Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 24 gennaio 2018, n. 1764 - Mancato aggancio della cintura e caduta del lavoratore: responsabilità esclusiva della società datrice di lavoro


 

Presidente: DI CERBO VINCENZO Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI Data pubblicazione: 24/01/2018

 

Fatto

 


Con sentenza 8 gennaio 2011, la Corte d'appello di Brescia accertava la responsabilità esclusiva di Quaranta s.r.l. in liquidazione nell'infortunio occorso il 7 marzo 2004 al proprio dipendente S.M., condannandola al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, delle somme di € 417.064,00, per danno biologico permanente, di € 27.000,00, per danno biologico da invalidità temporanea e di € 40.000,00 di personalizzazione del danno, già liquidate dal Tribunale, oltre rivalutazione ed interessi come da esso applicati, con detrazione di quanto percepito dall'Inail a solo titolo di danno biologico; rigettava invece, in accoglimento dell'appello incidentale della datrice, la domanda risarcitoria di un autonomo danno patrimoniale.
Così essa riformava, nel resto confermandola, la sentenza di primo grado, che aveva invece riconosciuto il concorso di colpa del lavoratore in misura del 50%, condannando la società datrice al risarcimento, in favore del predetto, del danno differenziale residuo decontando dalla metà del complessivo danno (liquidato in € 594.910,96, siccome comprensivo anche della somma di € 110.846,96 per danno patrimoniale) la somma di € 277.140,87, liquidata in favore dell'Inail a titolo di regresso, con la conseguente condanna di Quaranta s.r.l. in liquidazione al pagamento, in favore di S.M., della somma di € 20.314,61 oltre accessori, con obbligo della terza chiamata Liguria Assicurazioni s.p.a. di tenerla indenne.
In esito a critico e argomentato esame delle risultanze istruttorie, la Corte territoriale riteneva la responsabilità esclusiva, a norma dell'art. 2087 c.c., della società datrice, per non aver adottato le necessarie misure protettive, né adeguatamente formato i propri dipendenti all'uso dei dispositivi di sicurezza: così valutando come ininfluente il mancato aggancio ad un sostegno fisso (che il Tribunale aveva invece valorizzato al fine del riconoscimento di un suo concorso di colpa) della cintura di sicurezza pure indossata dal lavoratore, in occasione della sua caduta, mentre lavorava in Arese al montaggio di una gru a ponte all'interno di una cabina di gru sopraelevata ad un'altezza di 10 mt., a seguito del raggiungimento delle estremità laterali del carro ponte (ove intendeva registrare i "fine corsa") dalla trave di questo, anziché dalla passerella di camminamento debitamente protetta.
Essa escludeva quindi la spettanza a S.M. di un risarcimento per danno patrimoniale ulteriore rispetto alla diminuzione della capacità lavorativa specifica, indennizzato dall'Inail; nel resto condivideva le statuizioni del primo giudice.
Con atto notificato il 16 maggio 2011, Quaranta s.r.l. in liquidazione ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui resistevano il lavoratore e l'Inail con distinti controricorsi (e quest'ultimo anche con memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.); non svolgeva invece difese Liguria Assicurazioni s.p.a.
All'udienza di discussione del 3 novembre 2016 il difensore della ricorrente depositava atto di rinuncia nei confronti del lavoratore controricorrente (che ne notificava l'accettazione) e dell'assicuratrice intimata, chiedendo un differimento per tentare di comporre la controversia anche con l'Inail. Sicché la causa era rinviata a nuovo ruolo, con rifissazione della discussione all'odierna udienza.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 c.c. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo dell'effettiva dinamica dell'infortunio occorso al lavoratore in riferimento alla sua esatta collocazione al momento della caduta (nel passaggio dal carroponte alla passerella sopraelevata, piuttosto che già su questa, debitamente protetta), sulla base di presunzioni non tratte da fatti obiettivamente certi, ma da un processo inferenziale in contrasto con le deposizioni dei testi oculari (debitamente trascritte), neppure congruamente né logicamente argomentato, in quanto meramente congetturale.
2. Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 c.c. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo della presunzione del difetto di adeguata formazione antinfortunistica datoriale (a spiegazione dell'esclusione del concorso di colpa del lavoratore, così giustificato dall'omesso aggancio della cintura di sicurezza, pure indossata) dall'inferenza di una prassi aziendale scorretta (supposta, per giunta in base all'unico episodio del mancato uso, al momento dell'incidente, di cinture dai due colleghi sentiti come testi, intenti a lavorare all'interno di una struttura protetta, quale il "cestello"), ignorando la prova acquisita dell'attività informativa-formativa dei lavoratori, risultante da una testimonianza assunta in primo grado.
3. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 1227 c.c., 5, secondo comma, lett. c) d.lg. 626/1994 ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo di esclusione del concorso di colpa del lavoratore, riconosciuto imprudente nell'omesso aggancio alla struttura di protezione della cintura di sicurezza indossata, in quanto comportamento di minima diligenza esigibile da chiunque, e non soltanto da operaio esperto e specializzato quale S.M., pure debitamente formato, in adempimento dell'obbligo di cooperazione nella prevenzione antinfortunistica posto a carico del lavoratore.
4. Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 10, quinto, sesto e settimo comma, 66, primo comma, n. 2 d.p.r. 1124/1965, 13, secondo comma d.lg. 38/2000 ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo della detrazione dalla liquidazione del danno civilistico (soltanto non patrimoniale) della relativa quota (€ 103.923,49) della rendita Inail, anziché del suo intero importo capitalizzato (€ 277.104.87, comprensivo della quota di € 117.677,10 per danno patrimoniale), non distinguendo l'art. 10 d.lg. 38/2000, applicabile ratione temporis, nella liquidazione dell'indennizzo, sostitutivo dell'originaria "rendita per inabilità permanente", tra danno patrimoniale e non: piuttosto configurandosi un danno differenziale (né patrimoniale, né non patrimoniale, ma) tout court, comportante un raffronto in via complessiva e non partita per partita.
5. In via preliminare, deve essere dichiarata l'estinzione del processo, a norma degli artt. 390 e 391 c.p.c., per intervenuta rinuncia (a spese compensate) di Quaranta s.r.l. in liquidazione nei confronti di S.M. che faccettava (con rituale notificazione dei rispettivi atti tra le parti) e dell’intimata Liguria Assicurazioni s.p.a.
6. La controversia risulta ancora pendente tra la società ricorrente e l'Inail, sicché deve essere esaminata nell'ottica dell'interesse dell'Istituto previdenziale, che ne mantiene pieno e legittimo interesse, per la proposizione dell'azione di regresso, a norma dell'art. 11 d.p.r. 1124/1965, nei confronti della società datrice del lavoratore indennizzato (come risulta dall'esposizione della vicenda processuale all'ultimo capoverso di pg. 3 della sentenza).
6.1. Ed un tale interesse consiste nel contrastare la pretesa della società datrice di esclusione della propria responsabilità o, in subordine, di un concorso di quella del lavoratore, nella violazione dell'art. 2087 c.c., in ordine alla quale l'Istituto assicuratore che agisca in via di regresso deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa e del danno, nonché il nesso causale di questo con la prestazione, in conformità con la natura contrattuale della responsabilità datoriale (Cass. 23 aprile 2008, n. 10529).
7. Tanto preliminarmente chiarito, i primi tre motivi possono essere congiuntamente esaminati per ragioni di stretta connessione (riguardando il primo: violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 c.c. e vizio di motivazione sul fatto controverso e decisivo della presunzione del difetto di adeguata formazione antinfortunistica datoriale; il secondo: violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 c.c. e vizio di motivazione sul fatto controverso e decisivo dell'effettiva dinamica dell'infortunio occorso al lavoratore; il terzo: violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 1227 c.c., 5, secondo comma, lett. c d.lg. 626/1994 e vizio di motivazione sul fatto controverso e decisivo di esclusione del concorso di colpa del lavoratore).
7.1. Essi sono infondati.
7.2. E' noto che in materia di obbligo di sicurezza gravino sul datore di lavoro, a norma dell'art. 2087 c.c., specifici obblighi di informazione del lavoratore, al fine di evitare il rischio specifico della lavorazione, insuscettibili di essere assolti mediante indicazioni generiche, in quanto in tal modo la misura precauzionale non risulterebbe adottata dal datore di lavoro, ma l'individuazione dei suoi contenuti sarebbe inammissibilmente demandata al lavoratore; e che l'obbligo di controllo non possa ritenersi esaurito nell'accertamento della prassi seguita in azienda, viceversa esigendosi una verifica riferita ai singoli lavoratori, attraverso specifici preposti e con riferimento ad ogni fase lavorativa rischiosa (Cass. 6 ottobre 2016, n. 20051; Cass. 13 gennaio 2017, n. 798).
7.3. Sicché, il datore di lavoro è ritenuto sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, anche qualora sia ascrivibile non soltanto ad una sua disattenzione, ma anche ad imperizia, negligenza e imprudenza (Cass. 10 settembre 2009, n. 19494; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4656; Cass. 4 dicembre 2013, n. 27127). E ciò per la ratio di ogni normativa antinfortunistica, di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela: sussistendo la responsabilità esclusiva del lavoratore soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, cosi da porsi come causa esclusiva dell'evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere. Ma in assenza di un tale contegno, l'eventuale coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l'evento è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell'entità del risarcimento dovuto (Cass. 13 gennaio 2017, n. 798; Cass. 5 dicembre 2016, n. 24798; Cass. 13 febbraio 2012, n. 1994; Cass. 18 febbraio 2004, n. 3213; Cass. 8 febbraio 2002, n. 5024).
7.4. Alla luce dei superiori principi di diritto, la Corte territoriale ha condotto un accertamento in fatto con un corretto governo delle regole in materia di prova per presunzioni.
Non occorre, infatti, che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità; al riguardo occorrendo che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza (Cass. 31 ottobre 2011, n. 22656; Cass. 8 ottobre 2013, n. 22898; Cass. 5 febbraio 2014, n. 2632).
E l'apprezzamento in ordine alla gravità, precisione e concordanza degli indizi posti a fondamento dell'accertamento effettuato con metodo presuntivo, siccome attinente alla valutazione dei mezzi di prova, è poi rimesso in via esclusiva al giudice di merito, con sua insindacabilità in sede di legittimità, salvo lo scrutinio riguardo alla congruità della relativa motivazione (Cass. 26 gennaio 2007, n. 1715; Cass. 19 gennaio 1995, n. 564).
7.5. Sicché la Corte territoriale bene ha svolto il proprio ragionamento presuntivo nella ricostruzione della dinamica dell'infortunio: a partire dal fatto noto, neppure specificamente contestato, della collocazione del luogo di caduta del corpo del lavoratore "esattamente sotto il punto di passaggio tra le due strutture" (così al penultimo capoverso di pg. 6 della sentenza); con la debita sottolineatura di una rilevata distanza di circa 80 - 100 cm. tra le due strutture, consistenti in cestello della piattaforma (ossia contenitore a forma di parallelepipedo munito di parapetto di altezza superiore alla cintola dei lavoratori con doppia ringhiera superiore anticaduta) e soprastante passerella del carroponte. Ed esso è stato adeguatamente e logicamente argomentato per le ragioni esposte (dal primo capoverso di pg. 6 al primo di pg. 7 della sentenza).
8. In esito al ragionamento presuntivo svolto, la Corte bresciana ha quindi accertato la responsabilità del datore di lavoro, sulla scorta delle modalità dell'infortunio ("nel passaggio dalla piattaforma al carroponte ... non agevole per la distanza riferita dai testi e per la necessità di arrampicarsi sul parapetto del ponte stesso, in situazione di assoluta precarietà e notevole pericolo"-, così al primo capoverso di pg. 7 della sentenza) e del quanto meno omesso controllo sull'appropriato uso della cintura di sicurezza sia pure indossata (come si evince dall'ultimo capoverso di pg. 7 della sentenza). E responsabilità esclusiva, in difetto di prova dell'adozione di ogni misura idonea ad evitare il danno, alla luce degli illustrati principi regolanti la materia (per le ragioni esposte dal primo capoverso di pg. 9 al penultimo capoverso di pg. 11 della sentenza), con la conseguente irrilevanza giuridica dell'eventuale comportamento colposo del lavoratore (del quale invero neppure è stato dedotto un comportamento abnorme), ai fini del concorso di colpa invocato, in virtù dei principi di diritto suenunciati.
8.1. Sicché resta assorbita ogni questione relativa al difetto di prova di inadeguata formazione antinfortunistica datoriale e del suo riflesso sul concorso di colpa del lavoratore: così rettificata la motivazione in parte qua.
9. Appare, infine, evidente come le doglianze congiuntamente scrutinate si risolvano nella sostanza in una tendenziale sollecitazione ad una rivisitazione del merito, per la contrapposizione di una ricostruzione in fatto della parte a quella giudiziale e la contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), per le ragioni dette.
10. Il quarto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 10, quinto, sesto e settimo comma, 66, primo comma, n. 2 d.p.r. 1124/1965, 13, secondo comma d.lg. 38/2000 e vizio di motivazione sul fatto controverso e decisivo della detrazione dalla liquidazione del danno civilistico (soltanto non patrimoniale) della relativa quota (€ 103.923,49) della rendita Inail, anziché del suo intero importo capitalizzato, è parimenti infondato.
11. La Corte territoriale ha infatti esattamente applicato i principi in tema di liquidazione del danno biologico cd. differenziale, di cui il datore di lavoro sia chiamato a rispondere nei casi in cui opera la copertura assicurativa Inail in termini coerenti con la struttura bipolare del danno-conseguenza, operando un computo per poste omogenee: sicché, dall'ammontare complessivo del danno biologico va detratto, non già il valore capitale dell’intera rendita costituita dall'Inail, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza dell'art. 13 del d.lg. 38/2000, il danno biologico stesso, con esclusione invece della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato, volta all'indennizzo del danno patrimoniale (Cass. 14 ottobre 2016, n. 20807; Cass. 26 giugno 2015, n. 13222; Cass. 10 aprile 2017, n. 9166).
12. Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso nei confronti dell'Inail, con la regolazione delle spese del giudizio tra le parti secondo il regime di soccombenza.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte
dichiara estinto il processo tra la ricorrente e S.M. e Liguria Assicurazioni s.p.a.;
rigetta il ricorso nei confronti dell'Inail e condanna Quaranta s.r.l. in liq. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 6.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2017