La transazione avvenuta in relazione all’assolvimento degli obblighi retributivi fra il lavoratore ed il datore di lavoro non chiude il contenzioso insorto fra datore di lavoro e Inps relativamente all’omesso versamento dei contributi, essendo autonomo il rapporto contributivo previdenziale rispetto al rapporto lavorativo.
 
"Dopo aver rimarcato l'autonomia del rapporto previdenziale rispetto a quello di lavoro, la Corte di merito ha affermato la sussistenza dell'obbligo contributivo del datore di lavoro indipendentemente dal fatto che fossero stati soddisfatti gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d'opera, ovvero che questi avesse rinunziato ai suoi diritti, ed ha perciò concluso che la transazione stipulata con il lavoratore non può spiegare effetti nel giudizio nel quale l'INPS fa valere il credito contributivo."
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE LUCA Michele - Presidente -
Dott. CUOCO Pietro - Consigliere -
Dott. LAMORGESE Antonio - rel. Consigliere -
Dott. D'AGOSTINO Giancarlo - Consigliere -
Dott. BANDINI Gianfranco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 30484-2005 proposto da:
N.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A.CATALANI N. 39, presso lo studio dell'avvocato STUDIO LEGALE ADOTTI, rappresentata e difesa dall'avvocato BRUSCINO ANTONIO, giusta dichiarazione di revoca e nomina nuovo difensore depositata il 22/12/07;
- ricorrente -
contro I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati SGROI ANTONINO, CORRERA FABRIZIO, CORETTI ANTONIETTA, COSSU BENEDETTA, giusta mandato in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 256/2005 della CORTE D'APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 22/07/2005 R.G.N. 133/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2008 dal Consigliere Dott. ANTONIO LAMORGESE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza depositata il 22 luglio 2005, la Corte di appello di Campobasso ha confermato la decisione di primo grado, che aveva rigettato, dopo averle riunite, le tre opposizioni proposte da N.G., l'una avverso l'ordinanza ingiunzione dell'INPS in data 18 gennaio 1998 per la somma di L. 3.076.000, la seconda e la terza, rispettivamente, contro i decreti ingiuntivi emessi dal Pretore di quella città, su ricorso del medesimo Istituto, per il pagamento di L. 10.212.653 (Decreto n. 2553/98) e di L. 34.671.978 (decreto n. 2578/98).
Nel disattendere l'impugnazione della N., la Corte territoriale ha rilevato che gli addebiti di cui all'accertamento ispettivo erano stati contestati all'appellante nel termine stabilito dalla L. n. 689 del 1981, art. 14: l'accertamento portava la data (OMISSIS) ed il relativo verbale era stato ricevuto dalla N. il (OMISSIS), ed a nulla valeva che l'Istituto il (OMISSIS) aveva avuto dalla Direzione provinciale del lavoro notizia dell'illecito, perchè questa non era sufficiente ai fini dell'accertamento della entità della violazione, effettuato solo il (OMISSIS).
Ha aggiunto la Corte di merito che l'ordinanza ingiunzione, attinente esclusivamente alle sanzioni amministrative, era sufficientemente motivata con il riferimento al verbale ispettivo e alle violazioni riscontrate, oltre che alla indicazione delle norme in base alle quali erano state irrogate le sanzioni; mentre con riguardo ai decreti ingiuntivi erano stati specificati i contributi omessi e l'evasione contributiva, nessuna efficacia potendo spiegare sull'obbligo contributivo la transazione intervenuta con una delle due lavorataci, in relazione alle quali erano dovuti i contributi. Il giudice del gravame ha infine esplicitato gli elementi probatori valorizzati ai fini della ritenuta sussistenza dei rapporti di lavoro in contestazione.
Di questa sentenza la N. ha richiesto la cassazione con ricorso affidato a sei motivi.
L'NPS ha resistito con controricorso.
Diritto

Il primo motivo, nel denunciare violazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14 critica la sentenza impugnata perchè ha ritenuto quale data di accertamento delle violazioni contributive, ai fini poi della decorrenza del termine posto dalla norma denunciata, quella del (OMISSIS), in cui era stata fatta la verbalizzazione degli accertamenti compiuti dall'INPS, e non la precedente del (OMISSIS), allorchè l'Istituto aveva ricevuto la notizia degli illeciti dalla Direzione Provinciale del Lavoro, avendo perciò piena conoscenza del fatto e della sanzione da applicare.

Il motivo è infondato.

Va infatti rilevato che in tema di sanzioni amministrative, e nei casi in cui non sia stata possibile la contestazione immediata, il termine entro il quale la Pubblica Amministrazione ha l'onere di contestare l'infrazione decorre non da quando sia venuta a conoscenza dei fatti ascritti all'incolpato, ma dal diverso e successivo termine in cui essa abbia acquisito tutti gli elementi oggettivi e soggettivi necessari per valutare la sussistenza di una condotta sanzionatole, termine la cui individuazione è rimessa al giudice del merito (giurisprudenza costante, v. fra le più recenti: Cass. 29 febbraio 2008 n. 5467, Cass. 24 maggio 2007 n. 12093).
Nè d'altra parte questo apprezzamento è criticato dalla ricorrente, limitatasi a denunciare il vizio di violazione di legge.

Il secondo motivo denuncia violazione della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 nonchè degli artt. 1965 e 2113 cod. civ. e addebita alla Corte territoriale di aver escluso la rilevanza della transazione intervenuta fra la ricorrente e la dipendente Pietropaolo ai fini della persistenza dell'obbligazione contributiva, così non considerando che la transazione in ordine al rapporto di lavoro chiude ogni possibile contenzioso derivante dal rapporto, compreso quello con l'INPS relativo a presunte omissioni contributive.

Anche questo motivo è privo di fondamento.

Dopo aver rimarcato l'autonomia del rapporto previdenziale rispetto a quello di lavoro, la Corte di merito ha affermato la sussistenza dell'obbligo contributivo del datore di lavoro indipendentemente dal fatto che fossero stati soddisfatti gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d'opera, ovvero che questi avesse rinunziato ai suoi diritti, ed ha perciò concluso che la transazione stipulata con il lavoratore non può spiegare effetti nel giudizio nel quale l'INPS fa valere il credito contributivo.
In tal modo il giudice del merito si è attenuto ai principi giurisprudenziali elaborati con riferimento ad analoghe fattispecie (v. fra le altre Cass. 13 agosto 2007 n. 17670, 3 marzo 2003 n. 3122), e pertanto la sentenza impugnata deve andare esente dalle censure mosse sul punto.

Il terzo motivo denuncia violazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 8, 8 bis, 10 e 11, art. 18, comma 2, art. 35, commi 2 e 3, dell'art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4, art. 164 c.p.c., comma 4 e art. 414 c.p.c., n. 4.
Critica la sentenza impugnata per non avere rilevato la nullità dell'ordinanza-ingiunzione e dei ricorsi per ingiunzione derivante dall'assoluta carenza di motivazione: in tali atti INPS si era limitato ad indicare, in linea di massima, un periodo contributivo e degli importi, senza spiegare i fatti dai quali erano derivate le obbligazioni della ricorrente e senza addurre alcuna ragione a sostegno delle conclusioni prese.
Inoltre il giudice del merito non ha considerato che l'ordinanza-ingiunzione non presentava alcuna motivazione in ordine alle modalità di applicazione e di graduazione delle sanzioni applicate.
Questo motivo va trattato congiuntamente al quinto, con il quale è denunciato vizio di motivazione.
Erroneamente, ad avviso della ricorrente, la sentenza impugnata ha ritenuto che l'INPS con il richiamo al verbale della Direzione Provinciale del lavoro aveva sufficientemente indicato nell'ordinanza-ingiunzione le violazioni e motivato l'applicazione delle sanzioni, e che aveva con il medesimo riferimento adeguatamente illustrato i fatti e le ragioni a sostegno dei ricorsi per ingiunzione.

Anche questi due motivi non possono essere accolti.
 
Relativamente al profilo di censura di difetto di motivazione dell'ordinanza- ingiunzione, la giurisprudenza di questa Corte ha avuto occasione di puntualizzare che "Il contenuto dell'obbligo imposto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 18, comma 2, di motivare l'atto applicativo della sanzione amministrativa, va individuato in funzione dello scopo della motivazione stessa, che è quello di consentire all'ingiunto la tutela dei suoi diritti mediante l'opposizione.
Pertanto, il suddetto obbligo deve considerarsi soddisfatto quando dall'ingiunzione risulti la violazione addebitata, in modo che l'ingiunto possa far valere le sue ragioni e il giudice esercitare il controllo giurisdizionale, con la conseguenza che è ammissibile la motivazione per relationem mediante il richiamo di altri atti del procedimento amministrativo e, in particolare, del verbale di accertamento, già noto al trasgressore in virtù della obbligatoria preventiva contestazione; l'obbligo di motivazione non si estende, invece, alla concreta determinazione della sanzione, cioè ai criteri adottati dall'autorità ingiungente per liquidare l'obbligazione, atteso che al giudice dell'opposizione, eventualmente investito della questione della congruità della sanzione, è espressamente attribuito il potere di determinarla, applicando direttamente i criteri di legge" (cfr. Cass. 22 luglio 2008 n. 20189).
Aderendo a questo principio, si deve escludere la denunciata carenza di motivazione ascritta alla sentenza impugnata, posto che in essa è evidenziato come il provvedimento opposto, attinente unicamente alle sanzioni da applicare per le violazioni contributive, conteneva un preciso riferimento al verbale della Direzione Provinciale del Lavoro ritualmente notificato all'ingiunta e alle violazioni riscontrate e alle disposizioni di legge in base alle quali erano state irrogate le sanzioni.
Riguardo alla nullità dei ricorsi per decreto ingiuntivo che si assume non rilevata dal giudice, va ricordato che l'opposizione al decreto ingiuntivo da luogo ad un ordinario, autonomo giudizio di cognizione, che investe non più la legittimità del decreto, ma il merito della causa, per cui eventuali questioni afferenti al procedimento monitorio restano prive di rilievo ed il giudice della opposizione non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso; con la conseguenza che non può avere alcuna rilevanza, per la validità della pronuncia, l'omessa declaratoria da parte del giudice di merito della nullità del ricorso per ingiunzione e del successivo decreto (v. Cass. 19 gennaio 2007 n. 1184, ed inoltre Cass. 18 giugno 2007 n. 14069, Cass. 24 luglio 2007 n. 16352).

Il quarto motivo denuncia violazione dell'art. 251 c.p.c., comma 2, e critica la sentenza impugnata per avere utilizzato ai fini della decisione la deposizione del testimone P. malgrado lo stesso non avesse prestato giuramento.

Il motivo è infondato, poichè la mancata prestazione del giuramento prescritto dall'art. 251 cod. proc. civ. non comporta, in difetto di espressa comminatoria di legge, la nullità della prova testimoniale, in quanto il giuramento medesimo non costituisce un requisito indispensabile affinchè l'atto raggiunga lo scopo cui è destinato (Cass. 24 ottobre 2007 n. 22330, Cass. 12 ottobre 2001 n. 12430).

Il sesto motivo denuncia vizio di motivazione e critica la sentenza impugnata in ordine alla valutazione di alcune deposizioni testimoniali che avrebbe inficiato anche la conseguente ricostruzione dei fatti di causa.
Addebita inoltre al giudice del gravame di non avere disposto l'espletamento della consulenza tecnica di ufficio richiesta.

Il motivo è inammissibile, dovendosi osservare in relazione al primo profilo di censura che la ricorrente, nel dolersi della inadeguata valutazione delle deposizioni dei testimoni compiuta dal giudice del merito, non ha adempiuto all'onere di trascrivere il contenuto di quelle deposizioni, come richiede la giurisprudenza consolidata di questa Corte regolatrice (v. fra le altre Cass. 17 luglio 2007 n. 15952).
Quanto alla consulenza tecnica di ufficio, si deve rilevare la genericità della critica, non spiegando la ricorrente quali gli accertamenti che l'ausiliare avrebbe dovuto compiere nel corso dell'indagine, quali le ragioni in base alle quali si rendeva necessaria l'ammissione della consulenza e in quale atto del giudizio aveva avanzato la richiesta (Cass. 12 maggio 2002 n. 6115) disattesa dalla Corte di merito, tanto più che non risulta alcuna istanza della ricorrente in proposito nè nel corso della sentenza nè nelle conclusioni riportate nella parte iniziale di essa.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.
 
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 10,00 e in Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2009