Categoria: Cassazione penale
Visite: 7695

Cassazione Penale, Sez. 4, 12 gennaio 2018, n. 1254 - Dipendente presso il locale caldaia della ditta ustionato ai piedi a causa di due scoppi delle bombolette spray. Inidoneità dei dispositivi di sicurezza individuali


 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: PICARDI FRANCESCA Data Udienza: 15/12/2017

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza emessa all'udienza del 31 marzo 2017, depositata nel termine di trenta giorni di cui all'art. 544, terzo comma, cod.proc.pen., in data 24 aprile-2017, ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Mantova, con cui M.A. è stato dichiarato responsabile del reato di cui all'art. 590, primo, secondo e terzo comma, cod.pen. e, concesse le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla aggravanti, è stato condannato alla pena di mesi uno e giorni 15 di reclusione, sostituita con la multa di euro 11.250,00 (per avere, in qualità di legale rappresentante della Pangueta s.p.a., in violazione degli artt. 66, 18, comma 1, lett. d, 37, comma 1, del d.lgs. n.81 del 2008, cagionato lesioni colposi gravi, con prognosi di 75 giorni, a P.B., dipendente presso il locale caldaia della ditta, ustionato ai piedi a causa di due scoppi delle bombolette spray in data 18 giugno 2010). Nella sentenza di primo grado, l'infortunio patito da P.B. è stato ricondotto all'inconsulto comportamento di un terzo che, gettando delle bombolette spray nella caldaia, mentre la persona offesa era intenta in operazioni di sgrigliatura, ha provocato uno scoppio nella camera di combustione; al datore di lavoro è stata attribuita la responsabilità dell'evento in quanto, in violazione dell'art. 2087 cod.civ., non ha dotato la macchina di dispositivi di chiusura manovrabili solo dagli addetti e non ha previsto la presenza di un ausiliario dell'operaio addetto alla sgrigliatura che potesse sorvegliare lo sportello in modo da impedire comportamenti impropri da parte di estranei. Al contrario, nella ricostruzione della Corte di Appello, si è escluso che l'infortunio sia derivato dal comportamento di un terzo non identificato, consistente nel gettare le bombolette spray nella caldaia, e lo si è attribuito all'imputato per non aver messo a disposizione della persona offesa i dispositivi di protezione pur previsti nel documento di valutazione rischi (e, cioè, di stivali o di ghette da abbinare alle scarpe), che avrebbero impedito alla cenere di penetrare all'interno delle calzature. Il giudice di secondo grado ha escluso che P.B. stesse lavorando a piedi nudi o con scarpe da ginnastica, ritenendo, invece, che egli indossasse le scarpe polacchino con suole HRO, che gli risultano consegnate dalla scheda personale di fornitura.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, in data 6 giugno 2017 M.A..
2. Con il primo motivo si è dedotta l'omessa motivazione in ordine all'eccepita violazione dell'art. 521 cod.proc.pen., pur ravvisata dal giudice di secondo grado nella sentenza di primo grado; con il secondo motivo si è dedotta la violazione degli artt. 521 e 522 cod.proc.pen., atteso che, avendo il giudice di secondo grado sostituito la motivazione della condanna, rendendo il reato accertato conforme alla contestazione, ha privato l'imputato di un grado di giudizio; con il terzo motivo si è dedotta l'inosservanza dell'art. 597 cod.proc.pen., essendosi riconosciuta una circostanza aggravante esclusa dal Tribunale in difetto di appello del pubblico ministero (omessa fornitura dei dispositivi di protezione individuale indicati nel documento di valutazione rischi); con il quarto motivo si è dedotta la manifesta illogicità della motivazione relativamente alla previsione nel documento di valutazione rischi, al tempo dell'infortunio, di utilizzo di ghette o stivali, che sono state previste solo nel documento di valutazione rischi adottato successivamente all'infortunio, ed alla inidoneità dei dispositivi di protezione individuale effettivamente previsti, anche se correttamente indossati (scarponcini e pantaloni a copertura del collo del piede), ad evitare l'infortunio.
 

 

Diritto

 

Il ricorso non merita accoglimento.
1.I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente, vanno rigettati.
Relativamente alla prima censura, che si riferisce alla sentenza di primo grado, occorre sottolineare che la difformità tra contestazione e decisione, pur sempre contenuta entro i limiti di ammissibilità, è del tutto superata alla luce della diversa ricostruzione del fatto operata dal giudice di secondo grado, sicché ogni motivazione sul punto sarebbe risultata superflua. In merito all’inesistenza di una violazione degli artt. 521 e 522 cod.proc.pen. può aggiungersi che, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, ud., dep. 19/08/2014, rv. 260161 che riguarda fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l’omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori).
Relativamente alla seconda censura va osservato che l’accertamento operato dal giudice di appello risponde alla contestazione formulata dal p.m. e che il ricorrente ha avuto modo di esplicare il suo diretto di difesa sul punto sia in primo sia in secondo grado, come risulta dalla sentenza di appello in cui, nel riassumere il contenuto dell’impugnazione, si precisa “premessa l’idoneità riconosciuta anche dal Tribunale delle attrezzatture e delle protezioni fornite al lavoratore per eseguire in sicurezza l’operazione di sgrigliatura, l’appellante insisteva nel sottolineare che se P.B. avesse realmente indossato l’abbigliamento prescritto non avrebbe potuto ustionarsi entrambi i piedi e questo perché l’abbigliamento antiinfortunistico fornito al lavoratore sarebbe stato perfettamente idoneo a proteggerlo anche da un getto violento di polveri incandescenti. Maggiormente verosimile si sarebbe allora rivelata la ricostruzione prospettata dalla difesa- ma ignorata dal Tribunale - secondo la quale P.B., peraltro già in passato richiamato per non aver indossato l’abbigliamento prescritto, sarebbe sceso ad eseguire l’operazione calzando scarpe personali non idonee”.
2. Il terzo motivo di ricorso è infondato, in quanto anche nella sentenza di primo grado era stata riconosciuta l’aggravante di cui all’art. 590, secondo comma, cod.pen. conformemente all’orientamento secondo cui, in tema di delitti colposi derivanti da infortunio sul lavoro, per la configurabilità della circostanza aggravante speciale della violazione delle norme antinfortunistiche non occorre che siano violate norme specifiche dettate per prevenire infortuni sul lavoro, essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa della violazione dell'art. 2087 cod. civ., che fa carico all'imprenditore di adottare, nell'esercizio dell'impresa, tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori (Sez. 4, n. 28780 del 19/05/2011 ud., dep. 19/07/2011, rv. 250761). A ciò si aggiunga che l’aggravante riconosciuta in secondo grado risponde pienamente alla contestazione originariamente formulata.
3. Parimenti non merita accoglimento il quarto motivo, che, da un lato, si traduce nella denuncia di un asserito travisamento della prova relativamente al contenuto del documento di valutazione dei rischi adottato prima dell’infortunio e, dall’altro, nella censura della valutazione effettuata dal giudice di merito circa la inidoneità dei dispositivi di sicurezza individuali, consistenti nei soli scarponcini senza ghette, anche se abbinati a pantaloni ignifughi. Il motivo, da un lato, si riferisce ad una circostanza non decisiva ai fini della decisione e, dall’altro, si traduce in una valutazione di fatto diversa da quella operata dal giudice di merito. In proposito occorre sottolineare che il travisamento della prova è rilevante solo laddove investa elementi in grado di incidere sulla decisione adottata, ribaltandola, mentre, nel caso di specie, ciò che è risolutivo non è il contenuto del documento di valutazione rischi, vigente all’epoca dell'Infortunio, ma l’inidoneità dei dispositivi di sicurezza individuali consegnati al lavoratore, su cui il giudice di merito si è espresso con una motivazione congrua e assolutamente logica (“l’utilizzo della sola scarpa era tale da non poter impedire che il materiale incandescente trattato dal lavoratore potesse insinuarsi nel bordo superiore della scarpa stessa e raggiungere così le carne dell’operaio”). A ciò si aggiunga che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 ud., dep. 27/11/2015, rv. 265482).
In conclusione, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
 

 

P.Q.M.

 


rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso 15 dicembre 2017.