Cassazione Civile, Sez. Lav., 09 gennaio 2018, n. 278 - Infortunio mortale dell'assistente tecnico dipendente del Genio civile precipitato da una scala a pioli. Risarcimento da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: DE FELICE ALFONSINA Data pubblicazione: 09/01/2018
Fatto
La Corte d'Appello di L'Aquila con sentenza in data 20/11/2011 in riforma della decisione del Tribunale di Chieti n. 924/2010, ha accolto il ricorso del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti accertando l'insussistenza della responsabilità risarcitoria dello stesso per la morte di G.T., assistente tecnico dipendente del Genio Civile delle Opere marittime di Ancona, avvenuta nel corso di verifiche tecniche presso un edificio demaniale dell'Ufficio Circondariale Marittimo di Ortona, sede degli alloggi di servizio del personale ivi operante.
L'incidente che aveva condotto all'evento mortale era consistito nella caduta nel vuoto del lavoratore da una scala a pioli, posta su un terrazzino senza ringhiera, dal quale si accedeva al tetto di copertura degli alloggi.
La Corte ha evidenziato che il compito assegnato dall'amministrazione al dipendente era di verificare gli interventi necessari, per ovviare al cedimento di un terrazzino dell'edificio demaniale, e, dunque, l'iniziativa di andare a perlustrare il tetto dell'abitazione era stata del tutto personale e aveva esposto il dipendente a un rischio eccessivo dal quale era derivata la fatale perdita di equilibrio.
La dinamica dei fatti ha dimostrato, secondo il Giudice dell'Appello, il carattere di assoluta imprevedibilità dell'azione, oltre che avvalorato l'ipotesi di un malore decisivo nell'aver causato la perdita di equilibrio e dunque la caduta nel vuoto del lavoratore.
Avverso tale sentenza interpongono ricorso L.DF., M..T. e GI.T., rispettivamente moglie e figli del lavoratore, con due censure, cui resiste con tempestivo controricorso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
Diritto
1. Con la prima censura i ricorrenti deducono "Contraddittorietà della motivazione".
La Corte d'Appello avrebbe dapprima affermato che il lavoratore si era recato presso lo stabile su richiesta, per svolgere un intervento, in via d'urgenza, a causa del cedimento delle strutture di un terrazzino afferente all'immobile demaniale oggetto dell'incarico, per poi asserire, con motivazione contraddittoria, che l'essersi recato presso la sede degli alloggi del personale per svolgere detta perizia, avrebbe determinato uno sconfinamento dall'incarico ricevuto.
In concreto, secondo parte ricorrente, il balcone dal quale era precipitato il G.T. era annesso agli alloggi della cui perizia egli era stato formalmente incaricato. In conclusione, dunque, la Corte d'Appello non avrebbe dovuto ravvisare alcuno sconfinamento dall'incarico assegnato.
Inoltre, la sentenza avrebbe scagionato il datore da ogni responsabilità senza che egli avesse provato in giudizio il rispetto delle norme di sicurezza, di aver fornito al lavoratore la strumentazione idonea al servizio di consulente tecnico, e neanche di aver adempiuto l'obbligo di vigilanza durante le procedure d'ispezione e sopralluogo, attraverso l'Ufficio del Genio Civile Opere Marittime di Ancona.
Il primo motivo è fondato.
L'iter logico argomentativo della sentenza è viziato da contraddittorietà, tale da non consentire l'esatta individuazione della ratio decidendi.
Com'è stato accertato nell'istruttoria, G.T., assistente tecnico del Genio Civile di Ancona distaccato presso il Nucleo Operativo Portuale di Pescara, era stato incaricato, in via d'urgenza, di effettuare una verifica statica delle strutture portanti di un terrazzino collocato presso l'edificio demaniale dove alloggiava il personale dell'Ufficio Circondariale Marittimo di Ortona. Lo stesso G.T. era già incaricato di svolgere sopralluoghi e perizie nella sede del predetto Ufficio e della Casermetta Marinai, per le conseguenze del distacco di un gocciolatoio.
Date tali premesse, incontestate anche da parte del Ministero controricorrente, il fatto controverso consiste nell'intendere se quell'essersi recato presso lo stabile, sede degli alloggi del personale, costituisse un'attività inclusa nell'Incarico, ovvero, come ha ritenuto la Corte territoriale, fosse il frutto di un'autonoma iniziativa del tecnico.
A tal proposito la decisione gravata afferma testualmente: "Il G.T., dopo aver esaminato i terrazzi della sede uffici e della casermetta marinai, manifestava l'intenzione di portarsi presso la sede degli alloggi per procedere anche lì ad alcuni accertamenti con il che facendo ipotizzare uno sconfinamento dall'Incarico per il quale si era recato sul posto".
La contraddittorietà della motivazione si palesa in tutta la sua evidenza, specie se si considera che lo sconfinamento, affermato dalla Corte territoriale, risulta meramente supposto, in quanto la Corte non esplicita in che modo esso risulti essere stato provato dall'Amministrazione.
L'insufficienza della statuizione si rileva poi anche dalla valutazione circa l'uso del mezzo della scala, in cui la Corte d'Appello, con argomentazione non concludente, sostiene che il lavoratore abbia utilizzato "...una scala non facente parte dei beni inventariati in carico all'Ufficio, cioè fornita dall'Amministrazione, bensì una scala probabilmente appartenente alla famiglia...e comunque inadeguata allo scopo", scagionando l'Ente, sulla base di tale laconica supposizione, da ogni responsabilità per l'infortunio mortale occorso al dipendente.
Non dà conto, la Corte territoriale, della prova fornita dal datore di aver dotato il tecnico della strumentazione idonea a scongiurare l'infortunio, o di aver vigilato durante l'espletamento del sopralluogo per il tramite dell'Ufficio del Genio Civile di Ancona, ma, si limita ad affermare che l'esonero da responsabilità del Ministero consegue dalla circostanza che il dipendente avesse fatto uso di una scala non fornita dal datore, in quanto "non inventariata".
La conclusione cui perviene, in base a questo - invero assai parziale - accertamento è che "...Dalla dinamica dei fatti, non sembra potersi ravvisare, per quel che qui interessa, una responsabilità dell'amministrazione appellante".
La concezione di sicurezza sul lavoro, che emerge dalla decisione della Corte territoriale, infatti, non trova riscontro nella costruzione normativa di un preciso obbligo contrattuale posto a carico del datore, rafforzato dalla sua natura "bifronte", da un lato verso lo Stato, per la realizzazione del diritto costituzionale alla salute del cittadino (art. 32), dall'altro verso i singoli lavoratori. Tale obbligo onera in concreto, il datore di lavoro di una complessa attività che va dalla responsabilità dell'organizzazione dei processi lavorativi, della scelta, dell'acquisto delle dotazioni di lavoro e della loro distribuzione al personale, fino a quella della formazione dello stesso personale sulla materia della prevenzione degli infortuni.
La sentenza gravata è dunque viziata perché contraddittoria nella motivazione e inconcludente nell'accertamento della responsabilità dell'amministrazione.
Secondo una consolidata giurisprudenza di questa Corte "La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico- formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo dell'omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice del merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le Argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione" (Cass. n. 19547/2017).
2. La seconda censura lamenta "Insufficienza della motivazione", là dove la Corte d'Appello, sulla mera circostanza, emersa dalle testimonianze, che il lavoratore fosse precipitato "senza emettere un grido", ha dedotto che l'incidente sia stato determinato da un malore. Tale convincimento, secondo i ricorrenti, sarebbe basato su valutazioni soggettive e non già su dati di fatto oggettivi, tanto da far ritenere che la Corte abbia espresso una mera predilezione per la tesi del malore determinante della caduta, tale da escludere la responsabilità datoriale per l'accaduto, senza alcun reale riscontro probatorio.
La seconda censura rimane assorbita.
In definitiva, essendo fondata la prima censura e assorbita la seconda, il ricorso è accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d'Appello di Roma, la quale provvederà attenendosi ai principi sopra ribaditi, statuendo anche sulle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza e rinvia alla Corte d'Appello di Roma, anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso all'Udienza del 10/10/2017