Cassazione Penale, Sez. 4, 06 febbraio 2018, n. 5473 - Perdita del controllo della stabilità del carico e caduta di un profilato addosso all'operaio. Responsabilità del procuratore speciale, delegato alla sicurezza


Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: CAPPELLO GABRIELLA Data Udienza: 06/12/2017

 

Fatto

 


1. La Corte d'appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Mantova con la quale l'imputato Z.S., n.q. di procuratore speciale e delegato alla sicurezza dello stabilimento, era stato riconosciuto penalmente responsabile del reato di lesioni personali colpose (meglio descritte in rubrica), aggravate anche dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni del lavoratore della MARCEGAGLIA S.p.a., F.M., ha rideterminato la pena, sostituendo quella detentiva con la multa, revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena e confermato nel resto.
Si è contestato all'imputato, nella suindicata qualità, di avere, per colpa generica (consistita in negligenza, imprudenza e imperizia) e specifica, in violazione dell'art. 71 d.lgs. 81/2008, a fronte di una incompleta valutazione dei rischi, in materia di uso dei bilancini, messo a disposizione del lavoratore attrezzature di lavoro inidonee ai fini della sicurezza ed inadeguate al lavoro da svolgere.
In particolare, nell'occorso, il lavoratore, mentre era intento ad eseguire il carico di un autoarticolato, costituito da profilati metallici a sezione rettangolare della lunghezza di 6 mt, manovrando il carroponte per predisporre e calare il pacco dei profilati sul pianale del veicolo, per cause imprecisate, aveva perso il controllo della stabilità del carico e uno dei profilati gli era rovinato addosso, cagionandogli lesioni da cui erano derivati postumi permanenti con un grado del 21% di menomazione all'avambraccio destro.
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso lo Z.S. a mezzo di difensore, formulando quattro motivi.
Con i primi due motivi, ha dedotto inosservanza della legge penale, con riferimento al principio di cui all'art. 521 cod. proc. pen., sotto diversi profili.
Da un lato, ha infatti censurato l'intervenuto mutamento della contestazione ad esito della prova dichiarativa acquisita (testimonianza G., ufficiale di P.G. della ASL), essendo emerso che la inidoneità della attrezzatura non riguardava il bilancino (ad un gancio), quanto piuttosto le fasce della imbracatura.
Sotto altro profilo, le censure afferiscono alla violazione del diritto di difesa, non essendosi proceduto ad una modifica dell'imputazione, nel senso sopra indicato, si da consentire all'imputato di svolgere le proprie difese su tale aspetto, l'ausiliario di parte essendosi occupato dell'idoneità delle fasce, ma non anche delle modalità e della correttezza della rilegatura, aspetto che avrebbe richiesto altre indagini e sviluppi probatori. 
Con il terzo motivo, ha dedotto vizio di mancanza della motivazione in ordine al nesso causale tra la condotta omissiva contestata e l'evento, sotto lo specifico profilo della ritenuta idoneità dei bilancini a due agganci a evitarlo.
In particolare, si è contestata la mancata indicazione della condotta doverosa che l'imputato avrebbe dovuto tenere nell'occorso, essendosi omessa altresì una valutazione del rapporto tra questa e l'evento e neppure precisandosi da quali elementi quel giudice avesse tratto la conclusione che il bilancino con un solo attacco fosse meno idoneo a scongiurare le oscillazioni del carico, rispetto a quelli a due agganci, successivamente installati per adempiere alle prescrizioni.
La Corte d'appello, inoltre, non avrebbe speso alcuna parola sul giudizio controfattuale, ovvero sulla idoneità dei bilancini a due ganci a scongiurare l'evento e, quindi, sul nesso eziologico tra la condotta omissiva contestata e l'evento stesso.
Con il quarto motivo, infine, ha dedotto vizio di manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla ritenuta inidoneità dell'osservanza delle procedure di lavoro a scongiurare l'infortunio, avuto riguardo alla condotta imprudente del lavoratore, pur riconosciuta dalla Corte di merito, ravvisando tale vizio nell'affermazione secondo cui la rotazione del carico a 360° non consentiva di appurare il punto di caduta di esso, cosicché sarebe stata irrilevante la posizione assunta dal lavoratore, in violazione delle prescrizioni della procedura, laddove, secondo la tesi difensiva, l'osservanza di essa avrebbe sortito l'effetto di scongiurare l'infortunio, rilevando che il rispetto della procedura non rientrava nel contenuto degli obblighi di sicurezza propri del delegato alla stessa.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso va rigettato.
2. Alla luce del compendio probatorio richiamato in sentenza, la Corte territoriale ha confermato il giudizio del primo giudice, ritenendo intanto provata con grado di certezza la dinamica dell'infortunio, sulla scorta delle dichiarazioni della p.o. e del tecnico dell'ASL G., siccome convergenti.
Alla luce del compendio probatorio e dei profili in contestazione, inoltre, ha rilevato che allo Z.S., n.q., non era stata contestata la mancata valutazione dei rischi (profilo invece contestato al datore di lavoro, titolare di una diversa posizione di garanzia), bensì la sola violazione di aver messo a disposizione del lavoratore attrezzature non idonee ai fini della sicurezza.
Con riferimento a tale specifico ambito, pertanto, quel giudice ha ritenuto non integrata alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, atteso che nel concetto di inidoneità dell'attrezzatura doveva ritenersi compreso non solo il bilancino, ma anche il sistema di imbracatura del carico, essendo entrambi gli aspetti afferenti a detta idoneità, senza che fosse necessaria, alla luce degli sviluppi probatori, alcuna modifica del capo d'imputazione ed essendosi comunque la parte difesa anche su tale specifico aspetto, avendo in tale prospettiva ampliato il mandato conferito al proprio consulente.
Inoltre, proprio con specifico riferimento all'apporto dichiarativo del tecnico G., la Corte bresciana ha specificato che le sue dichiarazioni andavano lette unitamente alla testimonianza della p.o. e che la genericità dell'affermazione secondo cui solo per personale convinzione egli avrebbe, nell'immediatezza, ritenuto inidoneo a movimentare un carico di elementi lunghi un bilancino con lunghezza pari alla metà di quella dei profilati, convinzione smentita dal manuale delle istruzioni che tale possibilità prevedeva, non consentiva di ritenere una patente di sicurezza al sistema adottato. Proprio il G., infatti, aveva pure affermato che un carrello con doppio argano e doppio punto di presa contribuiva a stabilizzare in modo determinante il carico durante il sollevamento e il trasporto, laddove il bilancino ad una sola presa presentava dei rischi particolari, a fronte dei quali particolari precauzioni andavano approntate.
Lo stesso F.M., peraltro, aveva descritto la maggior pericolosità del bilancino con un unico bozzello, avendo affermato che il carroponte era pericoloso, benché comodo perché consentiva una rotazione a 360° che rendeva certamente più agevole l'operazione di carico sul pianale del veicolo, ma non permetteva di capire, nel caso di oscillazione, il punto in cui il materiale poteva cadere, evenienza questa certamente possibile anche a causa di un errore nella frenata.
Il che, secondo il giudice d'appello, toglieva pregio all'osservazione difensiva secondo cui il giudizio controfattuale avrebbe dimostrato l'inutilità dell'utilizzo di un bilancino a due prese, conclusione ancorata alle affermazioni del teste G. che aveva successivamente enfatizzato la inidoneità delle imbracature, più che del bilancino a gancio unico.
Osserva, infatti, la Corte territoriale che l'assunto era smentito dal raffronto tra le due diverse situazioni, reso possibile dalle riproduzioni fotografiche messe a disposizione nello stesso elaborato del C.T. di parte, notandosi con tutta evidenza il diverso grado di stabilità che un carico che ruotava a 360°, siccome meno vincolato da un bilancino a presa unica, poteva assumere, laddove una maggiore stabilità ne avrebbe certamente ridotto le possibilità e l'ampiezza di oscillazione, anche ove la causa di essa fosse stata l'erronea esecuzione della manovra di frenata da parte del lavoratore.
Quanto al sistema di imbracatura, inoltre, la Corte ne ha ritenuto provata la inidoneità a contenere in maniera salda il carico, rilevando che il manuale delle istruzioni chiaramente imponeva l'utilizzo di contenitori che impedissero la caduta accidentale o la modifica della configurazione statica, smentendosi la tesi difensiva, sostenuta dal consulente di parte, secondo cui, nell'occorso, non vi sarebbe stato materiale sciolto e lo sfilamento dei tubi si sarebbe verificato solo a cagione dell'inclinazione raggiunta a seguito della oscillazione. Sul punto, la Corte d'appello ha osservato che con tutta evidenza l'alterazione della configurazione statica del carico (con sfilamento dei profilati) non si sarebbe verificata, laddove i tubi fossero stati "contenuti lateralmente per mezzo del c.d. "pacco".
Da quanto precede, quel giudice ha tratto la perciolosità dello strumento utilizzato, ritenendo la disattenzione del lavoratore concorrente nella produzione dell'evento, ma non tale da interromperne il nesso con la condotta omissiva contestata allo Z.S., il quale, proprio alla luce dei fatti pregressi (ananlogo episodio verificatosi senza conseguenze), doveva porsi il problema della idoneità della strumentazione utilizzata e, a fronte di tale specifico obbligo, non aveva assunto alcuna iniziativa al riguardo.
Infine, la Corte di merito ha precisato che il solo rispetto delle procedure non avrebbe consentito di impedire il distacco di parte del carico, essendo stato comunque imprevedibile per il lavoratore individuare l'ubicazione del punto di caduta, stante la rotazione a 360° del carico, dovuta all'aggancio unico, cosicché l'eventuale responsabilità del preposto al controllo del rispetto della procedura non avrebbe potuto interrompere il nesso causale tra la condotta contestata allo Z.S. e l'evento.
3. I primi due motivi sono infondati a possono essere congiuntamente trattati, riguardando, sotto diversi profili, il medesimo tema della violazione della regola di cui all'art. 521 cod. proc. pen.
Su un piano generale, deve intanto ribadirsi che - nei procedimenti per reati colposi - la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice [cfr. sez. 4 n. 2393 del 17/11/2005 ud. (dep. 20/01/2006), Rv. 232973] e che non sussiste violazione del principio in esame se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa [cfr. sez. 4 n. 35943 del 07/03/2014, Rv. 260161; n. 56516 del 21/06/2013, Rv. 257902; sez. 4 n. 31968 del 19/05/2009, Rv. 245313]. Ove poi si consideri che il principio di correlazione tra contestazione e sentenza è funzionale alla salvaguardia del diritto di difesa dell'imputato, deve pure rilevarsi che lo stesso è violato se il fatto ritenuto nella decisione si trova, rispetto al fatto contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d'imputazione non contiene l'indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consente di ricavarli in via induttiva (sez. 6, n. 10140 del 18/02/2015 Ud. (dep. 10/03/2015),Rv. 262802), sempre che il fatto materiale per cui vi è stata condanna risulti sufficientemente descritto nell'imputazione, in tal caso non essendo neppure ipotizzabile una violazione del contraddittorio e del correlato diritto dell'imputato ad un equo processo, dal momento che l'imputato è stato messo in condizione di interloquire pienamente sulla riqualificazione giuridica operata dal tribunale, dapprima con l'atto di appello e, in seguito, con il ricorso per cassazione (sez. 6, n. 49820 del 05/12/2013 Ud. (dep. 10/12/2013), Rv. 258138).
Questa Corte ritiene di dover ribadire, anche in questa sede, tali principi, peraltro del tutto conformi a quelli costituzionali racchiusi nella norma di cui al novellato art. III Costituzione e nell'art. 6 della Convenzione E.D.U., siccome interpretato, in base alla sua competenza esclusiva, dalla Corte Europea dei Diritti deirUomo, a partire dalla nota pronuncia della Corte di Strasburgo, nel caso Drassich v. Italia (CEDU 2 sez. 11 dicembre 2007).
3.1. Una volta operata tale premessa, non può non rilevarsi come le doglianze formulate con i motivi all'esame finiscano per assegnare al ricorso una funzione che ne snatura le caratteristiche di strumento di censura critica e argomentata del ragionamento svolto dal giudice, che pone la doglianza specifica ai limiti della stessa ammissibilità del ricorso, secondo i canoni di cui agli artt. 581 e 591, cod. proc. pen.
I motivi devono infatti indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Pertanto, il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione è indefettibilmente il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta [cfr., in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013 Ud. (dep. 21/02/2013), Rv. 254584; Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016 Cc. (dep. 22/02/2017 ), Galtelli, Rv. 268822, sui motivi d'appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione].
A tale protocollo, nel caso di specie, la parte si è attenuta solo in parte, non avendo considerato la struttura complessiva della motivazione, con la quale il giudice ha, da un lato, giustificato la ritenuta non necessità di una modifica dell'imputazione, stante l'ampiezza dello specifico addebito contestato allo Z.S.; ed evidenziato, dall'altro, la sussumibilità della non adeguatezza della imbracatura nel più ampio concetto di inidoneità, rispetto alla lavorazione specifica, dell'attrezzatura messa a disposizione del lavoratore.
Peraltro, parte ricorrente ha affidato a generiche considerazioni l'assunto secondo cui tale "virata" nella individuazione della condotta omissiva rimproverata all'imputato a titolo di colpa avrebbe rappresentato un vulnus alle garanzie difensive, limitandosi ad affermare che diverso sarebbe stato l'approfondimento tecnico e probatorio del caso, laddove, tuttavia, nello sviluppo dialettico delle opposte tesi al vaglio giudiziale, ben chiari apparivano gli aspetti fattuali, ivi compreso il riferimento a quanto previsto dal manuale delle istruzioni a proposito del "pacco", sui quali l'indagine avrebbe potuto agevolmente svolgersi.
4. Anche il secondo e il quarto motivo sono infondati.
La parte ha omesso un effettivo confronto con le argomentazioni contenute nella sentenza censurata, affermando apoditticamente che la Corte avrebbe omesso di operare il necessario giudizio controfattuale e che, anche a causa della non chiara delimitazione della condotta attribuita all'imputato, altrettanto incerta sarebbe rimasta la indicazione del decorso causale, sul quale avrebbe risolutivamente inciso l'imprudente condotta del lavoratore.
Infatti, nella sentenza è stato chiarito, anche mediante il richiamo ad elementi fattuali non contestati (riproduzioni fotografiche contenute nell'elaborato del tecnico di parte) che il sistema a doppio aggancio avrebbe drasticamente ridotto il pericolo di oscillazione e, soprattutto, l'ampiezza del fenomeno, stante la rotazione ridotta, rispetto a quella completa che poteva verificarsi con il gancio singolo.
In conseguenza di ciò, la Corte ha rilevato la sostanziale ininfluenza della posizione assunta dal lavoratore, il quale non avrebbe potuto comunque prevedere il punto in cui lo sfilamento, a causa della oscillazione, si sarebbe verificato e assumere, di conseguenza, una posizione di salvaguardia. Nessuna illogicità manifesta inficia tale ragionamento, considerato che la frenata brusca non poteva considerarsi evento imprevedibile, così come l'erroneo posizionamento del lavoratore.
Peraltro, con specifico riferimento all'incidenza del comportamento imprudente del lavoratore sul nesso causale, va ribadito anche in questa sede che la condotta colposa di questi può elidere la responsabilità riconducibile ad altre posizioni di garanzia, solo ove essa si traduca in un vero e proprio contegno abnorme, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (cfr. Sez. 4 n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259127). Sempre con riferimento al concetto di "atto abnorme", si è pure precisato che tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un'operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4 n. 7955 del 10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313).
L'abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in presenza della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto, si è peraltro efficacemente sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi dall'avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del "comportamento abnorme", serve piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari - interne o esterne al processo di lavoro - che connotano la condotta dell'infortunato in modo che essa si collochi al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso (cfr. in motivazione Sez. 4 n. 7955/2013 richiamata). Tale comportamento è "interruttivo" non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare" [Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 254094; n. 15124 del 13/12/2016 Ud. 8dep. 27/03/2017), Rv. 269603)].
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Deciso in Roma il giorno 06 dicembre 2017