ad causam deve semplicemente verificare la prospettazione attorea, prescindendo dalla fondatezza della domanda (Cass. 10.1.2003, n. 8991), sicché tale accertamento - doveroso e funzionale anche rispetto alle prospettazioni accusatorie contenute nei capi di imputazione - avverrà senz'altro nel corso dell'Intera Istruttoria dibattimentale.
Anche con riferimento al secondo aspetto per cui il dato temporale potrebbe rilevare, secondo quanto eccepito dalle difese, sempre in ossequio del citato principio per cui, in questa fase, è la prospettazione attorea a indirizzare la valutazione sommaria del giudice, non possono escludersi neppure le Parti Civili che in fase di domanda hanno già prospettato ad esempio una situazione conclusasi in epoca antecedente all'Intervento degli odierni imputati quali "gestori" in senso lato dello stabilimento siderurgico tarantino che era preesistente o che hanno rappresentato situazioni lesive (evento morte) conclusesi in epoche storiche apparentemente scollegate dal periodo in contestazione.
In realtà, osserva la Corte, in questa fase in cui, appunto, è la semplice prospettazione della parte che richiede a dover indirizzare il giudice nella valutazione, alla luce dei citati orientamenti giurisprudenziali per cui legittimato all'azione civile a norma dell'art. 2043 c.c., non è solo il soggetto passivo o la persona offesa dai reato ma anche, come si è detto, chiunque abbia riportato un danno comunque eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo del reato.
Pertanto nel caso che ci occupa essendo stati contestati i reati di cui si è detto, devono considerarsi legittimati ad agire non solo i soggetti che sono posti a presidio dei beni ambientali in senso stretto, ma di tutti coloro che dal danno ambientale hanno ricevuto in proprio o indirettamente (ad esempio jure eredìtatis) una lesione dei bene giuridico vita e/o salute (come si è innanzi specificato).
Ancora tutti coloro che lamentano un danno da mera esposizione, ossia un danno non patrimoniale esistenziale connesso ad un turbamento psicologico o ad un patimento morale (Cassazione SS. UU. civile dell'11.11.2008, n. 26972; nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale la formula danno morale non individua una autonoma sottocategorìa dì danno ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata.)
Quanto si è innanzi premesso sulla possibilità in questa sede di ammettere la costituzione di parte civile da parte di soggetti danneggiati da reato che alleghino una situazione di danno eziologicamente collegata ai fatti-reato per cui si procede, consente, in questa fase, di non escludere la costituzione di parte civile di coloro se si sono costituiti anche nei confronti degli imputati che rispondono per reati diversi da quelli ambientali (o comunque lato senso inerenti alla gestione dello stabilimento che possono aver inciso nella fase di realizzazione delle condizioni prodromiche al disastro o comunque ad altri danni).
Il precipitato logico di questo ragionamento è che non possono, al momento, accogliersi le richieste di esclusione delle parti civili anche con riferimento agli imputati che rispondono del delitto di danneggiamento: è stata, infatti richiesta la esclusione della costituzione di parte civile dei soggetti che lamentano un danno da imbrattamento degli edifici in cui abitano.
La questione posta in generale è stata affrontata con riferimento a coloro che non avrebbero allegato lo status di proprietari dei beni che assumo essere stati danneggiati e, ancora in generale, con riferimento alla recente normativa in materia di depenalizzazione. Poi, nello specifico, è stata posta la questione del difetto di legittimazione ad agire da parte di don. G.B. che si è costituito parte civile quale parroco della chiesa di San Francesco, sita nel rione Tamburi di Taranto. Ad avviso della Difesa, la mancata indicazione circa la titolarità del bene danneggiato (la chiesa) sarebbe sufficiente a legittimare la esclusione della costituzione: su questo punto si osserva che è la disposizione di cui all'art 635, c.p., nella nuova ma anche nella formulazione ante novella del 2016 che individua l'edificio destinato all'uso di un culto come un elemento aggravatore della fattispecie che lo rende perseguibile di ufficio. Ebbene, quanto alla proprietà, del bene destinato all'uso di un culto non è il caso di scomodare in questa sede gli istituti proprio del diritto ecclesiastico che disciplinano il patrimonio ecclesiastico: quei che è pacifico che in giurisprudenza è consolidato il principio in base al quale non solo il proprietario ma anche il mero detentore della cosa sia legittimato ad avanzare querela in quanto danneggiato da reato {cfr. già Cass. 3.11.1999, n. 13636 ed ancora Cass. 3.5.1988, n. 8425).
Quanto, allora, alla modifica dell'art. 635, c.p. a seguito della entrata in vigore dell'art, 2 D. Lgs. 15.1.2016, n. 7, si osserva come il nuovo testo punisca penalmente chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui con violenza alla persona o con minaccia ovvero in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto ai pubblico o dei delitto previsto dall'articolo 331, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni, stabilendo, ancora, al secondo comma che alla stessa pena soggiace chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili le seguenti cose altrui: 1. edifici pubblici o destinati a uso pubblico o all'esercizio di un culto o cose di interesse storico o artistico ovunque siano ubicate o immobili compresi nei perimetro dei centri storici, ovvero immobili i cui (avori di costruzione, di ristrutturazione, di recupero o di risanamento sono in corso o risultano ultimati o altre delle cose indicate nel numero 7) deli’articolo 625; [...]. Ebbene il rinvio esplìcito alla circostanza aggravante di cui al n. 7 dell'art. 625, c.p., in materia di furto, fa sì che, per legge, debba ancora considerarsi reato il danneggiamento di cose ... esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, dovendosi, quindi, in tal senso ricomprendersi edifici, condominiali, e le parti di esse, seppure di pertinenza dei sìngoli condomini che per necessità risultano essere esposti alla pubblica fede.
Infine, ogni considerazione sulla eccepita mancata allegazione sarà trattata di seguito in modo più diffuso.
Ancora: non è questa la fase per escludere le parti civili nei confronti dei soggetti imputati per delitti contro la P.A.. Le condotte contestate ad alcuni imputati (L.L., art. 319 ter, c.p.; A.G., C.L., R. F., art. 321, c.p.; F.G., C-M-, S.V. e A.G., due ipotesi del delitto ex art. 317, c.p.; V. N., A.G., R. F., C.L., P. F., art. 317, c.p.; S.I., art. 323, c.p.; T.D., P.L., P. F., R. F., C.L., A.G., R.C.V., P.F., i delitti ex artt. 323 e 326, c.p.), infatti sono state poste dal P.M. in correlazione alle ipotesi di delitti di associazione a delinquere, disastro doloso (art. 434, c.p.), rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro (art. 437, c.p.), avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (art. 439, c.p.), ed altro. Sicché già dalla contestazione non si può escludere - essendo stato ipotizzato il contrario - la sussistenza di un nesso teleologico, causalmente orientato, tra le condotte degli imputati dei delitti contro la P.A. e il danno derivante anche dai delitti di cui innanzi. Senza considerare, poi, che è pacìfico l'approdo giurisprudenziale in base al quale il delitto di concussione rientri a pieno titolo nella categoria dei reati plurioffensivi (sin da Cass. 3.9.1992, Furian, per cui finalità, assumibili come beni giuridici protetti, dell'incriminazione delle condotte di concussione sono individuabili nell'esigenza che sia assicurato il buon andamento, il decoro e l'imparzialità della pubblica amministrazione, secondo il principio-guida estraibile dall'art. 97 della Carta, nonché nella tutela della libera determinazione dei singoli anche in relazione alla gestione del proprio patrimonio; i'una esposta a indebite pressioni e, l'altro, assoggettato a illegittimi depauperamenti. Pertanto, il delitto de quo rientra nella categoria dei reati plurioffensivi); parimenti deve dirsi per il delitto di abuso di ufficio (già da Cass. 13.3.1997, n. 1106 ed ancora Cass. 14.6.2006, n. 20399 e Cass. 14.4.2010, n. 18811). Né si può, allo stato, escludere che le condotte rivelatrici del segreto di ufficio (così riferendosi al capo contestato al D. e all'A., privo di una contestazione espressa della aggravante dì cui all'art. 61, n. 2, c.p.) ed ancor più quelle corruttive abbiano avuto un efficacia causalmente rilevante anche con riferimento alla produzione dei danni lamentati, atteso che si tratti di condotte che, secondo la ipotesi accusatoria, sono prodromiche ed imprescindibile nelle scelte organizzative e gestionali della società in materia ambientale.
Ancora con riferimento ai delitti contro l'amministrazione della giustizia (V.A., P.D., A.A., M.F., F.N., P.D.F., B.M., A.G. sono imputati per delitti contro l'amministrazione della giustizia, e segnatamente di favoreggiamenti), si osserva che per tutti è contestata l'aggravante del nesso teleologico e che non possa escludersi, secondo la concreta formulazione della imputazione quel nesso causale tra la condotta medesima ed il danno lamentato.
Non è questa la sede, poi, per valutare la richiesta già avanzata dal Difensore del F. di separazione della sua posizione rispetto al processo, atteso che la Corte abbia deciso di trattare, tra le questioni preliminari di cui all'art. 491, c.p.p., preliminarmente quelle afferenti le parti.
Infine - e si tratta di una questione trattata diffusamente da molti difensori richiedenti la esclusione di diverse parti civili - è stato evidenziato in alcuni casi il difetto di allegazione di atti e/o documenti da cui trarre la prova della legittimazione a proporre la domanda.
Ebbene, sul punto, osserva la Corte, senza alcuna pretesa di completezza che, nell'ordinamento processuale penale, non è previsto un onere probatorio a carico dell'imputato, modellato sui principi propri del processo civile, ma è, al contrario, prospettabile un onere dì allegazione, in virtù del quale l'imputato è tenuto a fornire all'ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all'accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore (si cfr. ad esempio Cass., 19.5.2014, n. 32937).
Tale regola non muta anche con riferimento alla azione civile spiegata all'interno del processo penale: infatti, con la introduzione della domanda risarcitoria, non è necessario che il danneggiato dimostri la effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l'azione dell'autore dell'illecito, essendo sufficiente, lo si ribadisce, l'indicazione di un fatto che risulti essere potenzialmente produttivo di conseguenze dannose essendo ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno eventualmente rimesso al giudice della liquidazione, atteso che giudice penale, nell'ipotesi di condanna generica, deve pronunciarsi solo sull'an debeatur, e non anche sul quantum, non essendo conseguentemente tenuto a stabilire la percentuale della colpa o del dolo (cfr. Cass., 26.2.2009, n. 14377 e già Cassazione SS. UU. civile dell'11.11.2008, n. 26972, secondo cui nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale la formula danno morale non individua una autonoma sottocategoria di danno ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio costituito Dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumo rilevanza ai fini della esistenza dei danno, ma solo della quantificazione del risarcimento).
La questione sollevata dalle Difese è tuttavia più sottile afferendo alla eccepita mancata allegazione da parte di alcune parti civili nell'atto di costituzione dell'atto e/o del documento da cui trarre la legittimazione ad agire.
La Corte osserva che la questione è infondata: in primo luogo non è espressamente previsto in tutta la disciplina codicistica dettata con riguardo alla parte civile che la stessa abbia un onere probatorio nel momento dell'atto introduttivo con riferimento alla sua legittimazione ad agire.
Soprattutto, si osserva, che anche il sistema processuale civile (al quale al più poterebbe farsi ricorso nei caso di specie), non preveda, anche nella più recente ed accredita interpretazione delle sezioni unite della Cassazione, non preveda che per la parte attrice vi sia un onere probatorio al momento della presentazione della domanda con riferimento alla legittimazione all'azione: si tratterà di un aspetto che potrà essere oggetto di dimostrazione nel corso del processo unitamente al merito della causa. Si legge, infatti, nella sentenza Cassazione civile, sez. un., 16.2.2016 , n. 2951 che deve essere condivisa ia distinzione tra legittimazione al processo e titolarità della posizione soggettiva oggetto dell'azione e deve essere condivisa l'affermazione per cui il problema della titolarità della posizione soggettiva, attiva ma anche passiva, attiene al merito della decisione, cioè alla fondatezza della domanda [...] Oggetto di analisi, ai fini di valutare la sussistenza della legittimazione ad agire, è ia domanda, nella quale l'attore deve affermare di essere titolare del diritto dedotto in giudizio. Ciò che rileva è la prospettazione (discorso analogo vale per ia simmetrica legittimazione a contraddire, che attiene alla titolarità passiva dell'azione e che, anch'essa, dipende dalla prospettazione nella domanda di un soggetto come titolare dell''obbiigo o della diversa situazione soggettiva passiva dedotta in giudizio). Nei caso in cui l'atto introduttivo del giudizio non indichi, quanto meno implicitamente, l'attore come titolare del diritto di cui si chiede l'affermazione e il convenuto come titolare della relativa posizione passiva, l'azione sarà inammissibile. Naturalmente ben potrà accadere che poi, all'esito del processo, si accerti che la parte non era titolare del diritto che aveva prospettato come suo (o che la controparte non era titolare del relativo obbligo), ma ciò attiene ai merito della causa, non esclude la legittimazione a promuovere un processo. L'attore perderà la causa, con le relative conseguenze, ma aveva diritto di intentarla. Da quest'anaiìsi emerge come una cosa sia la legittimazione ad agire, altra cosa sia ia titolarità dei diritto sostanziale oggetto dei processo. La legittimazione ad agire mancherà tutte le volte in cui dalla stessa prospettazione della domanda emerga che il diritto vantato in giudizio non appartiene all'attore. La titolarità dei diritto sostanziale attiene invece al merito della causa, alla fondatezza della domanda. I due regimi giuridici sono, conseguentemente, diversi. Come si è visto, è consolidata ed univoca la giurisprudenza per cui la carenza di legittimazione ad agire può essere eccepita in ogni grado e stato del giudizio e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. Dei resto, non si pongono problemi probatori, perché si ragiona sulla base della domanda e della prospettazione in esso contenuta. Nel caso sottoposto all'attenzione delle sezioni unite civili, , il diritto oggetto della domanda era proprio il risarcimento del danno subito da un immobile e tra gli elementi costitutivi della domanda vi è il diritto di proprietà sul bene danneggiato. Concludono le sezioni unite, che per chiedere in giudizio il risarcimento del danno la parte deve dimostrare, oltre ad una serie di elementi materiali (il danno, il nesso di causalità), anche di essere titolare di un diritto reale sui bene danneggiato. Il diritto reale non è il diritto oggetto della domanda, e quindi della tutela giudiziaria, ma è un elemento costitutivo di quel diritto [...] Fissando alcune prime conclusioni, può pertanto dirsi che la parte che promuove un giudizio deve prospettare di essere parte attiva del giudizio (ai fini della legittimazione ad agire) e deve poi provare di essere titolare della posizione giuridica soggettiva che la rende parte.
Tenuto conto poi che altrettanto pacifico è ¡1 principio in base al quale in sede di introduzione della domanda risarcitoria, non è necessario che il danneggiato dimostri la effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l'azione dell'autore dell'illecito, essendo sufficiente, lo si ribadisce, l'accertamento di un fatto che risulti essere potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia, infatti costituisce una mera declaratoria juris da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione. Il giudice penale, nell'ipotesi di condanna generica, deve pronunciarsi solo sull'an debeatur, e non anche sul quantum, non essendo conseguentemente tenuto a stabilire la percentuale della colpa o della responsabilità, (cfr. Cass., Pen. n. 14377, del 26.2. 2009).
Così delineata, allora, la differenza tra momento introduttivo della domanda e momento. probatorio, altrettanto prive di fondamento sono le questioni sollevate dalle parti con riferimento alla documentazione e alle relazioni tecniche che in alcuni atti di costituzione di parte civile sono stati materialmente allegati alla dichiarazione di costituzione: da ciò deriva che si tratti di elementi documentali che al più assolvono il solo compito di supportare quell'onere di allegazione di cui si è detto con riferimento agli elementi della domanda ma che, da un punto di vista probatorio in senso tecnico e proprio del processo penale, dovranno passare dal vaglio di ammissibilità di cui all'art. 495, c.p.p., ove sarà fatta richiesta in tal senso, necessariamente per essere utilizzati al fine della decisione finale, fosse anche limitatamente alla posizione delle parti civili medesime .
Infine, l'argomento difensivo secondo cui l'onere di allegazione non sarebbe soddisfatto, con riferimento alla causa petendi, con il semplice richiamo ai capi di imputazione nel caso in cui a costituirsi parte civile non sia la persona offesa dal reato ma la persona danneggiata da reato, non risulta dimostrato dalla analitica disamina dell'e motivazioni dì quelle sentenze richiamate e poste a sostegno di tale indicazione.
La più specifica sul punto deve dirsi Cass. 15.11.2002, n. 39695 che, nello specificare le ragioni per cui in quel caso era stata dichiarata inammissibile la costituzione di parte civile da parte del privato che aveva subito un danno da soggetti che avevano commesso il reato di cui all'art. 348, c.p. (avevano esercitato abusivamente un'attività di progettazione dei lavori ed esecuzione degli stessi, riservata per legge ad iscritti agli albi professionali degli architetti, degli ingegneri e dei geometri), non solo aveva pienamente confermato il pacifico principio in base al quale l'astratta possibilità che il privato possa ricevere un danno come conseguenza immediata e diretta dai reato è pienamente configurabile pure a prescindere dall'interesse tutelato dalla norma penale e dal soggetto che debba qualificarsi persona offesa dal reato; sostenendo che l'interpretazione giurisprudenziale deve connettersi ad un quadro che conduce a ritenere che ogni fattispecie di reato possa assumere carattere "plurioffensivo", intesa l'espressione non in senso tecnico, ma in funzione delle distinte tipologie di interessi protetti dalla norma incriminatrice; quello penale e quello civile, e che quest'ultimo non si confonde con l'offesa all'interesse protetto dalla norma penale, stante la possibile non coincidenza tra persona offesa e persona danneggiata dal reato, può essere compromesso dal compimento di un fatto reato che sul piano penale non leda o ponga in pericolo l'interesse del danneggiato, secondo un modello di sostanziale complementarità tra i precetti degli artt. 185 c.p,, 2043, 2059 e 1223 c.c e 74 c.p.p.; ma ancora, con riferimento specifico ai difetto di allegazione della causa petendi, aveva ribadito il principio in base al quale detto onere di allegazione sarebbe stato soddisfatto anche nel caso in cui al suo vaglio (ove pacificamente la parte civile non era persona offesa ma persona danneggiata da reato) se vi fosse stato un richiamo per relationem all'addebito sollevato in imputazione, atteso che invece, in quella ipotesi nella dichiarazione di costituzione la parte civile si era limitata, quanto alla causa petendi a richiamare testualmente le "ragioni... dì cui ai rapporti giudiziari in atti" e non anche a quella che secondo la stessa Cassazione avrebbe avuto un'altra portata dei "rapporti giuridici".
In tutte le dichiarazioni di costituzione di parte civile che occupano questa Corte, invece, il richiamo quanto meno per relationem agli addebiti mossi in imputazione deve dirsi rispettato sicché anche sotto quest'ultimo residuale profilo la questione sollevata dalla difesa non può accogliersi. 
 

 

d) Gli enti.

 


La tematica degli enti in senso lato è stata richiamata sotto più profili: oltre quanto si è già osservato con riguardo ai responsabili civili, da un lato andrà esaminata la possibilità per gli enti esponenziali (dei quali è stata richiesta l'esclusione) di costituirsi parte civile, dall'altro la possibilità dì altri soggetti a costituirsi parte civile nel confronti delle società che sono chiamate a rispondere in imputazione in base al D. lgs. 231/2001.
Anche con riferimento agli enti territoriali costituiti parti civili sono state sollevate diverse questioni con la richiesta di loro esclusione.
Nello specifico, con riferimento alla Regione Puglia, già costituitasi parte civile in udienza preliminare, è stato eccepito il difetto di legittimazione ad causam perché all'udienza del 17.5.2016 si presentava in aula il Presidente Emiliano, comportamento concludente ad avviso della difesa eccepente nel senso di un nuovo atto di costituzione che sarebbe viziato. In realtà, osserva la Corte, in quella udienza non si è assistito ad una nuova costituzione di parte civile, costituzione che, come si è detto, era avvenuta nell'udienza preliminare a mezzo del Vice presidente dott.ssa A.B., legittimata a farlo e nel rispetto delle forme. E' sufficiente, sul punto, leggere il verbale di stenotipia del 17,5.2016 (pag. 19) nella parte in cui l'Avv.to D'Aluisio alla richiesta esplicita del Presidente se vi fosse una nuova costituzione specificava che la costituzione [era] sempre quella originale.
Con riferimento alla Regione Puglia e agli altri enti territoriali (Comune di Taranto, Comune di Montemesola, Provincia di Taranto, ecc...), è stata altresì richiesta la esclusione in quanto gli stessi agirebbero non per un danno all'immagine ma per !a tutela degli interessi della comunità che rappresentano: secondo la prospettazione difensiva, cioè, si tratterebbe della duplicazione di una richiesta risarcitoria che già i singoli cittadini hanno avanzato. In realtà, osserva la Corte, gli enti territoriali interessati (incluso il Comune di Montemesola) rientrano, secondo le allegazioni della parte richiedente (allegazioni che solo all'esito della compiuta istruttoria dibattimentale la Corte potrà verificare nella loro compiutezza), in un'area geografica coincidente o attigua a quella in cui insiste lo stabilimento 1LVA sicché gli enti territoriali agiscono per ottenere il ristoro di un danno patito con riferimento all’integrità del territorio, all’equilibrio dell’habitat naturale ma anche globalmente inteso e alla salute. In questa prospettiva, tutti i predetti enti territoriali hanno rappresentato adeguatamente la propria legitimatio ad causam rivendicando iure proprio danni patrimoniali e non derivanti dalla lesione a beni giuridici diversi dal danno ambientale lato sensu, quali l'integrità del territorio, la propria identità culturale, politica ed economica, oltre che danni diretti alla propria economia (ad esempio la Regione Puglia che ha ricordato i costi derivanti dagli accertamenti scientifici effettuati per verificare lo stato di contaminazione dell'ambiente, dagli indennizzi corrisposti a numerosi danneggiati, in relazione all'abbattimento e distruzione di prodotti alimentari e mitili ed ancora, costi correlati ai Servizio Sanitario Regionale connessi a prevenzione, diagnosi e cure di malattie correlate all'emissione di inquinanti ed, altresì, esborsi di ingente quantità, con conseguente depauperamento, a carico del Fondo di Solidarietà in favore dei familiari di lavoratori vittime di incidenti sul lavoro, istituito con L.R. n. 1/2010; il Comune di Taranto ha rappresentato un danno sulla beale popolazione in quanto incidente sulla locale economia, atteso il pregiudizio a prodotti rappresentativi di eccellenza del territorio del Comune di Taranto, con gravi ricadute in termini economici, non solo per gli operatori del settore, ma anche con riferimento alla immagine del territorio locale e dei suoi prodotti ed alfa sua vocazione turistica, nonché un nocumento all'intero arredo urbano ... ed agli immobili comunali; anche la Provincia di Taranto ha allegato il deprezzamento dei propri immobili abitativi, nonché il danno d'immagine per lo svilimento della propria funzione di tutela e garanzia ambientale).
E' stata poi richiesta la esclusione degli enti esponenziali che si sono costituiti Parte Civile, sia per ragioni formali che si specificheranno singolarmente, sia per ragioni afferente alla legittimazione ad agire.
Non è certo questa la sede per tracciare l'excursus storico-giuridico che ha interessato la tematica degli enti esponenziali e la loro possibilità di far valere anche nel processo penale, tramite l’atto di costituzione di parte civile, interessi in materia ambientale, senza però porre alcuni punti fermi.
L'art. 18 dell'a Legge 8 luglio 1986, n. 349, ovvero la legge istitutiva del Ministero dell'ambiente che stabiliva le prime norme in materia di danno ambientale, dopo aver indicato il principio generale in virtù del quale, qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta ('ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l'autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato, stabiliva ai comma 3 che l'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo e che, al successivo comma 4, le associazioni di cui al precedente articolo 13 e i cittadini, al fine di soiiecitare l'esercizio dell'azione da parte dei soggetti legittimati, possono denunciare i fatti lesivi di beni ambientali dei quali siano a conoscenza.
L'art. 318, comma 2, del D. Lgs. 152/2006, il c.,d. codice dell’ambiente, abrogava l’art. 18 citato, ad eccezione del suo comma 5, attribuendo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e per esso allo Stato, la legittimazione all'esercizio detrazione per il risarcimento del danno ambientale, escludendo la legittimazione concorrente o sostitutiva della Regione e degli enti locali sul cui territorio si è verificato il danno. Per la verità, come meglio spiegato nella sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 126 del 1.6.2016, il D. Lgs. 156/2006 {soprattutto nella forma novellata a seguito dei D. Lgs. 135/2009 e della L. 97/2013) è infatti la conseguenza logica del cambiamento di prospettiva intervenuto nella materia dei danno ambientale, come emerge dall'evoluzione della giurisprudenza costituzionale e della relativa normativa. Continua la Corte Costituzionale che se, originariamente, l'ambiente è stato considerato bene immateriale unitario, in modo che alla rilevanza dei numerosi e diversificati interessi che fanno capo alle Regioni e gli enti iocali si aggiungeva l'esigenza di uniformità di tutela, che solo lo Stato può garantire, il quadro normativo è profondamente mutato con la direttiva 21 aprile 2004, n. 2004/35/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia dì prevenzione e riparazione del danno ambientale) che, nel recare la disciplina del danno ambientale in termini generali e di principio, afferma che ia prevenzione e ia riparazione di tale danno nella misura dei possibile «[contribuiscono} a realizzare gli obiettivi ed i principi della politica ambientale comunitaria, stabiliti nei trattato»; tenendo fermo, peraltro, il principio «chi inquina paga», pure stabilito nel Trattato istitutivo della Comunità europea (n. 1 e n. 2 del "considerando"), in particolare, nell'Allegato li della direttiva, che attiene alla «Riparazione del danno ambientale», si pone in luce come tale riparazione è conseguita riportando l'ambiente danneggiato alle condizioni originarie tramite misure di riparazione primaria, che sono costituite da «qualsiasi misura di riparazione che riporta le risorse e/o i servizi naturali danneggiati alle o verso le condizioni originarie». Solo qualora la riparazione primaria non dia luogo a un ritorno dell'ambiente alle condizioni originarie, si intraprenderà ia riparazione complementare e quella compensativa.
In altri termini alla prima disciplina organica della materia (legge n. 349 dei 1986) che legittimava a promuovere l'azione di risarcimento del danno ambientale sia lo Stato che gli enti territoriali, si è aggiunto il principio che la prevenzione e la riparazione del danno ambientale costituiscono obiettivi della politica ambientale comunitaria, e che dunque a prevalere non è più il profilo risarcitorio, ma quello della riparazione. Successivamente, i dd.lgs. nn. 152 del 2006 e 135 del 2009 hanno stabilito, rispettivamente, la priorità delle misure di riparazione rispetto al risarcimento per equivalente pecuniario, nonché ia tipologia delle misure di riparazione ("primaria", "complementare", "compensativa"), relegando la tutela risarcitoria alla sola ipotesi in cui le misure di riparazione fossero in tutto o in parte omesse, o attuate in modo incompleto o difforme rispetto a quelle prescritte ovvero impossibili o eccessivamente onerose. Infine, la legge n. 97 del 2013 ha eliminato, per il danno all'ambiente, il risarcimento "per equivalente patrimoniale" e imposto le "misure di riparazione". Quanto a queste ultime, se non provvede in prima battuta il responsabile del danno, il Ministro dell'ambiente e della tutela dei territorio e del mare procede direttamente agli interventi necessari, determinando i costi delle attività occorrenti per conseguire la completa e corretta attuazione e agendo nei confronti del soggetto obbligato per ottenere il pagamento delle somme corrispondenti. È dunque in questo scenario normativo che appare non più implausibile l'esigenza di assicurare che l'esercizio dei compiti di prevenzione e riparazione del danno ambientale risponda a criteri di uniformità e unitarietà, atteso che il livello di tutela ambientale non può variare da zona a zona e considerato anche il carattere diffusivo e transfrontaliero dei problemi ecologici, in ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro un preciso e limitato ambito territoriale. Se il ripristino ambientale è ora al centro del sistema, ne deriva l'esigenza di una gestione unitaria, che giustifica la nuova disciplina del potere di agire in via risarcitoria riservato allo Stato, D'altra parte, la normativa non esclude che sussista il potere di agire di altri soggetti, comprese le istituzioni rappresentative dì comunità locali, per i danni specifici da essi subiti, dai momento che la normativa speciale sul danno ambientale si affianca (non sussistendo alcuna antinomia reale) alla disciplina generale del danno posta dal codice civile, non potendosi pertanto dubitare dell'a legittimazione degli enti territoriali a costituirsi parte civile iure proprio. Conclude la Corte che non è escluso ai sensi dell'art. 311 del d.lgs. n. 152 del 2006 il potere di agire di altri soggetti, comprese le istituzioni rappresentative di comunità locali, per i danni specifici da essi subiti. La Corte di cassazione ha più volte affermato in proposito che la normativa speciale sui danno ambientale si affianca (non sussistendo alcuna antinomia reale) alla disciplina generale del danno posta dal codice civile, non potendosi pertanto dubitare della legittimazione degli enti territoriali a costituirsi parte civile iure proprio, nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all'ambiente, per il risarcimento non del danno all'ambiente come interesse pubblico, bensì (al pari di ogni persona singoia od associata) dei danni direttamente subiti: danni diretti e specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello, generico, di natura pubblica, della lesione dell'ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale.
In altri termini è proprio la Corte Costituzionale in questa importante sentenza che rinvia alla elaborazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione in base alla quale esiste il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi, sicché le associazioni ambientaliste, pure dopo l'abrogazione delle previsioni di legge che le autorizzavano a proporre, in caso di inerzia degli enti territoriali, le azioni risarcitone per danno ambientale {art. 9, comma 3, d.fg. 18 agosto 2000 n. 267, abrogato dall'art. 318 del d.lgs. n. 152 del 2006}, sono legittimate alla costituzione di parte civile iure proprio, nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all'ambiente, per il risarcimento non del danno all'ambiente come interesse pubblico, bensì (ai pari di ogni persona singola o associata) dei danni direttamente subiti, diretti e specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello, generico di natura pubblica, della lesione dell'ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale. In questa prospettiva e con questi limiti, le associazioni ambientaliste sono quindi legittimate a costituirsi parte civile avendo il diritto al risarcimento del danno, non solo patrimoniale (in relazione, per esempio, agli eventuali esborsi finanziari sostenuti dall'ente per l'espletamento dell'attività dì tutela), ma anche morale, derivante dal pregiudizio arrecato all'attività da esse concretamente svolta per la valorizzazione e la tutela del territorio sul quale incidono i beni oggetto del fatto lesivo (cfr. tra le tante Cass. 17.1.2012, n. 19439, Cass. 9.7,2014, n. 24677). 
Allora, in concreto, è stata richiesta la esclusione di numerosi enti ed associazioni che, proprio perché facoltizzati ad esercitare, ai sensi dell''art. 91 c.p.p., ì diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato, possono costituirsi parte civile quando siano titolari iure proprio di una posizione giuridica soggettiva, che sia stata danneggiata da! reato solo quando, in base a criteri di matrice giurisprudenziale, presentino un interesse previsto dallo Statuto, sin Dalla data di consumazione del reato, come sua finalità esclusiva o prevalente, in quanto ragione della sua esistenza ed azione, e sia stato leso dal reato in relazione ad una situazione storicamente circostanziata, presenti una effettività e continuità di contributi con riferimento all'interesse fatto valere, ancora, l'ente abbia un radicamento sul territorio ed abbia diffusione, ovvero sia rappresentativo di un gruppo significativo di consociati. Solo in presenza di queste condizioni l'interesse perseguito da enti o associazioni, collegato con l'interesse pubblico; si concretizza in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo e, pur comune alla generalità dei consociati e quindi diffuso, diviene soggettivizzato e personificato e, perciò, azionabile (Cass. pen. n.38290/07).
In realtà osserva la Corte di Assise che in base alla premessa innanzi specificata e derivante dalla interpretazione della Corte Costituzionale, la legittimazione ad agire anche degli enti e delle associazioni trae la propria origine non già nell'art. 13 L 349/1986 (anche quando privi del riconoscimento governativo) ma direttamente nel principio civilistico del neminem laedere. Sicché questo scollamento rispetto al danno ambientale permette all'interprete di prescindere dal collegamento territoriale, che crea il nesso con il danno ambientale in senso stretto; ancora la verifica statutaria ~ che deve comunque essere effettuata per verificare la corrispondenza tra le finalità dell'ente e la pretesa fatta valere in giudizio - deve prescindere da quella inerente l'aspetto ambientale in senso stretto dovendosi, appunto, limitare alla riconducibilità della domanda proposta con gli scopi che l'ente si propone di perseguire, ricordando che proprio l'immedesimazione dell'ente portatore di interessi diffusi con gli interessi perseguiti e statutariamente enunciati comporta la sua elevazione a titolare di un diritto soggettivo potenzialmente leso dai fatti di reato. L' aver posto l'interesse statutariamente enunciato, sia in astratto che in concreto, tra gli obiettivi della propria azione (ponendo dunque la tutela di questi interessi quale ragion d'essere stessa dell'associazione) configura l'esistenza in capo alla medesima di un diritto soggettivo idoneo a essere leso dalle condotte illecite e quindi idoneo a cagionare all'associazione stessa un danno. Anche per tali associazioni, quindi, sarà sufficiente nell'atto di costituzione quale parte civile che venga allegato un collegamento eziologico tra la condotta contestata agli imputati ed il danno che sì lamenta: sicché, alla pari di quanto si è detto per persone fisiche, anche per gli enti esponenziali in sede di ammissione sarà sufficiente che sia allegato un rapporto eziologico tra condotte ed evento dannoso che si lamenta, sicché, nel caso, tutte le questioni afferenti la limitazione delle costituzione ai soli reati ambientali in senso stretto e non anche ai delitti contro la P.A. o contro l'amministrazione della giustizia, non potranno in questa fase essere accolte, salvo poi, una loro migliore ed approfondita verifica con la valutazione del merito del processo.
Nei caso di specie, infatti, i predetti enti agiscono iure proprio in qualità di soggetti danneggiati dal reato, pertanto a loro non vanno applicate le disposizioni di cui ali'art. 91 e segg., ma dell'alt. 74 c.p.p.. La legittimazione alla costituzione non è inibita dalla circostanza di essere enti di fatto, quindi privi di una vera e propria personalità ma titolari di una mera soggettività, in quanto nei nostro sistema processuale la legitimatio ad causam in sede civile è consentita anche agli enti di fatto come indirettamente si desume dall'art. 75 c.p.c., ove, nel disciplinare ia capacità processuale prevede che "Le associazioni e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate neil'art. 36 c.c. e segg.". La disposizione, attribuendo capacità processuale agli amministratori degli enti dì fatto, indirettamente riconosce a questi ultimi la legittimazione ad agire o resistere in giudizio. Peraltro il nostro ordinamento si spinge oltre, laddove ad esempio, riconosce la legittimazione persino al condominio (cfr. art. 1131 c.c.) che non ha soggettività ma è un mero centro di imputazione di interessi.
Infine, la difesa ha prospettato il difetto di legittimazione sotto altro profilo e cioè l'assenza di un danno diretto. In realtà gli enti di fatto sono legittimati a costituirsi parte civile non soltanto quando il danno riguardi un bene su cui gli stessi vantino un diritto patrimoniale, ma più in generale quando il danno coincida con la lesione di un diritto soggettivo, come avviene ne! caso in cui offeso sia l’interesse perseguito da un’associazione in riferimento ad una situazione storicamente circostanziata, assunto nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e azione, con l'effetto che ogni attentato a tale interesse si configura come lesione della personalità o identità del sodalizio. Più in generale il danno ingiusto risarcibile deve essere inteso come quello cagionato non iure, cioè provocato in assenza di una causa giustificativa, che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l'ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, ed, in particolare senza che assume rilievo la qualificazione dell'o stesso in termini di diritto soggettivo.
In particolare per quanto attiene al danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.), alla luce dell'art. 2 Cost., che riconosce e garantisce ì diritti inviolabili dell''uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (Enti), non può più essere identificato, secondo la tradizionale restrittiva lettura dell'art. 2059, in relazione all’art. 185 c.p., soltanto con il danno morale soggettivo, sicché, nell'ambito dei danno non patrimoniale rientra, oltre al danno morale subiettivo nei casi previsti dalla legge (la sofferenza contingente ed il turbamento dell’animo transeunte, determinati da fatto illecito integrante reato), anche ogni ipotesi in cui si verifichi un'ingiusta lesione di valori dell'a persona costituzionalmente garantiti, dalla quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica. E tale lesione deve essere riconosciuta come possibile anche in danno delle persone giuridiche ed in genere degli enti collettivi, pregiudizio non patrimoniale, che non coincide con la pecunia doloris (danno morale), bensì ricomprende qualsiasi conseguenza pregiudizievole di un illecito che, non prestandosi ad una valutazione monetaria basata su criteri di mercato, non possa essere oggetto di risarcimento ma di riparazione.
Ulteriore corollario di questa impostazione è che non può considerarsi causa ostativa alla costituzione di parte civile di questi enti la circostanza di non essere stati detti enti ancora operativi al momento dei fatti (cfr. Cass. 10.6.2010, n. 38991).
Sulla base di tali premesse ed alla luce dei documenti a corredo degli atti di costituzione delle parti civili, allora, nessuna questione concreta può porsi con riferimento a:
• CODACONS, (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori), in quanto individuato dai d.m. ambiente 17 ottobre 1995 tra le associazioni di protezione ambientale, è legittimato ad esercitare, in ogni stato e grado del processo, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa nei reati ambientali (cfr. Cass. 24.6.2010, n. 34220);
• Art. 32, in quanto tale associazione persegue lo scopo istituzionale di perseguire l'interesse generale della comunità, la promozione, la tutela e la cura della salute, l'integrazione sociale della persona, attraverso attività di prevenzione primaria e tutela dell'ambiente, nonché mediante la gestione di servizi sanitari, socio-sanitari, educativi e rieducativi ex art 1 lettera a) legge 8 novembre 1991, n. 381, fornendo concretamente un servizio di prevenzione primaria che promuove la valutazione di impatto sanitario di piani e progetti con consulenza a favore dei soci, degli Enti pubblici, della comunità, in materia di tutela, miglioramento, risanamento dell'ambiente, al fine di prevenire, mitigare e rimuovere i rischi per la salute;
• Medicina Democratica in quanto la stessa per statuto ha posto la sicurezza sui luoghi di lavoro un obiettivo perseguito dall'organismo nonché lo studio delle malattie, soprattutto i tumori, dei lavoratori esposti nelle aree industriali, ed a tal fine si è ad esempio costituita parte civile nel processo al gruppo Thyssenkrupp {la cui sentenza definitiva è quella della Cass. 18.9.2014, n. 38343 e nel processo c.d. Eternit, sentenza del Tribunale di Torino del 13.2.2012);
• ASSO CONSUM, costituitasi in data 5.7.2002, che ha una sede provinciale in Taranto, ha come scopo precipuo quello di istituire servìzi di assistenza, orientamento e formazione ai consumatori, associati e non, nonché consulenza legale gratuita nei seguenti settori: credito e risparmio, contratti, telecomunicazionitrasporticlass action, sanità, turismo, ambiente, alimentazione, privacy, in tal senso ha organizzato anche un convegno in sede locale in materia ambientale;
• Federazione Verdi, pone quali principi fondanti del suo statuto proprio la tutela dell’ambiente, sia quale mondo vitale del nostro pianeta ma anche come il sistema di relazioni fisiche e sociali che lega tra loro gli umani; le altre specie animali, la natura, le cose, ed è una struttura organizzata a livello nazionale e locale - con un referente pugliese - e che ha sempre posto in essere iniziative in materia ambientale anche con pubblicazioni specifiche sui fatti per cui si procede;
• Alta Marea individua nel suo stato quale finalità prioritaria quella di individuare le più efficaci e celeri soluzioni per garantire la migliore qualità della vita nel territorio jonico, si era costituita in modo spontaneo sin dal 2008 (si veda oltre con riferimento alla tematica temporale) con una marcia di cittadini in protesta;
• Cittadinanza Attiva, operativa sin dai 1978 individua tra le sue finalità statutarie anche quelle di riforma delle istituzioni, trasparenza delle amministrazioni, lotta alla corruzione e agli sprechi, salute e ambiente, vivibilità e decoro urbano, cittadinanza d'impresa, ha sempre intrapreso iniziative a tutela del territorio ed ha una sede regionale;
• Peacelìnk è una associazione di volontariato dell’ informazione che dal 1992 offre una alternativa ai messaggi proposti dai grandi gruppi editoriali e televisivi e che tra i contenuti affrontati ìndica anche l'ecologia;
• Peacelìnk nodo di Taranto è una dislocazione locale di Peacelìnk ed intrapreso diverse iniziative in materia ambientale in sede locale;
• Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, nasce il 30.7.2012 in modo spontaneo con l’obiettivo della tutela della salute e dell'ambiente, coniugata alla piena occupazione.
• Fondo Antidiossina Taranto Onlus ha come finalità principale la raccolta ed elaborazione di dati medici che possano rilevare la presenza di sostanze dannose che si accumulano nell'organismo umano, negli animali e nei prodotti alimentari; l'indagine sarà rivolta soprattutto alta popolazione dell'area jónica di Taranto e Provincia. La ricerca si focalizzerà, in particolare, sui rilevamento di diossine, sostanze particolarmente dannose e fetali che ormai sono entrate prepotentemente nella catena alimentare, minacciando seriamente la salute dell'a gente che è sempre più esposta ai danni da inquinamento industriale e quindi sempre più a rischio di malattie oncologiche mortali, finalità che persegue attraverso diverse attività specificatamente indicate in statuto, sicché deve dirsi portatrice dì un interesse concreto da tutelare.
Ed è evidente che quanto si è innanzi specificato abbia carattere assorbente sia con riferimento alle associazioni sindacali, sia con riferimento alla questione della costituzione di parte civile di uno stesso ente nelle sue distinte dislocazioni territoriali.
Sotto il primo aspetto, infatti, la costituzione di parte civile del sindacato in proprio - e quindi a prescindere dalla sua collocazione territoriale e della adesione del lavoratore allo stesso - in quanto l'inosservanza della normativa antinfortunistica e di quella ambientale può cagionare un danno autonomo e diretto, patrimoniale o non patrimoniale, alle dette associazioni per la perdita di credibilità dell'azione a tutela delle condizioni di lavoro dalle stesse svolta con riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro e alla prevenzione delle malattie professionali (cfr., tra le tante, Cass, 16.6.2010, n. 33170). Senza dimenticare che con specifico riferimento ai sindacati non sarà neppure necessario verificare la corrispondenza dell'interesse fatto valere con quello previsto nello statuto in quanto già l'art. 9 della L. 300/70, lo statuto dei lavoratori, riconosce ai lavoratori, mediante proprie rappresentanze, il potere di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute ed integrità. Nulla rilevando la disposizione dì cui al comma 2 dell''art. 61 del D. Lgs. 81/2008, secondo cui le organizzazioni sindacali e le associazioni dei familiari delle vittime di infortuni sui lavoro hanno facoltà di esercitare i diritti e le facoltà della persona offesa di cui agii articoli 91 e 92 dei codice di procedura penale, con riferimento ai reati commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'Igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale, trattandosi, in quest'ultimo caso, di un'ipotesi di intervento adesivo del sindacato ex art. 91, c.p.p., e non, come nel caso, di intervento autonomo nei termini innanzi specificati.
Sotto l'ulteriore aspetto da verificare, ossia quello della costituzione dei sindacati in ogni articolazione territoriale, aspetto sul quale le difese si sono intrattenute chiedendo l'esclusione ora di quelle nazionali, ora di quelle a livello locale e/o intermedio, osserva la Corte che l'interpretazione giuslavoristica dell''art. 28 dello statuto dei lavoratori, in base al quale viene attribuita la legittimazione ad agire alle articolazioni più periferiche dell'a struttura sindacale in quanto più a contatto con le reali condizioni esistenti nei singoli posti di lavoro, passa dal riconoscimento che ogni articolazione sindacale è dotata di una soggettività giuridica distinta in quanto titolare dì autonomi interessi collettivi (Cass. SS.UU. 17.3.1995, n. 3105). Quindi non si tratta di articolazioni territorialmente distinte dello stesso ente, ma di enti differenti.
Infine, con specifico riferimento alla ASL Taranto, è stata avanzata richiesta di sua esclusione quale parte civile perché, in base alla legge regionale n. 36 del 1984 la stessa ha la funzione di tutelare l'ambiente dì vita e di lavoro contro i fattori di inquinamento, attribuendo compiti specifici ai medico provinciale, all’ufficiale sanitario, al servizio di igiene e sanità pubblica della ASL medesima. Si sostiene, per tanto, che la ASL avrebbe omesso di attivarsi nella direzione imposta dalla legge, con la conseguenza che non sarebbe legittimata a costituirsi parte civile, in realtà, osserva la Corte, la ASL ha agito, vantando un danno anche in termini di spesa sanitaria, che nella sua prospettazione è causalmente derivante dalle condotte degli imputati; la eventuale inerzia della ASL, nei suoi compiti istituzionali, non ha certamente carattere "compensativo" rispetto la pretesa risarcitoria avanzata non solo perché del tutto assiomatico, ma perché trattasi di profili di azione differenti, in altri termini ben avrebbe potuto agire l'ASL quale parte civile ove anche imputati fossero stati suoi dipendenti che, se vi fosse stata la contestazione in tal senso, rispondessero di reati per omessa vigilanza in materia ambientale.
Non rimane, quindi, che verificare la possibilità, negata dalla difesa degli imputati e dei responsabili civili, ed anche dal P.M., di costituzione dì parte civile nei confronti degli enti chiamati a rispondere a norma del D.Lgs. 231/2001.
Numerose parti civili in questo processo si sono costituite anche nei confronti di ILVA s.p.a, R. PIRE s.p.a. e R. Forni Elettrici s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti prò tempore alle quale in imputazione (capo QQ)) sono stati contestati gli illeciti amministrativi di cui agli art. 24 ter, comma 2, 25 e 25 undicies, comma 2, lett. a), b), c), e) ed h) del D. Lgs. 231/2001; inoltre ad ILVA s.p.a., sempre in persona del legale rappresentante prò tempore, sono stati altresì contestati gli illeciti amministrativi di cui agii artt. 25 septies, co. 1 e 2 e 3 D. Lgs. 231/2001 e 30 D. Lgs 81/2008 (due ipotesi, capi RR) ed SS)).
I difensori delle citate società - ma anche i difensori degli imputati e dei responsabili civili, ma non ultimo il P.M. - hanno chiesto la esclusione di dette costituzioni basandosi sui seguenti argomenti: la mancata indicazione espressa nel testo della legge di un qualsiasi riferimento alla costituzione di parte civile; la sentenza della Corte di Cassazione, n. 2251 del 540.2010; l'art. 9 della Decisione Quadro n. 2001/220 GAI, del 15.3.2001 e la sentenza della Corte di Giustizia UE del 12.7.2012, n. 79; la sentenza della Corte Costituzionale n. 218 del 18.7.2014 che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, c.p.p. e del D. Lgs. 231/2001 sollevata dal GUP di Firenze con ordinanza del 17.12.2012.
Non è certo questa la sede per una ricostruzione sistematica del tema della responsabilità amministrativa dell'ente, né tanto meno quella per ricordare che il compito ermeneutico al quale è chiamato l’operatore del diritto è quello di orientare verso i valori recepiti dall’ordinamento la formazione del diritto "effettivo" {scriveva Angelo FALZEA in Introduzione alle scienze giuridiche, li concetto dei diritto, Milano, 2008, 27, che tutte le leggi dell'operare umano, e quindi anche le norme giuridiche, fanno capo a sistemi di valori umani e [...] in sostanza il problema del diritto è il problema dei valori giuridici), ma anche in questo caso alcuni punti fermi vanno messi.
La relazione ministeriale al D. Lgs. 231/2001, nel ricordare, in premessa, che la legge delega (la L. 29.9.2000, n. 300) rispondeva ad un preciso obbligo previsto dalla Convenzione OCSE ed alla esigenza di colmare un'evidente lacuna del nostro ordinamento rispetto ad altre realtà giuridiche europee, specificava che dal punto di vista della politica criminale, le istanze che premono per l'introduzione di forme di responsabilità degli enti collettivi appaiono più consistenti di quelle legate ad una pur condivisibile esigenza di omogeneità e di razionalizzazione delle risposte sanzionatone tra Stati, essendo ormai pacifico che le principali e più pericolose manifestazioni di reato sono poste in essere [...] da soggetti a struttura organizzata e complessa. Ed è sempre la relazione ministeriale a puntualizzare che la natura giuridica della responsabilità dell'ente a norma dei D. Lgs. 231/2001 deve essere ricondotta ad un tertium genus in quanto, si cita testualmente, coniuga i tratti essenziali dei sistema penale e di quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell'efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia. D’altra parte di recente la Corte di Cassazione a SS.UU. nella sentenza del 24.4.2014, n. 38343, ha concluso proprio ne! senso che il sistema normativo introdotto dal D. Lgs. n. 231 del 2001, coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un tertium genus di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza.
Ancora. Si legge nella relazione ministeriale che l'art. 8 del D. Lgs. 231/2001 chiarisce in modo inequivocabile come quello dell'ente sia un titolo autonomo di responsabilità, anche se presuppone comunque la commissione di un reato.
Non tragga in inganno - ma in realtà nessuna parte processuale ha fatto accenno al punto - il mancato esercizio della delega di cui all'art. 11, comma 1, lett. u), della L. 300/2000, in base al quale il governo aveva appunto la delega a prevedere che il riconoscimento del danno a seguito dell'azione di risarcimento spettante al singolo socio o al terzo nei confronti degli amministratori dei soggetti di cui all'alinea dei presente comma, di cui sia stata accertata la responsabilità amministrativa con riferimento a quanto previsto nelle lettere da a ) a q ), non sia vincolato Dalla dimostrazione della sussistenza di nesso di causalità diretto tra il fatto che ha determinato l'accertamento della responsabilità del soggetto ed il danno subito; prevedere che la disposizione non operi nel caso in cui il reato è stato commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di chi svolge funzioni di rappresentanza o di amministrazione o di direzione, ovvero esercita, anche di fatto, poteri di gestione e di controllo, quando ia commissione dei reato è stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi connessi a tali funzioni. Come si spiega chiara mente nella relazione ministeriale le ragioni che sottostanno alla scelta di non attuare il sistema risarcitorio previsto dalla legge delega ed evidentemente peggiorativo e sanzionatorio nei confronti dell'ente rispetto alle ordinarie regole di imputazione della responsabilità {sia essa civile che penale), risiedono in due ordini di motivi: uno sistematico, ossia di contrarietà al sistema del diritto societario, l'altro di natura politica poiché in tal modo, si cita testualmente, gli effetti di natura civilistica, prefigurati nella delega, esporrebbero ... le imprese a gravi rischi di instabilità, atteso che ii recesso dei soci e ie azioni di responsabilità potrebbero di fatto comportare lo "smantellamento" dell'ente.
Il precipitato logico di tale indicazione è chiaro: il legislatore non ha espressamente disciplinato l'azione di responsabilità civile nei confronti dell'ente che si ritiene responsabile a norma del D. Lgs. 231/2001 in quanto non ha inteso adeguarsi alla delega che, appunto, indivìdua un criterio peggiorativo e diverso rispetto a quello, invece, stabilito dalle regole del codice di procedura penale che, a loro volta, richiamano espressamente quelle del codice penale.
Infatti, ed è questo lo snodo essenziale del ragionamento che, ad avviso della Corte, deve condurre a ritenere come sia ammissibile una costituzione di parte civile nei confronti di un ente chiamato a rispondere in base al D. Lgs. 231/2001, il legislatore, sul punto, non è rimasto silente, sicché non di analogia dovrebbe nel caso parlarsi, ma ha espressamente individuato un sistema di rinvio ricettizio alle disposizioni generali sui procedimento in base a quanto disposto dagli artt. 34 e 35 del citato D. Lgs. 231/2001.
Si legge sempre nella relazione ministeriale che detti articoli assumono un rilievo fondamentale, perché stabiliscono, da un lato, che per il procedimento di accertamento e di applicazione delle sanzioni amministrative si osservano, oltre le norme del decreto, quelle del codice di procedura penale, in quanto applicabili; dall'altro lato, che all'ente si applicano le disposizioni processuali relative all'imputato, in quanto compatibili.
In ogni caso, mai nella relazione illustrativa del D. Lgs. 231/2001 vi è un'espressa indicazione nel senso della Inammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell'Ente, mancanza che deve dirsi tanto più significativa quanto si abbia presente che ogni volta in cui il legislatore abbia voluto discostarsi da quella che è la norma dettata dal codice di procedura penale disciplinante un determinato istituto lo ha fatto in modo esplicito. Così si legge testualmente nella relazione illustrativa con riferimento alle indagini preliminari e alla udienza preliminare: lo svolgimento dell'a procedura di accertamento della responsabilità è, in parte, conseguenza della scelta di equiparare la posizione dell'ente a quella dell'imputato. Pertanto, nella sezione V, si sono disciplinate soprattutto le deroghe rispetto alla disciplina in materia di indagini e di udienza preliminare. Sicché vi è una norma dettata in materia di informazione di garanzia (art. 57) integrativa della disciplina codicistica sul punto; vi è la indicazione di un procedimento semplificato per l'archiviazione (art. 58). Ancora negli artt. 62 - 64 del D. Lgs. 231/2001 sono indicati gli elementi differenti disciplinanti i procedimenti speciali. Così ad esempio si sono dettate le norme di cui agii artt. 53 e 54 (sequestro preventivo e sequestro conservativo) dalle caratteristiche autonome rispetto ai corrispondenti istituti del codice di rito. Nessuna norma tuttavia del D. Lgs. 231/2001 espressamente impedisce che vi sia costituzione di parte civile nei confronti dell'ente.
Un altro argomento a sostegno della tesi dell'ammissibilità della costituzione della parte civile nel processo degli enti fa leva sulle disposizioni del D.Lgs. n. 231 del 2001, che disciplinano i casi di riduzione dell'a sanzione pecuniaria (art. 12): due sono i casi disciplinati, la particolare tenuità del fatto e le condotte riparatone da parte dell'ente. Ebbene dalla lettura complessiva della norma e dalle indicazioni fornite sulla stessa dalla relazione ministeriale (che smentisce in toto la interpretazione che sul punto è stata sviluppata Dalla Corte Suprema di Cassazione nella sentenza n. 2251 del 5.10.2010), si capisce con chiarezza che vi siano due profili di responsabilità, quello da reato e quello da illecito dell'ente, con conseguenze, anche in termini di danno, differenti. Infatti, con riferimento alle condotte riparatone in senso ampio, il legislatore distingue due categorie diverse: da un lato vi è ìi risarcimento del danno e, dall'altro le conseguenze dannose o pericolose dal reato. Sicché si comprende come si tratti di conseguenze dannose che hanno una duplice fonte: la responsabilità dell'ente per colpa di organizzazione e il reato.
Ed allora non si ravvisano ragioni espresse per poter negare la possibilità di costituzione di parte civile nei confronti dell'ente. /
L'ente, infatti, risponde per un fatto proprio; tanto deve dirsi dimostrato dallo schema ascrittivo di responsabilità delineato dalla L. 231/2001 che ruota attorno agli artt. 6 e 7 che agganciano la responsabilità penale della persona giuridica a requisiti idonei a formulare un giudizio di colpevolezza nella forma della c.d. "colpa di organizzazione". Un ruolo centrale è svolto, quindi, dai modelli organizzativi che devono assolvere a spiccate funzioni preventive ed essere aggiornati periodicamente a tal fine. Il sistema dei modelli, la cui violazione viene considerata integrativa del giudizio sulla colpevolezza, intesa come "rimproverabilità" dell'ente, ricalca, per tanto, la logica della responsabilità colposa propria della persona fisica: si tratta di una sorta di colpa per l'organizzazione, costruita secondo il ben noto schema della colpa scientifica. Presupposto necessario ai fini della valutazione circa la idoneità - tanto nelle forme dell'adozione che dell'attuazione - del modello organizzativo è la commissione da parte di un soggetto qualificato - legato da un rapporto interorganico con l'ente medesimo nella duplice forma di apicale- dipendente - di un reato tra quelli di cui all'elenco contenuto nel D.Lgs.. 231/2001 (artt. 24 e ss.).
Fatto proprio dell'ente che quindi, lo obbliga, a norma dell'art. 185, c.p., così come richiamato dall'art. 74, c.p.p., a sua volta espressamente applicabile ex art. 34 D. Lgs. 231/2001 al risarcimento del danno.
Passando quindi a verificare quelli che sono gli ulteriori argomenti posti a fondamento della tesi in base alla quale non sarebbe possibile costituirsi parte civile nei confronti degli enti, ovvero la sentenza della Corte di Cassazione, n. 2551 del 5.10.2010, l’art. 9 della Decisione Quadro n. 2001/220 GAI, del 15,3.2001 e la sentenza della Corte di Giustizia UE del 12.7.2012, n. 79 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 218 del 18.7.2014 che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 83, c.p.p. e de! D. Lgs. 231/2001 sollevata dal GUP di Firenze con ordinanza de! 17.12.2012, la Corte osserva quanto segue. L'intervento della Corte Costituzionale non solo perché l'ultimo in termini cronologici ma perché proveniente dal giudice delle leggi, rappresenta ad avviso di questa Corte, l'indicazione più chiara su come sia possibile una interpretazione costituzionalmente orientata e conforme del D. Lgs.231/2001 che consenta la costituzione di parte civile nei confronti degli enti.
La Corte Costituzionale, infatti, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale e del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articoio 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, da! Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Firenze, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha specificato alcuni punti fondamentali. La ragione per la quale la Corte è giunta ad una tale decisione, fondamentalmente, risiede in una valutazione, preliminare, di inammissibilità della questione rimessa alla Corte, in quanto, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il giudice a quo è tenuto ad individuare ia norma, o la parte di essa, che determina la paventata violazione dei parametri costituzionali invocati (ex plurimis, ordinanze n. 21 del 2003, n. 337 dei 2002 e n. 97 dei 2000), compito che ad avviso della Corte Costituzionale non sarebbe stato assolto dal giudice remittente. Prosegue, infatti, la citata sentenza che l'ordinanza di rimessione presenta anche un petitum incerto> perché non chiarisce quale dovrebbe essere l'intervento additivo che secondo il giudice rimettente occorrerebbe adottare per eliminare ia pretesa illegittimità costituzionale, circostanza che rende la questione inammissibile. In ogni caso, la Corte Costituzionale, una verifica nel merito della questione l'abbozza, tanto quanto basta, ai nostri fini per poter sostenere che la costituzione di parte civile nei confronti dell'ente non è costituzionalmente contraria.
Secondo il giudice rimettente l'art. 83, comma 1, cod. proc. pen. stabilirebbe che «¡'imputato non può essere chiamato a rispondere in via civile nel processo penale per il fatto dei coimputati, qualora prima non sia stato prosciolto o non sia stata pronunziata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere», e poiché, nel processo instaurato per l'accertamento della responsabilità penale della persona fisica-autore del reato e della responsabilità amministrativa dell'ente, quest'ultimo è imputato «assieme a "coimputati" propri dipendenti», non potrebbe essere consentita una sua citazione anche come responsabile civile: l'imputato e l'ente sarebbero infatti coimputati del medesimo reato.
Prosegue la sentenza nei senso che, secondo il giudice rimettente il tenore letterale dell'art. 83, comma 1, c.p.p. precluderebbe una lettura che faccia assumere «la veste di responsabili civili» a persone cui si è attribuita la qualifica formale di imputati: si tratterebbe di «una forma di "garanzia" applicabile agli imputati e le persone giuridiche/enti sono tali nei processo penale».
Però è fondatamente contestabile che l'ente possa essere considerato coimputato dell'autore del reato. Infatti si è ritenuto che, nel sistema delineato dal d.lgs. n. 231 del 2001, l'illecito ascrivibile all'ente costituisca una fattispecie complessa e non si identifichi con il reato commesso dalla persona fisica (Cassazione, sezione sesta penale, 5 ottobre 2010, n. 2251/2011), il quale è solo uno degli elementi che formano l'illecito da cui deriva la responsabilità amministrativa, unitamente alla qualifica soggettiva della persona fisica, alle condizioni perché della sua condotta debba essere ritenuto responsabile l’ente e alla sussistenza dell'interesse o del vantaggio di questo. Ma se l'illecito di cui l'ente è chiamato a rispondere ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 non coincide con il reato, l'ente e l'autore di questo, non possono qualificarsi coimputati, essendo ad essi ascritti due illeciti strutturalmente diversi.
Sotto questo aspetto, quindi, la disposizione dell'art. 83, comma 1, cod. proc. pen., alla quale il giudice rimettente fa riferimento, non costituirebbe un impedimento alla citazione dell’ente come responsabile civile.
Infine la Corte Costituzionale, ravvisa un'ulteriore erronea interpretazione del dettato normativo di cui al comma 1 dell''art. 83, c.p.p., da parte del giudice remittente, tanto da sancirne un altro profilo di inammissibilità della questione. In effetti, statuisce la Corte Costituzionale, come sìa corretto ritenere che uno stesso soggetto non possa essere imputato e contestualmente civilmente responsabile per la condotta del coimputato. Nel caso di specie, invece, si tratta di due tipologie di responsabilità che, per un caso meramente accidentale, sono riconducibili ad uno stesso soggetto, ente giuridico, che, tuttavia risponde a titoli differenti. Addirittura non deve dimenticarsi come sia un principio civilistico consolidato in dottrina ed in giurisprudenza quello in base ai quale è possibile il concorso tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, salvo poi verificare in via esecutiva se il risarcimento del danno ottenuto per una via estingua per altro ogni ulteriore pretesa risarcitoria. Ad esempio il chirurgo che operi malamente il paziente lederà sia l'interesse di quest'ultimo alla diligente prestazione professionale sia l'interesse alla salvaguardia della salute, con la conseguenza che il paziente potrà citare per danni sia il medico con il quale ha avuto il contatto sociale (responsabilità extracontrattuale) sia la struttura sanitaria con la quale ha stipulato il contratto di prestazione d'opera professionale {responsabilità contrattuale).
Nella sentenza n. 2251 del 5.10.2010, la Corte di Cassazione ha escluso l'ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell'ente per cui si procede a norma del D. Lgs. 231/2001, per le seguenti ragioni.
Ha preliminarmente ritenuto di prescindere Dalla individuazione della natura della responsabilità {sebbene ha ricordato che la stessa Corte di Cassazione l'abbia ritenuta un tertium genus), basandosi sull'esame positivo dei contenuti della speciale normativa che disciplina il processo nei confronti degli enti, vagliandone la compatibilità con l'istituto codicistico della costituzione di parte civile.
Ad avviso della Corte di Cassazione la sistematica rimozione, nel D.Lgs. n. 231 del 2001, di ogni richiamo o riferimento alla parte civile (e alla persona offesa) porta a ritenere che non si sia trattato di una lacuna normativa, quanto piuttosto di una scelta consapevole del legislatore, che ha voluto operare, intenzionalmente, una deroga rispetto alla regolamentazione codicistica: la parte civile non è menzionata nella sezione 2A, capo 3A del decreto dedicata ai soggetti dei procedimento a carico dell'ente, nè ad essa si fa alcun accenno nella disciplina relativa alle indagini preliminari, all'udienza preliminare, ai procedimenti speciali, alle impugnazioni ovvero nelle disposizioni sulla sentenza, istituti che, invece, nei rispettivi moduli previsti nel codice di procedura penale contengono importanti disposizioni sulla parte civile e sulla persona offesa.
In realtà, come ha già osservato questa Corte, la mancanza di una disciplina espressa non può essere qualificata quale silenzio del legislatore - da colmare in via interpretativa con l'istituto della analogia - ma in realtà è espressione della assenza di specificità della disciplina della costituzione di parte civile nei confronti dell'ente rispetto alla normativa dettata dai codice di procedura, potendosi quindi applicare direttamente l'art. 185 c.p. e art. 74 c.p.p. attraverso la clausola generale di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 34, tenuto conto che l'espressione "reato" e non quella più ampia di "illecito", che eviterebbe qualsiasi obiezione di sorta circa una stretta interpretazione letterale, era la sola che il legislatore del 1930 avrebbe potuto utilizzare non potendosi mai lontanamente immaginare a quell'epoca - in cui vigeva il principio secondo il quale societas delinquere non potest - che l'evoluzione economico sociale avrebbe imposto la necessità di prevedere un sistema di illeciti di matrice senza dubbio penale nei confronti degli enti e delle persone giuridiche, ove appunto questo soggetto può rendersi responsabile di un suo illecito autonomo e diverso da quello imputato persona fisica. In altri termini da un lato vi è l'imputato persona fisica e dall'altro vi è l'ente che risponde per "colpa di organizzazione", situazioni produttive di un danno derivante da fonti diverse.
Infine, davvero neutra, ad avviso della Corte, deve dirsi la decisione della Corte di Giustizia Europea con la sentenza n. 79 del 12.7.2012, con riferimento alla interpretazione dell'art. 9 della Decisione Quadro n. 2001/220 GAI, del 15.3.2001.
L'art. 9 della Decisione Quadro n. 2001/220 GAI, del 15.3.2001, riguardante più in generale la posizione della vittima nel procedimento penale, stabilisce che Ciascuno Stato membro garantisce alla vittima di un reato il diritto di ottenere, entro un ragionevole lasso di tempo, una decisione relativa al risarcimento da parte dell'autore del reato nell'ambito del procedimento penale, eccetto i casi in cui il diritto nazionale preveda altre modalità di risarcimento.
Con ordinanza dei 9.2.2011, il GIP presso il Tribunale di Firenze sottoponeva alla Corte di Giustìzia europea la seguente questione pregiudiziale: Se la normativa italiana in tema di responsabilità amministrativa degli enti/persone giuridiche di cui al Decreto Legislativo n. 231/2001 e successive modificazioni, nel non prevedere "espressamente" la possibilità che gli stessi siano chiamati a rispondere dei danni cagionati alle vittime dei reati nel processo penale, sìa conforme alle norme comunitarie in materia di tutela della vittima dei reati nel processo penale.
Sul punto, la Corte si è pronunciata stabilendo i! seguente principio di diritto, ovvero che L'articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro 2001/220/GAl del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nei procedimento penale, deve essere interpretato nel senso che non osta a che, nel contesto di un regime di responsabilità delle persone giuridiche come quello in discussione nel procedimento principale, la vittima di un reato non possa chiedere il risarcimento dei danni direttamente causati da tale reato, nell'ambito del processo penale, alla persona giuridica autrice dì un illecito amministrativo da reato.
Il tutto, però, basandosi sul presupposto che le persone offese in conseguenza dì un illecito amministrativo da reato commesso da una persona giuridica, come quella imputata in base al regime instaurato dal decreto legislativo n. 231/2001, non possono essere considerate, ai fini dell'applicazione dell’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro, come le vittime di un reato che hanno il diritto di ottenere che si decida, nell'ambito del processo penale, sul risarcimento da parte di tate persona giuridica. In altri termini la Corte Europea ha preso atto dì quello che è un dato normativo piuttosto chiaro, ovvero che l'ente non è autore di un reato e che quindi, nel caso, sia improprio il richiamo ail'art 9 della decisione quadro invocata che, invece, si riferisce espressamente alle vittime del reato, senza tuttavìa stabilire che la persona offesa dall'illecito posto in essere dall'ente non possa vantare nei suoi confronti una pretesa risarcitoria azionabile anche nel processo penale.
Tanto premesso in generale, allora, nel caso di specie, si osserva che, analogamente a quanto si è osservato in precedenza con riferimento alle persone fisiche, in relazione ai capi RR) ed SS) di imputazione, contestati alla soia UVA s.p.a., solamente alle persone danneggiate dall'illecito dell'ente in riferimento ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose di cui ai capi D), F) e G) della rubrica.
Invece, ed andando nel merito, con riferimento ai capo Q.Q.), non può condividersi la linea difensiva secondo la quale, in base alla interpretazione sul punto offerta dall’unico pronunciamento della Cassazione (che comunque si è occupata, in quei caso, di una delle vicende cautelari reali che hanno riguardato proprio l'ILVA), con la sentenza del 20.12.2013, n. 3635, per cui la contestazione del reato associativo, quale reato- presupposto della responsabilità dell'ente, avente ad oggetto delitti-scopo estranei ai catalogo dei reati presupposto, costituisce una violazione del principio di tassatività dei sistema sanzionatorio contemplato dal d.lg. n. 231 del 2001: il reato associativo si trasformerebbe, infatti, in una disposizione "aperta”, dai contenuto elastico, potenzialmente idonea a ricomprendere nel novero dei reati-presupposto qualsiasi fattispecie di reato, con il pericolo di un'ingiustificata dilatazione dell'area di potenziale responsabilità dell'ente collettivo, i cui organi direttivi verrebbero in tal modo costretti ad adottare, su basi di assoluta incertezza e nella totale assenza di criteri di riferimento, i modelli di organizzazione e di gestione previsti dall'art. 6 d.ig. cit, scomparendone di fatto ogni efficacia in relazione agli auspicati fini di prevenzione.
Una tale interpretazione contrasterebbe con il dettato normativo dell'art. 24 ter (novellato dalla legge 94 del 15.7.2009, in materia di sicurezza pubblica) che stabilisce, appunto, come in relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui agii articoli 416, sesto comma, 416-bis, 416-ter e 630 del codice penale, ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero ai fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dolio stesso articolo, nonché ai delitti previsti dall'articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, si applica la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote, senza ulteriormente specificare che i reati fine dell'associazione debbano ricondursi a quelli di cui al catalogo dei reati presupposto già inseriti nel D. Lgs. 231/2001, atteso che, come è noto il delitto di associazione a delinquere è esso stesso un delitto che lede un bene giuridico ben definito, ossia l'ordine pubblico che nelle accezioni più moderne ed accreditate può e deve essere inteso anche nel senso economico. In ogni caso, si osserva, come nella formulazione del capo A) della rubrica, ossia di quello associativo, nell’elencazione dei reati scopo contestati ali'associazione, vi siano anche queiii dei delitti contro la P.A. espressamente previsti tra i reati presupposti attualmente vigente del D. Lgs. 231/2001.

 


e) La legitimatio ad processum.
 

 

Sulla base della premessa che si è indicata in epigrafe, ossia la circostanza che le difese abbiano visionato non gli atti depositati ma una copia di cortesia in formato pdf, in ogni caso, molte sono state le questioni sollevate con riferimento alla legitimatio ad processum delle parti civili.
Alcune questioni sono state riproposte per ogni singola costituzione, potendo tuttavia essere trattate genericamente per tutte. In effetti, alcune sono state già affrontate e risolte da questa Corte nei paragrafi che precedono: ci si riferisce alla questione afferente l'onere di allegazione; a quella relativa alla produzione di documenti e/o di consulenze a supporto della domanda introduttiva della istanza risarcitoria.
Un'altra questione attinente alla legittimazione processuale in senso stretto che è stata proposta per molte delle costituzioni è quella afferente a difetti della procura: soprattutto spesse volte ci si è riferiti alla procura speciale di cui all'art. 122, c.p.p., altre alla procura di cui all'alt. 100, c.p.p..
Ritiene la Corte funzionale ad una risoluzione univoca di ogni questione relativa alla procura, chiarire i seguenti punti.
L'art. 76 del codice di procedura penale stabilisce che L'azione civile nei processo penale è esercitata, anche a mezzo di procuratore speciale, mediante la costituzione di parte civile.
L'art. 78, poi, nella individuazione delle formalità della costituzione di parte civile, individua al comma 1, lett. c) il nome e ii cognome del difensore e l'indicazione della procura. Il comma tre specifica ancora che se la procura non è apposta in calce o a margine della dichiarazione di parte civile, ed è conferita nelle altre forme previste dall'articolo 100, commi 1 e 2, essa è depositata nella cancelleria o presentata in udienza unitamente alla dichiarazione di costituzione della parte civile.
Pertanto l'art 100, c.p.p., stabilisce che: La parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per ¡a pena pecuniaria stanno in giudizio coi ministero di un difensore, munito di procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura pR.ta autenticata dal difensore o da altra persona abilitata, il comma 2, prevede ancora, che La procura speciale può essere anche apposta in calce o a margine della dichiarazione di costituzione di parte civile, del decreto di citazione o della dichiarazione di costituzione o di intervento del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. in tali casi l’autografia della sottoscrizione della parte è certificata dal difensore.
Infine, l'art. 122, c.p.p., stabilisce le forme della procura speciale per determinati atti che, deve, a pena di inammissibilità, essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve contenere, oltre alle indicazioni richieste specificamente dalla legge, la determinazione dell'oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce. Se la procura è rilasciata per scrittura privata al difensore, la sottoscrizione può essere autenticata dal difensore medesimo. La procura è unita agli atti.
Ed allora Dalla lettura complessiva dell'e norme si comprende come la persona danneggiata da reato possa scegliere se costituirsi personalmente, sempre tramite un procuratore munito di procura speciale rilasciata a norma dell'art. 100, c.p.p., oppure possa costituirsi a mezzo di un procuratore speciale munito di una procura speciale rilasciata a norma dell'art. 122, c.p.p.; quanto allora alla procura speciale di cui all'art. 100, c.p.p., cioè quella che conferisce al difensore la rappresentanza processuale della persona danneggiata, la legitimatio ad processum. Sul punto la Cassazione sin dal pronunciamento a SS. UU. del 18.6.1993, n. 8650 ha ben chiarito come la interpretazione della volontà di conferire a quel difensore la procura a compiere l'atto debba avvenire non in modo formale ma da una lettura complessiva dell'atto e dalle circostanze concrete, mentre la sottoscrizione del procuratore può avere la finalità duplice di autenticare tanto la firma dell'assistito quanto di sottoscrivere l'atto (cfr. Cass. 8.11.1993, n. 464, Cass. 20.3,2002; Carloni, Cass. 20.12.2010, n. 4443).
Ancora: la procura rilasciata al Difensore per costituirsi parte civile, a norma dell'art. 100, c.p.p., non richiede la specifica indicazione delle imputazioni per cui ci si intende costituire. Si tratta di una disciplina coerente con la ratio sottostante al rapporto fiduciario che deve intercorrere tra il difensore e la parte tipico di qualsiasi sistema processuale. La procura speciale di cui all'art. 122, c.p.p., che, invece, richiede la determinazione dell'oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce, è un atto ontologicamente diverso dalla procura alle liti di cui all'art. 100, c.p.p., in quanto la procura di cui agli arti. 76 e 122 c.p.p., tende ad attribuire a! procuratore la capacità di essere soggetto dei rapporto processuale, al fine di promuovere istanze risarcitorie in nome e per conto del danneggiato; la procura ex art.100 c.p.p., mira a conferire un valido mandato defenzionale della parte rappresentata, onde far valere in giudizio la pretesa di detta parte. ( Cass. SS.UU., 18.11.2004, N. 44712). Nulla rilevando, infine, la eventuale indicazione nominativa effettuata dal Difensore di P.C. (procura speciale/procura alle liti), atteso che per verificare la natura di un atto processuale, non è sufficiente attestarsi sul titolo dell'atto, occorrendo esaminarne il contenuto effettivo, in base al generale principio della prevalenza della sostanza sulla forma nella identificazione dell'atto (Cass. 20.3.2014, n. 15961).
Infine, la questione relativa ai conferimento della procura speciale a due difensori, si risolve con il disposto di cui agli artt. 100 c.p.p. e 24 dìsp. att. c.p.p.: nel senso che la nomina conferita al secondo difensore senza una chiara revoca al primo difensore deve intendersi come priva di effetto. In ogni caso, ove anche si fosse costituito con il difensore in quel momento munito di procura alle liti, e successivamente vi sia stato il conferimento ad un altro difensore, questo avvicendamento, per il principio di immanenza, non avrebbe ripercussioni sulla costituzione. Tenuto conto che come affermato da Cass. n. 39541 del 27.10.2005 qualora la parte civile sia assistita da due difensori, nominati contestualmente e in via disgiuntiva, e il giudice non provveda ad interpellare la parte affinché indichi da quale difensore intenda farsi assistere, non ricorre alcuna ipotesi di nullità per violazione deìl'art 100 c.p.p., che consente la nomina di un solo difensore, non essendo la nullità espressamente comminata Dalla legge. Nell'affermare tale principio la Corte ha precisato: a) che l'imputato non ha interesse a dedurre l'irregolare nomina dei difensori della parte civile, in quanto l'inosservanza delle disposizioni relative al numero dei difensori consentiti non lede i suoi diritti; b) che la nomina di due difensori della parte civile si risolve in una anomala previsione di sostituzione processuale reciproca, per cui una volta che il primo abbia assunto le conclusioni, all'altro saranno precluse.
Ed allora con specifico riferimento a singoli aspetti sollevati:
• Avvocatura Stato per Ministero della Salute e per Ministero dell'Ambiente e tutela del territorio:
è stata eccepita la violazione ex art. 78 lett. a) e c) della costituzione in quanto non sarebbero indicate le generalità dei Ministri pro tempore, né sarebbe stata indicata la fonte della legittimazione processuale in capo all'Avvocatura di Stato.
La questione deve essere rigettata atteso che secondo i principi propri del diritto processuale civile non può dirsi sussistente il difetto di legittimazione da parte di un Ministro, ricorrente, per mancanza della indicazione nominativa della persona rappresentante l'autorità che ricorre, in quanto il rapporto di immedesimazione organica deve dirsi chiaramente desumibile dalla indicazione generica e non nominativa.
Nella specie, contrariamente a quanto dedotto, la provenienza dell'atto di costituzione dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio e dal Ministero della Salute al cui "legale rappresentante pro tempore" (vale a dire al Ministro) va ascritta, senza necessità di indicazione nominativa, la rappresentanza organica, quale organo esponenziale della branca della P.A. interessata, si desume agevolmente dalla stessa costituzione della Avvocatura di Stato (cfr. Cass. civile, 5.6.2006, n. 13207). Vi è di più, deve dirsi principio consolidato in giurisprudenza quello in base al quale non è applicabile agli enti pubblici, per i quali il rapporto organico tra ufficio e persona fisica ad esso preposta non integra l'istituto della rappresentanza nel senso civilistico del termine, bensì si risolve nella immedesimazione tra preposto ed ente (Cass. 15.1.2001, n. 9663).
La costituzione di parte civile, per mezzo dell'Avvocatura dello Stato, non richiede il conferimento di una procura da parte dell'Amministrazione rappresentata in giudizio, perché l'Avvocatura dello Stato deriva lo ius postulandi direttamente dalla legge, con l'ulteriore conseguenza che non è neppure onerata della produzione della documentazione attestante la volontà della stessa amministrazione di procedere giudizialmente. (Cass. 4.11.2009, n. 5447, In senso conforme: Cass. pen. n. 4060 del 2008, Cass. pen., sez. V, 27 marzo 1999 n. 11441, Cass. pen. n. 4298 del 1986). La legge 3,1.1991, n. 3 che stabilisce al comma 4 dell'art. 1 che la costituzione di parte civile dello stato deve essere autorizzata dal presidente del Consiglio dei Ministri, afferisce esclusivamente allo Stato, come si capisce chiaramente dalla lettera della norma e dalla ratio della legge stessa.
* CGIL: viene eccepita la carenza di legittimazione in quanto non sono indicate le generalità del legale rappresentante prò tempore. Ai finì della legittimazione alle liti, un'associazione non riconosciuta, qual è anche un'organizzazione sindacale, è legalmente rappresentata dal presidente o dai segretario generale, norma, questa, stabilita a vantaggio dei terzi che possono convenire in giudizio l'associazione in persona di costoro, indipendentemente da ciò che prevede lo statuto, il quale non può escluderne la predetta legittimazione passiva, ma può attribuire quella attiva anche ad altri organi a tutela dell'associazione, senza necessità di previa autorizzazione da parte dei soci, perché essa sta in giudizio come parte in sé e non come mera rappresentante di questi ultimi, che non sono titolari del rapporto processuale (Consiglio di Stato 27.10.1995, n. 1485). Tenuto conto inoltre che la legittimazione processuale ricade a norma deìi'art. 75 c.p.c., in capo alle persone indicate negli articoli 36 e ss. ex.: quest'ultima norma stabilisce al comma 2 che le associazioni "possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione" ne discende che con riguardo alla identificazione del rappresentante legale dell'associazione non riconosciuta deve farsi riferimento a quanto previsto nello statuto, atto che regola le vicende interne afferenti il potere di rappresentanza della stessa non necessitando, pertanto una indicazione nominativa della persona fisica che ricopre tale carica.
* Medicina Democratica: viene eccepito il difetto del potere rappresentativo in quanto, si sostiene, ci si riferisce ad un art. 39 inconciliabile, secondo quanto dedotto con un atto costitutivo che invece consterebbe di un solo articolo. In realtà era sufficiente verificare gli atti per rendersi conto che lo statuto di Medicina Democratica, giusto atto del notaio Omissis, n. rep. 11992 del 24.5.2003, non presenta vizi di sorta. Tenuto conto infine come a pag. 9 della procura speciale vi sia esplicitato ii potere di costituirsi parte civile.
* AIL Taranto (Avv. P.): l'atto di costituzione di parte civile a norma dell'art. 78, lett. b), c.p.p. deve contenere le generalità dell'imputato [...] o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo. Non ci devono essere incertezze circa i soggetti nei cui confronti si sta esercitando l'azione civile: incertezza che realmente non si può individuare nel caso che ci occupa attesa la certa, ex actis, riferibilità dell'azione civile agli imputati (cfr. Cass. 30.4.2015, n. 34147, secondo cui è ammissibile la costituzione di parte civile formalizzata facendo riferimento alla generalità degli imputati di una specifica imputazione, poiché destinatari dll'azione civile sono identificabili "ex actis" senza incertezze).
* ASSO CONSUM (Avv. E.B.): ci si riporta a quanto indicato in generale con la sola precisazione che l'atto costitutivo con notaio di Napoli è del 5.7.2002.
* Codacons e Art. 32: nel caso sono indicate sia ie imputazioni che le condotte degli imputati, sebbene in modo sintetico. La questione ulteriore afferisce alla circostanza verificatasi all'udienza del 19.7.2016. CODACONS e articolo 32 revocavano la vecchia costituzione di parte civile presentando una nuova costituzione che veniva dichiarata tardiva con ordinanza emessa in pari data Dalla Corte dì Assise. Ad avviso della Difesa eccepente se la costituzione nuova è stata correttamente dichiarata tardiva dalla Corte di Assise, altrettanto non può dirsi con riferimento alla revoca che invece può intervenire in ogni stato e grado del procedimento. La questione, ad avviso della Corte, non è fondata e deve essere rigettata in quanto la "revoca" quale atto formale, cioè quale rinuncia all'azione è un atto personale della parte che, infatti, deve avere le forme di cui all'art. 82, c.p.p.: deve cioè provenire direttamente dalla parte o da un suo procuratore speciale. In questo caso, cioè, il difensore necessita di una procura speciale con ie forme di cui all'art. 122 c.p.p., procura che non si rinviene nel caso di specie. Nel caso, a prescindere dalla indicazione nominativa data dal Difensore all'atto, "revoca'', è indubbio che si trattasse di una sostituzione materiale dell'atto di costituzione, il cui venir meno a seguito della citata ordinanza della Corte di Assise, non consente di ritenere revocata la parte civile che comunque rimane, in ossequio al principio di immanenza, costituita in virtù del vecchio atto di costituzione, attraverso il quale quest'ultima faceva formalmente ingresso nel processo.
• Comitato Liberi e Pensanti (Avv. B.P.): L'atto dì costituzione non sarebbe sottoscritto dal procuratore Avv. B.P.; in realtà sarebbe stato sufficiente vedere l'atto in originale per verificare che la sottoscrizione è presente (si confronti l'atto depositato alla udienza del 17.5.2016).
• Avv. OMISSIS: ci si riporta alla questione già affrontata con riferimento alla identificazione dell'imputato. Inoltre vi è la indicazione dei reati e l'indicazione della causa petendi; Con riferimento agli atti di costituzione di OMISSIS quali eredi di OMISSIS è stato eccepito che vi è stata una mera dichiarazione confermativa e non autonoma dichiarazione di costituzione Tale questione è priva  di pregio in quanto è noto che per il principio della immanenza, alla morte della persona costituita parte civile non conseguono gli effetti della revoca tacita né quelli interruttivi del rapporto processuale previsti dall'art. 300 c.p.c. - inapplicabili al processo penale, ispirato all'impulso d'ufficio - in quanto la costituzione resta valida ex tunc, tanto che, ad esempio, nessuna conseguenza può quindi ricavarsi dalla mancata comparizione in grado dì appello degli eredi del defunto titolare del diritto, e neppure dall'assoluta inerzia da parte degli stessi, in quanto l'art. 82, comma 2, c.p.p., limita i casi di revoca presunta o tacita della costituzione di parte civile alle sole ipotesi di omessa presentazione delle conclusioni nel corso della discussione in fase di dibattimento di primo grado (cfr. Cass. 17.10.2013, n, 7021). Tenuto conto inoltre di come, nel caso, gli eredi agiscano iure successionis e non anche iure proprio, sicché nessuna nuova dichiarazione di costituzione è nel caso necessaria (Cfr. Cass. 5.4.2011, n. 14251 e già Cass. 9.4.2005, n. 38809).
• Avv. S. (Don. G.B.): ci si riporta a quanto già indicato nella parte generale con riferimento all'art. 635, c.p..
• Avv. F.P. (N.G. +1): l'originale della procura di N.G. riporta la firma non autenticata dai Difensore.
• Avv. C.A. (per diverse parti civili): la difesa assume che la procura sia viziata in quanto è stata rilasciata sulla falsa riga di una nomina difensiva. La questione non è fondata in quanto si tratta di una procura alle liti a norma dell'art. 100 e non una procura speciale ex art. 122. Altra questione: la procura a depositare la costituzione di parte civile non conteneva alcuna indicazione di imputato ed imputazione. E' dei tutto irrilevante: la procura rilasciata al Difensore per costituirsi parte civile, a norma dell'art. 100, c.p.p., non richiede la specifica indicazione delle imputazioni per cui ci si intende costituire. Si tratta di una disciplina coerente con la ratio sottostante al rapporto fiduciario che deve intercorrere tra il difensore e la parte tipico di qualsiasi sistema processuale. La procura speciale di cui all'art. 122, c.p.p., che, invece, richiede la determinazione dell'oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce, è un atto ontologicamente diverso dalla procura alle liti di cui all'art. 100, c.p.p., in quanto la procura di cui agli artt. 76 e 122 c.p.p., tende ad attribuire al procuratore la capacità di essere soggetto del rapporto processuale, al fine di promuovere istanze risarcitorie in nome e per conto del danneggiato; la procura ex art.100 c.p.p., mira a conferire un valido mandato defenzionale della parte rappresentata, onde far valere in giudizio la pretesa di detta parte. ( Cass. SS.UU., 18.11.2004, N. 44712).
• Avv. S.B. (per diverse parti civili): le sottoscrizioni di OMISSIS nell'originale sono autenticate e di R.G.; la procura sottoscritta dal P. è allegata all'atto di quest'ultimo, sicché mero errore materiale deve dirsi la intestazione in capo al P..
• Avv. LP.: gli originali delle procure speciali sono sottoscritte.
• Avv.to C. (per D.): la sola indicazione manchevole è quella relativa alla residenza che non è un elemento relativo alle generalità.
• Avv. D. (per S.A.): dalla lettura complessiva dell'atto si comprende che non vi è alcuna questione di legittimazione processuale.
• Avv. DV.: leggendo gli originali degli atti si evince come siano tutti sottoscritti; la assenza della indicazione della residenza non è un elemento afferente le generalità.
• Avv. P.: è fondata la questione sollevata con riferimento alla costituzione per sé in quanto nel processo penale è sempre necessaria una difesa tecnica altrui (cfr. Cass. 30.1.2008, n. 25690).
• Avv. S.: vanno respinte tutte le eccezioni (sugli originali vi erano le sottoscrizioni) ad eccezione di quella afferente A.A. che va escluso.
• Avv. T.: per il F.. La questione della gestione attiene alla legitimatio ad causam ed al comento è senza dubbio superata dalla allegazione fornita dagli stessi.
Per Peacelink nazionale, invece, fondata è la questione formale, in quanto effettivamente la procura non risulta essere sottoscritta. Pertanto la costituzione andrà esclusa.
• Avv. B. (per Arca Jonica ex IACP): non vi è alcuna questione di legittimazione ad agire in quanto la dott.ssa P. risulta essere il Commissario Straordinario.
• Avv. R.: non è fondata la questione in quanto vi è atto costitutivo notarile e la dichiarata qualità di Presidente è sufficiente a colmare la legittimazione (vedi Cass. 26.2.2003, n. 19925).
• Avv. S. (per S.G.): la questione è infondata perché l'originale dell'atto è sottoscritto da S.G. ed è interlineato il nome di A..
• Avv, S. (per C.A.): l'originale risulta sottoscritto.
• Avv.ti L., R., S.: la procura di V.F. è autenticata con atto notarile; quelle di G.C., I.D., B.G. e M.F. sono autenticate dal funzionario comunale. La procura di D'A. N.: la firma è autenticata dal difensore.
 

 

P.Q.M.
 

 

• rigetta le questioni di nullità sollevate secondo quanto meglio specificato al paragrafo a) di parte motiva;
• esclude la costituzione di parte civile nei confronti degli imputati di cui ai capi D), F), G), RR) ed SS) ad eccezione degli eredi di M.C. e agli eredi di Z.F. ed alle persone offese S.F. e P. S,, come meglio specificato ai paragrafi b) e c) della parte motiva;
• esclude le costituzioni di parte civile avanzate dall'avv.to Omissis nel proprio interesse e quelle di P. nazionale ed A.A., per le motivazioni meglio indicate al paragrafo d) della parte motiva;
• rigetta tutte le altre questioni anche con riferimento alle richieste di esclusione dei responsabili civili e alle avanzate estensioni delle domande risarcitorie.
Taranto, 4 ottobre 2016