Cassazione Penale, Sez. 3, 25 gennaio 2018, n. 3671 - Ruolo di un responsabile dell'Ufficio Lavori Pubblici per omessa predisposizione di un impianto idrico antincendio e per omesso CPI presso una scuola media


Presidente: ROSI ELISABETTA Relatore: REYNAUD GIANNI FILIPPO Data Udienza: 30/11/2017

 

Fatto

 

1. Con sentenza del 16 Settembre 2016, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sez. dist. di Caserta, ha dichiarato la penale responsabilità di L.V., quale responsabile dell'Ufficio Lavori Pubblici del Comune di San Nicola la Strada, in ordine alle contravvenzioni di cui all'art. 46 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e 20 d.lgs. 8 marzo 2006, n. 139, condannandolo alle pene pecuniarie di legge per aver omesso di predisporre presso la scuola media statale comunale un impianto idrico antincendio conforme alla normativa vigente e di munire il plesso scolastico del certificato di prevenzione incendi.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso, nell'interesse dell'imputato, il suo difensore, deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3. Con il primo motivo si deducono i vizi di cui all'art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione dell'art. 24 d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 e di norme processuali stabilite a pena di nullità. In particolare, si deduce che, a seguito dell'accertamento delle violazioni per cui è processo da parte dei Vigili del Fuoco in data 5 gennaio 2011, erano state imposte delle prescrizioni da adempiere entro il termine del 1 maggio 2011, poi prorogato, su istanza del Comune, fino al 28 ottobre 2011. Poiché a far data dal 15 settembre 2011 le attività scolastiche sarebbero state trasferite in altro edificio, l'ing. L.V. avrebbe comunicato tale circostanza ai VV.FF. al fine di evidenziare il venir meno della necessità di ottemperare alle prescrizioni, sì che l'organo di vigilanza non avrebbe più proceduto alla verifica dell'adempimento, ma non avrebbe neppure ammesso il contravventore al pagamento della sanzione amministrativa pari ad un quarto della somma massima stabilita. Non essendo stata dunque rispettata la procedura di cui agli artt. 20 ss. d.lgs. 758/1994, l'azione penale sarebbe stata improcedibile ed il giudice di primo grado - portato a conoscenza di dette circostanze - avrebbe dovuto prosciogliere l'imputato. Non avendolo fatto - si deduce - ha violato norme processuali stabilite a pena di nullità.
4. Con il secondo motivo si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 42, quarto comma, cod. pen. e 2, comma 1, d.lgs. 81/2008 sul rilievo che in istruttoria sarebbe emersa la mancata attribuzione all'ing. L.V. di autonomi poteri di gestione e spesa, sicché la delega di funzioni a lui attribuita non avrebbe avuto valore. Del resto, si osserva, dalla deposizione testimoniale dell'assessore Z. sarebbe emerso che l'amministrazione comunale non disponeva di fondi sufficienti per effettuare i lavori contestati come omessi perché non era neppure stato approvato il bilancio. Nell'affermare che all'imputato "non era impossibile" reperire risorse per effettuare quei lavori, il giudice avrebbe quindi fatto un'illogica affermazione, contrastante con le prove assunte.
 

 

Diritto

 


1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Deve premettersi che benché l'art. 21 d.lgs. 758/1994 fissi il dovere dell'organo di vigilanza di ammettere il contravventore al pagamento in sede amministrativa di una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa nel caso in cui la violazione sia stata eliminata «secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione», ciò non esclude che altrettanto debba farsi laddove ricorrano analoghe situazioni, dovendo il sistema di definizione in via amministrativa delineato dal d.lgs. 758/1994 essere interpretato in senso costituzionalmente orientato come ritenuto in numerose pronunce della Corte costituzionale intervenute sul tema (v. la sent. 12 febbraio 1998, n. 19 e le ordd. 24 maggio 1999, n. 205 e 9 aprile 2003, n. 192). In particolare, nella prima delle richiamate decisioni, la Corte costituzionale, premesso che la disciplina normativa in esame mira, «da un lato ad assicurare l'effettività dell'osservanza delle misure di prevenzione e di protezione in tema di sicurezza e di igiene del lavoro, materia in cui l'interesse alla regolarizzazione delle violazioni, e alla correlativa tutela dei lavoratori, è di gran lunga prevalente rispetto all'applicazione della sanzione penale, dall'altro si propone di conseguire una consistente deflazione processuale», ha ritenuto che «entrambe le ragioni che ispirano la disciplina in esame ricorrono nel caso in cui il contravventore abbia spontaneamente e autonomamente provveduto a eliminare le conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione prima o, comunque, indipendentemente dalla prescrizione dell'organo di vigilanza: anzi, è plausibile e ragionevole sostenere che a maggior ragione dovrebbe essere ammesso alla definizione in via amministrativa, in vista dell'estinzione del reato e della conseguente richiesta di archiviazione del pubblico ministero, il contravventore che abbia spontaneamente regolarizzato la violazione» (Corte cost., sent. n. 19/1998). Osservando come «lo stesso legislatore abbia espressamente previsto due situazioni "anomale" rispetto al procedimento tipico» - vale a dire quelle indicate negli artt. 22, comma 1, e 24, comma 3, d.lgs. 754/1994 - nella citata sent. n. 19/1998 la Corte costituzionale ha ritenuto che alle stesse previsioni possa farsi ricorso in via analogica per colmare eventuali "lacune" dipendenti dall'obiettiva difficoltà di prevedere in astratto tutte le possibili situazioni equipollenti a quelle disciplinate dalla legge.
In applicazione di questi principi, l'eliminazione delle conseguenze pericolose del reato conseguente allo spostamento delle attività scolastiche in un'altra sede prima del decorso del termine stabilito per l'adempimento della prescrizione avrebbe dunque legittimato il contravventore a fruire del meccanismo di estinzione del reato con pagamento della sanzione ridotta, in via amministrativa a seguito di provvedimento di ammissione emesso dall'organo di vigilanza, ovvero perfezionando l'oblazione in via giudiziale ai sensi dell'art 24, comma 2, d.lgs. 758/1994.
Pur potendosi dunque ritenere che, nel caso di specie, il L.V. dovesse essere ammesso al pagamento della sanzione amministrativa a norma dell'art. 21, comma 2, d.lgs. 758/1994, reputa tuttavia il Collegio che - in conformità al più recente e maggioritario orientamento di legittimità - la violazione della procedura amministrativa da parte dell'organo di vigilanza non sia causa di improcedibilità dell'azione penale (Sez. 3, n. 7678 del 13/01/2017, Bonanno, Rv. 269140; Sez. 3, n. 20562 del 21/04/2015, Rabitti, Rv. 263751; Sez. 3, n. 5864/2011 del 18/11/2010, Zecchino, Rv. 249566; Sez. 3, n. 26758 del 05/05/2010, Cionna e a., Rv. 248097). Deve darsi, di fatti, un'interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina dettata dagli artt. 20 ss. d.lgs. n. 758/1994 anche in relazione all'art. 112 Cost., posto che la violazione della procedura amministrativa estintiva non può condizionare l'esercizio dell'azione penale. Il contrario orientamento - da ultimo affermato da Sez. 3, n. 37228/2016 del 15/09/2015, Rv. 268050: «in tema di reati contravvenzionali in materia di legislazione sociale e lavoro, l'omessa fissazione da parte dell'organo di vigilanza di un termine per la regolarizzazione, come previsto dall'art. 20, comma primo, D.Lgs. 19 dicembre 1994 n. 758, è causa di improcedibilità dell'azione penale» - appare infatti incompatibile con il principio di obbligatorietà dell'azione penale. Del resto - come si diceva - anche in caso di mancato perfezionamento della procedura il contravventore ben può fruire dell'estinzione del reato in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata.
Non consta, tuttavia, che l'imputato abbia avanzato una tale richiesta, sicché non può in questa sede dolersi del mancato ottenimento dell'effettivo estintivo né, tantomeno, pretendere una declaratoria di improcedibilità dell'azione penale che contrasterebbe con l'art. 112 Cost.
2. E' invece fondato il secondo motivo di ricorso. 
Questa Corte ha in altra occasione affermato che «in tema di prevenzione degli infortuni, il dirigente del settore manutenzione del patrimonio edilizio comunale, pur potendo assumere la qualità di datore di lavoro ex art. 2, lett. b), del D.Lgs. n. 81 del 2008, non è responsabile delle violazioni che sanzionano la mancata esecuzione degli interventi di messa in sicurezza e ristrutturazione degli edifici scolastici (nella specie, lavori di adeguamento degli impianti elettrici), qualora risulti in concreto privo di autonomi poteri gestionali, decisionali e di spesa» (Sez. 3, n. 6370/2014 del 07/11/2013, Lanna e a, Rv. 258898). Nel caso di specie, il ricorrente sostiene di essersi difeso nel giudizio di merito provando di non aver avuto, in concreto, di tali poteri, dimostrando l'assunto attraverso la prova testimoniale dell'assessore ai lavori pubblici, e che il tema sia stato affrontato in processo lo si desume dal testo della pur concisa motivazione della sentenza impugnata, la quale, tuttavia, lo supera osservando che l'imputato aveva regolarizzato la situazione di altri edifici scolastici e concludendo nel senso che «il reperimento delle risorse necessarie per porre rimedio alla situazione di disagio dell'edilizia scolastica comunale, pur se al tempo oggettivamente problematico, non appare dunque impossibile». La sentenza aggiunge che nella lettera inviata in data 18.11.2010 da L.V. al Segretario comunale ed al Sindaco, in cui il medesimo segnala la necessità dei lavori nella scuola oggetto di processo, egli non sollecita fondi, ma si limita a "dichiararsi non responsabile", sicché verserebbe comunque in colpa.
A prescindere dal fatto che - secondo quanto allegato dal ricorrente, che richiama sul punto prove documentali acquisite al fascicolo - in data 18.11.2010 egli fosse soltanto responsabile dell'area tecnica comunale e non avesse ancora ricevuto la delega di "datore di lavoro" (avvenuta con decreto sindacale del 30 novembre 2010), reputa il Collegio che il rilievo contenuto nella sentenza non fornisca convincente e logica motivazione rispetto alle dedotta impossibilità da parte del L.V. di disporre di fondi sufficienti per adempiere alle prescrizioni in parola: il fatto di aver regolarizzato la situazione di altre scuole comunali non significa, in una situazione di oggettiva penuria di fondi riconosciuta dalla stessa sentenza, che vi fossero risorse sufficienti per regolarizzarle tutte.
3. La sentenza impugnata dovrebbe dunque essere annullata con rinvio per nuovo esame del punto, ma la prosecuzione del giudizio non appare necessaria poiché i reati oggetto di contestazione - accertati in data 5 gennaio 2011 e permanenti sino alla data di utilizzo del plesso scolastico quale dallo stesso ricorrente indicata (15 settembre 2011) - si sono estinti per prescrizione nel marzo 2017, essendo a tale data decorsi oltre cinque anni ed essendo ulteriormente decorso il periodo di mesi sei di sospensione dei termini di prescrizione conseguente al differimento del processo (dal 16 marzo al 16 settembre 2016) richiesto dalla difesa. Non può invece computarsi al medesimo fine il rinvio dal 20 dicembre 2013 al 12 dicembre 2014 nonostante il difensore dell'imputato avesse in allora aderito all'astensione dalle udienze proclamata dall'associazione di categoria. Ed invero, dal verbale di udienza si comprende come il rinvio sarebbe comunque stato necessario per sanare la nullità afferente alla mancata notificazione all'imputato del decreto di citazione a giudizio, incombente che fu appunto disposto all'udienza del 20 dicembre 2013, sicché deve farsi applicazione del principio secondo cui, in tema di prescrizione del reato, nel caso di concomitante presenza di due fatti legittimanti il rinvio del dibattimento, l'uno riferibile all'imputato o al difensore, l'altro ad esigenze processuali, la predominante valenza di queste ultime preclude l'operatività del disposto dell'art. 159 cod. pen. e la conseguente sospensione nel corso della prescrizione (Sez. 3, n. 26429 del 01/03/2016, Bellia e a., Rv. 267101).
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione.
Cosi deciso il 30/11/2017.