Cassazione Penale, Sez. 4, 01 febbraio 2018, n. 4936 - Caduta dall'ottavo al settimo piano durante i lavori di posizionamento di pannelli del solaio da realizzare. Responsabilità di un datore di lavoro, di un CSE e di un subcommittente


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: PICARDI FRANCESCA Data Udienza: 14/12/2017

 

Fatto

 

l. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza emessa all'udienza del 26 novembre 2015, depositata in data 12 gennaio 2016, nel termine di cui all'art. 544, terzo comma, cod.proc.pen., su impugnazione del p.m. ed in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, ha dichiarato S.C., L.R. e M.S. responsabili del reato di cui al capo a (ex art. 41, primo comma, e 590, terzo comma, cod.pen., per avere, con condotte autonome ed indipendenti, cagionato a M.P., mentre era intento in attività lavorativa di operaio edile, dipendente della Edilfenile s.r.l., nel cantiere di Pesaro, in Ascoli Piceno, in data 10 luglio 2008, lesioni guaribili in più di quaranta giorni e l'indebolimento del senso dell'olfatto), e, concesse le attenuanti generiche ritenute equivalenti all'aggravante, ha condannato S.C. alla pena di mesi uno e giorni 15 di reclusione e L.R. e M.S. alla pena di 20 giorni di reclusione (pene sospese), oltre al risarcimento del danno, da liquidare in separata sede, nei confronti delle parti civili, a cui è stata liquidata una provvisionale (euro 45.000 a favore di M.P. ed euro 5.000 ciascuno a favore di OMISSIS), mentre ha affermato non doversi procedere per gli altri reati perché prescritti ed ha assolto W.C. dell'imputazione relativa al capo a per non aver commesso il fatto. Più precisamente, nella ricostruzione della Corte di Appello, M.P., mentre era intento al posizionamento dei pannelli del solaio da realizzare, è caduto dall'ottavo al settimo piano attraverso l'apertura delimitata dalle porzioni di pannellatura già eseguite in avanzamento. Nel capo di imputazione formulato, all'esito di ordinanza ex art. 521 cod.proc.pen. da parte del primo giudice investito, la caduta era, invece, ipotizzata come conseguente alla rottura del solaio ed agli imputati odierni ricorrenti erano contestate le seguenti condotte: 1) a S.C., quale datore di lavoro, di non aver provveduto all'individuazione, nel piano operativo di sicurezza, delle misure preventive e protettive e delle procedure per l'esecuzione in sicurezza di quelle lavorazioni che espongono i lavoratori al rischio di cadute dall'alto, di non aver informato adeguatamente il lavoratore circa le modalità di esecuzione e di non essersi assicurato che lo stesso salisse, privo di cintura, sul solaio; 2) a M.S., quale coordinatore per l'esecuzione della società Edilfenile s.r.l., di non aver verificato l'idoneità del piano operativo di sicurezza relativamente ai lavori da eseguire, di non aver sospeso i lavori in esame, svolti in altezza in assenza di presidi anticaduta, e di non aver proprio assistito a tali lavori; 3) a L.R., in qualità di sub-commitente di non essersi assicurato che l'impresa Edilfenile s.r.l. approntasse un adeguato piano operativo di sicurezza, che fosse dotata di adeguati presidi anti-infortunistici anticaduta e che se ne servisse.
La riforma della sentenza di primo grado, da parte del giudice di appello, è avvenuta senza rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, in quanto il giudice a quo ha reputato ammissibile un diverso apprezzamento dell'attendibilità del teste persona offesa P., la cui deposizione non è stata resa in dibattimento, ma acquisita dinanzi al precedente giudice che ha emesso ordinanza ex art. 521 cod.proc.pen., valutando tale situazione analoga a quella dell'appello su sentenza resa in giudizio abbreviato.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei difensori di fiducia, in data 4 aprile 2016 S.C., in data 8 aprile 2016 L.R. ed in data 7 aprile 2016 M.S..
2. S.C. ha in via preliminare chiesto dichiararsi la prescrizione, maturata in data 10 gennaio 2016 e, cioè, dopo la pronuncia della sentenza di condanna in appello; ha, inoltre, reiterato l'eccezione di inammissibilità dell'appello del p.m., privo di indicazione in ordine al soggetto che ha provveduto al deposito, ed ha, inoltre, dedotto la violazione dell'obbligo di rinnovazione dibattimentale e la manifesta illogicità, carenza e contraddittorietà della motivazione ed al travisamento delle prove, non essendosi il giudice di secondo grado confrontato con le prove contrarie, specificamente indicate nel ricorso, e con le diverse conclusioni del giudice di primo grado.
3. M.S. ha dedotto con il primo motivo la violazione dell'art. 582 cod.proc.pen. in ordine all'inammissibilità dell'appello del p.m., essendo stata ritenuta irrilevante l'incertezza del soggetto delegato al deposito; con il secondo motivo la violazione dell'art. 581 cod.proc.pen., essendo stata superata l'eccezione di genericità dell'appello della parte civile con una motivazione apparente; con il terzo motivo e con l'ultimo motivo la violazione dell'art. 521, secondo comma, cod.proc.pen., avendo il giudice di appello accertato la caduta non in conseguenza della rottura del solaio, come contestato nel capo di imputazione, ma "attraverso l'apertura delimitata delle porzioni di pannellatura già eseguita in avanzamento", ed avendogli attribuito la responsabilità dell'evento colposo non per le condotte contestate (omessa verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza), ma per l'omessa sorveglianza della condotta altrui; la violazione dell'art. 6 CEDU, non essendo stata disposta la rinnovazione. dell'esame di M.P.; la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione rispetto alle risultanze istruttorie specificamente indicate e trascritte - in particolare in ordine alla valutazione della deposizione del teste M.P., dei testi OMISSIS e delle dichiarazioni spontanee rese da W.C.. Il ricorrente ha, inoltre, evidenziato essere intervenuta la prescrizione per il reato in esame di cui al capo a) due giorni prima del deposito della sentenza di appello.
4. L.R. ha formulato istanza di sospensione ex art. 612 cod.proc.pen. dell'esecuzione della sentenza di condanna civile, derivandone un grave ed irreparabile danno, e ha dedotto la violazione dell'art. 97 del d.lg. n. 81 del 2008, essendogli stata attribuita la responsabilità penale non per la mancata verifica della adeguatezza del piano operativo di sicurezza, ma per omessa vigilanza sulle modalità di svolgimento del lavoro, e omessa motivazione circa la completezza del piano operativo di sicurezza, redatto tramite rinvio al piano di sicurezza di cantiere, come accertato dal giudice di primo e non censurato dalla Procura.
 

 

Diritto

 

1. Preliminarmente, osserva il collegio come il reato oggetto del presente giudizio deve ritenersi prescritto, trattandosi di delitto di cui all'art. 590, secondo comma, cod.pen., commesso 10 luglio 2008: non ricorrendo alcuna ipotesi di sospensione, il termine di prescrizione è maturato il 10 gennaio 2016.
Al riguardo, ritenuto che gli odierni ricorsi non appaiono manifestamente infondato, né risultano affetti da profili d'inammissibilità di altra natura, occorre sottolineare come, in conformità all'insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte, in presenza di una causa estintiva del reato, l'obbligo del giudice di pronunciare l'assoluzione dell'imputato per motivi attinenti al merito si riscontra nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell'insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale all'Imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una 'constatazione', che a un atto di 'apprezzamento' e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., n. 35490/2009, Rv. 244274).
E invero il concetto di 'evidenza', richiesto dal secondo comma dell'art. 129 c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale cosi chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richieda per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv. 229275). Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell'imputato occorre applicare il principio di diritto secondo cui 'positivamente' deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l'estraneità dell'imputato a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l'assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l'eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (v. Cass., n. 26008/2007, Rv. 237263). Tale situazione non ricorre nel caso di specie, in cui questa Corte - anche tenendo conto degli elementi evidenziati nelle motivazioni delle sentenze di merito - non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui al secondo comma dell'art. 129 c.p.p.. Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata va annullata per essere il reato contestato all'imputato estinto per prescrizione.
Tuttavia, ai sensi dell'art. 578 cod.proc.pen., essendo stata pronunciata nei confronti degli imputati condanna generica al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decide sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Ai fini dell'operatività di tale regola, è necessario che si sia in presenza di condanna validamente pronunciata (Sez. 3, n. 7816 del 01/12/2005 ud., dep. 06/03/2006, rv. 233099). Nel caso di specie, tale condizione sussiste, essendo stato il dispositivo pronunciato in data 26 novembre 2015, anche se la motivazione depositata in data 12 gennaio 2016. Difatti, secondo l'orientamento consolidato della Suprema Corte, ai fini del computo della prescrizione rileva il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non quello successivo del deposito della stessa (Sez. 1, n. 20432 del 27/01/2015 ud., dep. 18/05/2015, rv. 263365; v. anche Sez. 3, n. 18046 del 09/02/2011 ud., dep. 10/05/2011, rv. 250328, ai fini dell’interruzione della prescrizione rileva il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non quello, successivo, del deposito della sentenza stessa). Deve, dunque, procedersi all'esame dei ricorsi proposti ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.
2. Vanno rigettate le eccezioni di inammissibilità dell'appello del p.m. e della parte civile.
2.a. Per quanto concerne l'appello della parte pubblica, deve ricordarsi che l'inammissibilità dell'impugnazione per l'inosservanza delle formalità prescritte dall'art. 582 cod. proc. pen. sussiste solamente se vi sia concreta incertezza sulla legittima provenienza dell'atto dal soggetto titolare del relativo diritto, e non anche quando l'identità della persona che materialmente la presenta risulti desumibile dal complessivo esame del documento, con la conseguenza che la stessa può essere dichiarata soltanto se la violazione, che è addebitabile al pubblico ufficiale ricevente, assume caratteristiche tali da far escludere anche la possibilità della presunzione della legittima provenienza dell'atto, né, in proposito, alcun onere di controllo può essere ascritto a colui che lo presenta sull'operato della persona addetta a riceverlo. (Sez. 2, n. 40254 del 12/06/2014 ud., dep. 29/09/2014, rv. 260443 che ha escluso l'inammissibilità dell'appello del P.M., in relazione al quale l'ufficio ricevente non aveva provveduto né ad identificare il presentatore dell'atto, né ad attestare l'esistenza di una delega in favore di quest'ultimo). In proposito può evidenziarsi che la giurisprudenza citata dalla difesa di M.S. (Sez. 6, n. 1349 del 14/04/1998 Cc. , dep. 20/05/1998, rv. 211731), oltre ad essere alquanto risalente, riguarda l'appello cautelare proposto da parte privata e non pubblica, di cui risultava del tutto impossibile stabilire chi avesse presentato l'impugnazione.
2.b.Per quanto concerne l'appello delle parti civili, come già ritenuto dal giudice di secondo grado, risulta del tutto infondata l'eccezione di genericità, traducendosi in motivi di gravame formulati in una specifica e puntuale contestazione della sentenza di primo grado. 
3. Non è, inoltre, ravvisabile alcuna violazione dell'art. 521, secondo comma, cod.proc.pen., atteso che la circostanza che la caduta da un piano all'altro di M.P. sia stata determinata dalla rottura del solaio o sia avvenuta attraverso l'apertura del solaio esistente tra le porzioni di pannelli già eseguite è ininfluente relativamente alla condotta colposa contestata agli imputati ed al nesso di causalità tra tali condotte colpose e l'evento, da identificarsi con la caduta del lavoratore dall'alto. Del resto, ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 15655 del 27/02/2008 ud., dep. 16/04/2008, rv. 239866). A ciò si aggiunga che, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, ud., dep. 19/08/2014, rv. 260161 che riguarda fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori).
4. La sentenza di condanna in esame, intervenuta dopo l'assoluzione in primo grado, va, tuttavia, annullata, atteso che essa si fonda su una diversa valutazione dell'affidabilità della deposizione della parte offesa, effettuata procedere dal giudice di appello senza procedere ad un nuovo esame del teste M.P. ("la valutazione di inattenditibilità di M.P., in quanto essenzialmente fondata sulla discrasia rispetto all'ipotesi ricostruttiva avanzata nella prima contestazione .. e sulla ritenuta e opinabile valutazione di interesse da parte del teste a descrivere l'accaduto come caduta dal solaio piuttosto che caduta dalla scala per perdita di equilibrio durante l'impiego improprio del mezzo, marginalizza la rilevanza di elementi intrinseci di segno favorevole rinvenibili nel deposto e di fattori estrinseci che ne suffragano l'attendibilità").
In proposito deve ricordarsi che, secondo Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016 ud. , dep. 06/07/2016, rv. 267492 , è affetta da vizio di motivazione ex art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", di cui all'art. 533, comma primo, cod. proc. pen., la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione: ne deriva che, al di fuori dei casi di inammissibilità del ricorso, qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza fare specifico riferimento al principio contenuto nell'art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata. Peraltro, come precisato da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017 ud., dep. 14/04/2017, rv. 269785, è affetta da vizio di motivazione, per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all'esito di un giudizio abbreviato non condizionato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all'esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni. Risulta, pertanto, superato, alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale successiva alla decisione impugnata, il ragionamento in base a cui il giudice a quo ha escluso, nel caso di specie, l'obbligo di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, che sussiste anche laddove la prova dichiarativa non sia stata acquisita direttamente dal giudice di primo grado che ha deciso la causa, come appunto avviene nell'ipotesi di giudizio abbreviato e come avvenuto nel presente giudizio in cui il teste M.P. è stato escusso dal giudice che ha emesso l'ordinanza ex art. 521 cod.proc.pen. A ciò si aggiunga che l'obbligo, per il giudice di appello, di procedere anche d'ufficio alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa nel caso di riforma di una sentenza assolutoria di primo grado, emessa all'esito di giudizio abbreviato, sulla base del diverso apprezzamento di una dichiarazione ritenuta decisiva, ricorre anche nel caso in cui non si sia proceduto a valutare diversamente l'attendibilità del dichiarante, quanto, piuttosto, a dare una differente interpretazione del significato delle sue dichiarazioni (Sez. 3, n. 24306 del 19/01/2017 ud., dep. 17/05/2017, rv. 270630).
Né sono applicabili le deroghe più volte individuate dalla Suprema Corte al principio generale ed inderogabile in esame (v., ad esempio, Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017 ud. , dep. 07/07/2017, rv. 270471, non sussiste l'obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell'assoluzione, quando l'attendibilità della deposizione è valutata in maniera del tutto identica dal giudice di appello, il quale si limita a procedere ad un diverso apprezzamento del complessivo compendio probatorio ovvero ad una diversa interpretazione della fattispecie incriminatrice; Sez. 5, n. 42746 del 09/05/2017 ud., dep. 19/09/2017, rv. 271012, nel caso di condanna in appello, non sussiste l'obbligo di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale qualora il giudice abbia riformato la sentenza assolutoria di primo grado non già in base al diverso apprezzamento di una prova dichiarativa, bensì all'esito della differente interpretazione della fattispecie concreta, fondata su una complessiva valutazione dell'intero compendio probatorio).
Dall'accoglimento dei ricorsi proposti, discende l'annullamento della sentenza impugnata anche agli effetti civili, sicché perde attualità l'istanza di sospensione ex art. 612 cod.proc.pen.
Più precisamente occorre procedere all'annullamento con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, ai sensi dell'art. 622 cod.proc.pen., ribadendo che, in caso di annullamento con rinvio ai soli effetti civili per intervenuta prescrizione del reato della sentenza di appello - che dopo la pronuncia assolutoria abbia condannato l'imputato sulla base di una differente valutazione delle prove dichiarative assunte, senza aver provveduto a rinnovare l'istruzione dibattimentale - il giudice civile del rinvio, è tenuto a valutare la sussistenza della responsabilità dell'imputato secondo i parametri del diritto penale e non facendo applicazione delle regole proprie del giudizio civile (Sez. 4, n. 34878 del 08/06/2017 ud., dep. 17/07/2017, rv. 271065).
 

 

P.Q.M.

 


annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto alle statuizioni penali perché il reato è estinto per prescrizione;
annulla la stessa sentenza quanto alle statuizioni civili, con rinvio davanti al giudice civile competente per valore in grado d'appello cui demanda pure la regolazione delle spese tra le parti.
Così deciso 14 dicembre 2017.