Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 gennaio 2018, n. 1385 - Omessa vigilanza sulle modalità di esecuzione dell'operazione di riavvolgimento dei cavi di acciaio: infortunio in nave e responsabilità della società


 

Presidente: MANNA ANTONIO Relatore: LORITO MATILDE Data pubblicazione: 19/01/2018

 

 

 

Rilevato che

 


la Corte d'Appello di Palermo, con sentenza resa pubblica in data 29/12/2011, in riforma della pronuncia del giudice di prima istanza, condannava la s.r.l. Commercial Pesca al risarcimento del danno biologico e morale risentito da A.S. a seguito dell'Infortunio occorsogli in data 10/6/2002, liquidandolo in complessivi euro 478.671,00, detratto quanto eventualmente liquidato a titolo di danno biologico da parte del competente ente assicurativo;
la Corte distrettuale perveniva a tale convincimento sulla scorta dei seguenti rilievi: l'espletata istruttoria aveva evidenziato la responsabilità dell'evento infortunistico in capo alla società per effetto della condotta assunta dal preposto capitano della nave, al quale era risultata addebitabile l'omessa vigilanza sulle modalità di esecuzione dell'operazione di riavvolgimento dei cavi di acciaio nel corso della quale il A.S. aveva riportato gravi lesioni al braccio destro; nessuna responsabilità diretta dell'evento era peraltro riconducibile al comandante ed al macchinista atteso che "la condotta ascrivibile in capo ai due agenti si trova pur sempre in rapporto di occasionalità necessaria con le mansioni espletate... ed è per ciò solo riconducibile alla sfera del datore di lavoro"; non era configurabile alcun concorso di colpa del lavoratore, giacché in caso di violazione di norme poste a tutela della integrità fisica del lavoratore, il datore è interamente responsabile dell'infortunio che ne sia conseguito poiché ha il dovere di proteggere l'incolumità di quest'ultimo nonostante la sua imprudenza e negligenza;
avverso tale decisione interpone ricorso per Cassazione la società affidato a tre motivi;
gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
 

 

Considerato che

 


l. con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt.1228, 2043, 2049 c.c. in relazione all'art.360 comma primo n.3 c.p.c.; .
deduce l'erroneità degli approdi ai quali è pervenuta la Corte distrettuale la quale, dopo aver dichiarato la responsabilità della società in relazione all'evento infortunistico occorso al lavoratore ex art.2049 c.c. per fatti commessi dai loro dipendenti, ha escluso una responsabilità degli stessi, ritenendo che la condotta posta in essere fosse causalmente connessa alle mansioni espletate;
tale accertamento si traduce in diniego di riconoscimento del diritto di rivalsa che le disposizioni codicistiche riconoscono in favore dei padroni e committenti condannati per responsabilità contrattuale conseguente ad un illecito del dipendente, nei confronti di quest'ultimo;
2. il motivo è privo di pregio;
occorre infatti rimarcare il principio risalente nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'interesse ad impugnare deve essere interno al processo, il concreto interesse essendo dipendente da un pregiudizio connesso alla statuizione del giudice e non derivante da ragioni estranee (cfr. Cass. 11/7/2014 n.16016, Cass. 8/2/2003 n.1915);
in conformità al citato orientamento deve ritenersi che nello specifico, il ricorso, in parte qua, non sia sorretto da un interesse concreto ed attuale coerente coi dettami di cui all'art.100 c.p.c., non avendo la società formulato alcuna domanda di garanzia cd. impropria nei confronti del proprio dipendente;
3. con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 1218, 1227, 2087, 2697 c.c. in relazione all'art.360 comma primo n.3 c.p.c.;
ci si duole che la Corte distrettuale abbia escluso il concorso di colpa del A.S. nella causazione dell'evento dannoso in contrasto con il consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l'obbligo imposto al datore di lavoro dall'art.2087c.c. di adottare tutte le cautele per salvaguardare l'integrità psicofisica dei dipendenti, non esime costoro dal comportarsi secondo la normale prudenza con la conseguenza che, ove si sia verificato un evento dannoso che risulti determinato da comportamenti addebitabili sia al datore di lavoro che al lavoratore, deve essere riconosciuto anche il loro concorso di colpa; in tal senso si palesa l'omessa valutazione delle dichiarazioni testimoniali raccolte secondo le quali il lavoratore era intervenuto a sistemare il cavo di propria iniziativa e senza chiedere, come doveroso, il fermo della macchina;
4. il motivo va disatteso;
invero, la pronuncia impugnata si colloca nel solco dell'orientamento espresso da questa Corte, secondo cui (vedi ex aliis, Cass. 13/1/2017 n. 798) in tema di infortuni sul lavoro e di cd. rischio elettivo, premesso che la "ratio" di ogni normativa antinfortunistica è quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela, la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, cosi da porsi come causa esclusiva dell'evento e da creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere. In assenza di tale contegno, l'eventuale coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l'evento è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell'entità del risarcimento dovuto;
ciò in quanto il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell'integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile dell'infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggerne l'incolumità nonostante la sua imprudenza o negligenza (in questi sensi, vedi Cass. 5/12/2016 n.24798);
5. con il terzo motivo è denunciata violazione dell'art. l comma terzo nn. 10 e 11 d.p.r. 1124/65 ex art.360 comma primo n.3 c.p.c. per avere i giudici del gravame liquidato il danno senza tener conto, in concreto, dell'abbattimento dovuto per il pagamento della indennità assicurativa da parte dell'ente previdenziale, omettendo di accertare se un danno differenziale fosse ancora dovuto dopo il pagamento dell'infortunio da parte dell'Ipsema;
6. il motivo è fondato;
come affermato da questa Corte in numerosi e condivisi approdi, in tema di danno cd. differenziale, il giudice di merito deve procedere d'ufficio allo scomputo, dall'ammontare liquidato a detto titolo, dell'importo della rendita INAIL, anche se l'istituto assicuratore non abbia, in concreto, provveduto all'indennizzo, trattandosi di questione attinente agli elementi costitutivi della domanda, in quanto l'art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965, ai commi 6, 7 e 8, fa riferimento a rendita "liquidata a norma", implicando, quindi, la sola liquidazione, un'operazione contabile astratta, che qualsiasi interprete può eseguire ai fini del calcolo del differenziale. Diversamente opinando, il lavoratore locupleterebbe somme che il datore di lavoro comunque non sarebbe tenuto a pagare, né a lui, perché, anche in caso di responsabilità penale, il risarcimento gli sarebbe dovuto solo per l'eccedenza, né all'INAIL, che può agire in regresso solo per le somme versate; inoltre, la mancata liquidazione dell'indennizzo potrebbe essere dovuta all'inerzia del lavoratore, che non abbia denunciato l'infortunio, o la malattia, o abbia lasciato prescrivere l'azione (vedi Cass. 31/5/2017 n.13819);
si è al riguardo precisato (cfr. Cass. 10/4/2017 n.9166) che le somme eventualmente versate dall'Inail a titolo di indennizzo ex art. 13 del d.lgs. n.38 del 2000 non possono considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato o ammalato, sicché, a fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore di lavoro il risarcimento dei danni connessi all'espletamento dell'attività lavorativa il giudice adito, una volta accertato l'inadempimento, dovrà verificare se, in relazione all'evento lesivo, ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite dal d.P.R. n. 1124 del 1965, ed in tal caso, potrà procedere, anche di ufficio, alla verifica dell'applicabilità dell'art. 10 del decreto citato, ossia all'individuazione dei danni richiesti che non siano riconducibili alla copertura assicurativa (cd."danni complementari"), da risarcire secondo le comuni regole della responsabilità civile; ove siano dedotte in fatto dal lavoratore anche circostanze integranti gli estremi di un reato perseguibile di ufficio, potrà pervenire alla determinazione dell'eventuale danno differenziale, valutando il complessivo valore monetario del danno civilistico secondo i criteri comuni, con le indispensabili personalizzazioni, dal quale detrarre quanto indennizzabile dall'Istituto assicurativo, in base ai parametri legali, in relazione alle medesime componenti del danno, distinguendo, altresì, tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, ed a tale ultimo accertamento procederà pure dove non sia specificata la superiorità del danno civilistico in confronto all'indennizzo, ed anche se l'Istituto non abbia in concreto provveduto all'indennizzo stesso;
con la precisazione, in continuità con Cass. 14/10/2016 n. 20807 ed in motivazione, con Cass.26/6/2015 n. 13222, che il computo del danno differenziale va operato per poste omogenee, sicché, dall'ammontare complessivo del danno biologico, va detratto non già il valore capitale dell'intera rendita assicurativa, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza dell'art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato, volta all'indennizzo del danno patrimoniale;
7. al lume delle superiori argomentazioni, ed in accoglimento della formulata censura, la pronuncia impugnata deve essere cassata in parte qua, con rinvio alla Corte distrettuale designata in dispositivo che provvederà attenendosi ai summenzionati principi e disponendo anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità;
 

 

P.Q.M.

 


La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta i primi due; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'Appello di Palermo in diversa composizione.
Così deciso in Roma nella Adunanza camerale del 27 settembre 2017.