Cassazione Penale, Sez. 4, 21 ottobre 2014, n. 43836 - Caduta mortale e responsabilità di un preposto. Concetto di ingerenza ai fini dell'individuazione di una posizione di garanzia


 

Fatto

 

 


1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Perugia ha parzialmente riformato la pronuncia emessa dal Tribunale di Spoleto nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), che aveva giudicato responsabili della morte di (OMISSIS), avvenuta a seguito di infortunio sul lavoro, e della violazione di talune contravvenzioni prevenzionistiche.

Per quel che qui interessa, la Corte di Appello ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in ordine alle contravvenzioni, per essere le medesime estinte per prescrizione, ed ha ridotto la pena inflitta al medesimo dal primo giudice per il delitto colposo.

2. Secondo l’accertamento condotto nei gradi di merito, verso le ore 8,15 del (OMISSIS) alcuni dipendenti della (OMISSIS) S.r.l., tra i quali il (OMISSIS), si trovavano sul tetto del capannone industriale della ditta (OMISSIS), intenti ad eseguire i lavori di sistemazione della copertura che la (OMISSIS) aveva avuto in subappalto dalla (OMISSIS) s.r.l., quando il (OMISSIS) era scivolato e precipitato al suolo da un’altezza di circa sette metri, perdendo la vita. Le testimonianze dei colleghi di lavoro permettevano di conoscere che in precedenza era stata montata sul tetto la fune del dispositivo di sicurezza, che tuttavia quella mattina non era in situ perchè tolta il giorno precedente proprio dal (OMISSIS), caposquadra, il quale era peraltro sprovvisto di cintura di sicurezza.

L’infortunio veniva quindi addebitato al datore di lavoro, (OMISSIS), per non aver questi impartito al lavoratore uno specifico ed adeguato addestramento professionale, tale da renderlo consapevole della necessità di utilizzare i dispositivi di protezione; e a (OMISSIS), direttore tecnico e capocantiere per conto della (OMISSIS), il quale non aveva esercitato poteri di controllo sull’uso dei dispositivi di sicurezza e quindi non aveva tempestivamente bloccato gli interventi in corso al momento della rimozione della fune di sicurezza. Inoltre, il giudice distrettuale ha affermato esser stato accertato che il (OMISSIS) si era portato nel cantiere anche il giorno precedente al sinistro e si era reso conto che la piattaforma elevabile che doveva fungere da parapetto non era stata spostata in base all’andamento dei lavori ma si trovava a distanza di circa 4 metri dal luogo in cui gli operai stavano operando e ciò nonostante non aveva dato alcuna disposizione, nonostante il fatto che il mancato uso dei mezzi di protezione individuale, in particolare da parte del (OMISSIS), avrebbe dovuto renderlo particolarmente attento nel rendere operativo il dispositivo di protezione collettiva costituito dalla piattaforma mobile.

Il fatto che il (OMISSIS) non fosse a conoscenza che nella giornata del sinistro, un sabato, gli operai avrebbero lavorato non è stato per la Corte territoriale sufficiente ad escludere la responsabilità dell’imputato, posto che la piattaforma già dai giorni precedenti era rimasta nella posizione che non le consentiva di svolgere la funzione di protezione.

2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo dei difensori di fiducia, avv. (OMISSIS) e (OMISSIS).

2.1. Con un primo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale per aver la Corte di appello valutato in modo erroneo il ruolo svolto dall’imputato all’interno del cantiere in questione, attribuendogli il potere di coordinatore della sicurezza, in realtà mai avuto. Anzi ci si duole della totale assenza di motivazione in merito alle effettive mansioni svolte dall’imputato, il quale era stato incaricato solamente del controllo della qualità dei materiali impiegati in cantiere.

L’onere di nominare il responsabile della sicurezza non gravava su (OMISSIS) S.r.l. e non poteva essere svolto dal (OMISSIS) il compito di vigilare sull’osservanza delle norme di sicurezza da parte degli operai della (OMISSIS).

La sentenza presenta una motivazione carente laddove il giudice d’appello non ha indicato le ragioni per le quali il (OMISSIS) poteva essere considerato responsabile della sicurezza e una motivazione illogica e contraddittoria là dove ritiene l’imputato responsabile della sicurezza pur rilevando che la (OMISSIS) non era tenuta ad alcuna cooperazione all’interno del cantiere.

2.2. Con un secondo motivo si deduce ancora violazione di legge e vizio motivazionale, per non aver tenuto conto la Corte di appello del comportamento anomalo del (OMISSIS) che chiamo’ i propri dipendenti a rendere la prestazione lavorativa nella giornata di sabato – comportamento che per gli esponenti ha valore di causa da sola sufficiente a cagionare l’evento e che e’ del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto alle dinamiche lavorative interne al cantiere. Sul fatto che i lavori fossero stati svolti di sabato, senza che la circostanza fosse stata comunicata anche al (OMISSIS), la Corte di appello non ha svolto alcuna valutazione.

 

 

Diritto
 

 



3. Il ricorso e’ fondato.
3.1. La trama delle posizioni di garanzia costituite dal legislatore all’interno di un cantiere edile nel quale insistano, ciascuna svolgendo parte dei lavori, più imprese o lavoratori autonomi è particolarmente serrata: committente e responsabile dei lavori; coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione, la nuova figura dell’incaricato del datore di lavoro committente, nonchè la più risalente schiera di debitori di sicurezza: datore di lavoro, dirigente, preposto, lavoratore autonomo e cosi’ seguitando.

Tanto impegna ad una precisa definizione delle rispettive posizioni, in modo da evitare indebite responsabilità penali per fatto altrui.

Nel caso che occupa, secondo l’accertamento condotto nei gradi di merito, il (OMISSIS) era direttore tecnico e capocantiere per conto della (OMISSIS) s.r.l., società che aveva subappaltato alla (OMISSIS) i lavori acquisiti dalla (OMISSIS).

Così indicate le qualifiche del (OMISSIS) risulta ancora indistinta l’effettiva collocazione spettante al medesimo nella costellazione dei soggetti debitori di sicurezza verso i lavoratori impegnati nel cantiere di cui trattasi. E’ noto, infatti, che la legislazione penale, in specie prevenzionistica, al fine di identificare ad esempio il datore di lavoro, il dirigente ed il preposto prende in considerazione i compiti effettivamente assunti o che si sarebbero dovuti svolgere (cfr., da ultimo, Sez. 4 , n. 10704 del 07/02/2012 – dep. 19/03/2012, Corsi, Rv. 252676).

Sotto tale profilo è evidente che, ordinariamente, il direttore tecnico può risultare in concreto un dirigente, mentre il capocantiere può essere di norma assimilato al preposto (così, Sez. 4 , Sentenza n. 39606 del 28/06/2007, Marchesini e altro, Rv. 237879), secondo le definizioni che di tali figure si traggono oggi dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 2 e dava, al tempo del sinistro, il Decreto Legislativo n. 626 del 1994. Di certo, il direttore tecnico/capocantiere non è perciò solo titolare degli obblighi che la legge pone in capo al coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione, ove nominati (cfr. Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articoli 4 e 5).

Ma più in generale deve osservarsi come il riconoscimento di responsabilità in materia di prevenzione di infortuni sul lavoro presuppone la prova sicura dell’attribuzione delle funzioni o dell’ingerenza nell’organizzazione del cantiere. La qualifica di direttore tecnico può comportare anche solo compiti di sorveglianza tecnica attinente alla esecuzione del progetto (così, già per il direttore dei lavori, Sez. 4 , n. 12993 del 25/06/1999 – dep. 12/11/1999, Galeotti D, Rv. 215165). Tale prova è tanto più necessaria ove si affermi, come fatto nel caso che occupa dal giudice di primo grado che il (OMISSIS) non esercitò un efficiente controllo sostanziale, e non meramente formale , non avendo prescritto al (OMISSIS) di utilizzare la fune di sicurezza in dotazione, pur essendosi accorto che egli l’aveva dismessa, e comunque di non aver adottato le misure necessarie ad imporre al lavoratore l’uso obbligatorio dei DPI; o, come la Corte distrettuale, che egli non impose lo spostamento della piattaforma mobile, quale misura di sicurezza collettiva.

Ne’ può definirsi ingerenza la sollecitazione al rispetto della normativa prevenzionistica; l’ingerenza che vale ad individuare una posizione di garanzia è evidentemente quella che segnala l’assunzione di poteri decisionali, ai quali sempre si associano le connesse responsabilità.

In conclusione, la sentenza impugnata, come gia quella di primo grado, non manifesta quale accertamento sia stato operato in merito alla effettiva posizione di garanzia assunta dal (OMISSIS) nel contesto dei lavori di cui trattasi, al di là delle qualifiche formali; ed erra nell’evocare la sollecitazione all’uso dei DPI come fonte di una colpa per assunzione, non essendo tale comportamento di per sè solo sufficiente ad integra quell’ingerenza che la giurisprudenza di legittimità riconosce poter essere fonte d obblighi prevenzionistici.

Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo esame sul punto messo a fuoco nel precedente capo verso.
 

 


P.Q.M.

 



Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Perugia per nuovo esame