Cassazione Civile, Sez. Lav., 22 febbraio 2018, n. 4347 - Malattia professionale e rendita vitalizia per inabilità permanente


Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: BERRINO UMBERTO Data pubblicazione: 22/02/2018

 

 

 

Rilevato
che la Corte d'appello di Lecce (sentenza del 2.4.2012) ha rigettato l'impugnazione proposta dall’INAIL avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi che aveva accolto in parte la domanda proposta da C.C., avente ad oggetto il riconoscimento in suo favore della rendita vitalizia per inabilità permanente conseguente a malattia professionale, accordatagli nella misura del 9%;
che la Corte territoriale, all’esito della rinnovata C.T.U., non ha condiviso le contestazioni dell'appellante e, invece, ha accolto in parte l'appello incidentale proposto dagli eredi di C.C. , ritenendo congrua ed esauriente la motivazione fornita dal C.T.U. di secondo grado in ordine alla susssistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto ad una rendita pari al 25% dalla domanda amministrativa;
che per la cassazione della sentenza ricorre l'INAIL con due motivi;
che resistono con controricorso OMISSIS, nella qualità di eredi di C.C.;

 


Considerato
che col primo motivo, dedotto per violazione dell'art. 3 del d.p.r. 30.6.1965 n. 1124, l'Inail si duole del fatto che il giudice del gravame, dichiarando il diritto degli eredi del C.C. alla rendita che sarebbe spettata al loro dante causa nella misura del 25%, senza specificare a quale delle malattie denunziate fosse stato riconosciuto carattere professionale, ha erroneamente imputato la suddetta percentuale di danno biologico, in modo implicito, a tutte le tecnopatie accertate nei confronti dell'assicurato allorquando era in vita; che anche volendo intendersi che la valutazione del 25% fosse riferibile solo al carcinoma della laringe, il giudizio era egualmente erroneo, posto che, a seguito del deposito della consulenza tecnica esperita in secondo grado, la difesa dell'istituto aveva dettagliatamente contestato le risultanze peritali per errore diagnostico, assumendo che il carcinoma alla laringe, malattia ad eziologia multifattoriale, non poteva porsi in rapporto di causalità con l'attività lavorativa svolta a suo tempo dal C.C., mentre la Corte di merito aveva recepito acriticamente le conclusioni cui era pervenuto il consulente d'ufficio di seconde cure nel ritenere che vi era stata, con giudizio di probabilità, una relazione causale tra l'esposizione all'amianto e la neoplasia alla laringe; che col secondo motivo, proposto per vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., il ricorrente imputa al C.T.U., le cui conclusioni sono state condivise dalla Corte di merito, una palese devianza dai canoni della scienza medico-legale nel momento in cui ha apoditticamente trasformato il concetto astratto di possibilità di correlazione causale tra la predetta esposizione e la riscontrata malattia in quello concreto di probabilità di sussistenza della stessa eziologia; che i due motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati;
che, invero, la Corte territoriale ha spiegato, con adeguata motivazione, che il perito d'ufficio di secondo grado ha fornito una congrua ed esauriente motivazione in ordine alla sussistenza del diritto ad una rendita pari al 25% sin dall'epoca della domanda amministrativa, il tutto sulla base della documentazione sanitaria allegata, oltre che di una accurata visita personale dell'assicurato, evidenziando, nel contempo, che le osservazioni formulate dalla difesa dell'Inail erano alquanto generiche e non supportate da nuovi validi elementi obiettivi, tali da poter inficiare le motivate risultanze della perizia espletata;
che trattasi di motivazione esente da rilievi di legittimità in quanto adottata sulla scorta di elementi oggettivi di tipo diagnostico non sconfessati dai rilievi critici generici di parte ricorrente;
che questa Corte ha già avuto occasione di ribadire (Cass. Sez. 6 - L, Ordinanza n. 1652 del 3.2.2012) che "nel giudizio in materia d'invalidità il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione";
che nella fattispecie, a fronte della congrua motivazione espressa dalla Corte territoriale in merito alle condivise conclusioni peritali medico-legali, ritenute corrette sul piano tecnico-scientifico, ed in presenza della rilevata genericità delle censure mosse a tal riguardo dal ricorrente, quest'ultimo si limita a contrapporre, nel presente giudizio, la valutazione medica a suo tempo espressa dal consulente di istituto a quella formulata dal consulente d'ufficio e a dolersi in modo generico del fatto che apparivano inappaganti i termini coi quali la Corte d'appello aveva accolto il giudizio di probabilità, formulato dal perito d'ufficio, in merito alla rilevata sussistenza di una causalità tra l'esposizione all'amianto dell'assicurato e la neoplasia alla laringe, senza specificare, tuttavia, la fonte dell'asserita devianza dai canoni della scienza medica;
che, pertanto, il ricorso finisce per tradursi in un mero tentativo di rivisitazione del giudizio espresso dalla Corte di merito in ordine alla determinazione del grado di invalidità, operazione, questa, non consentita nel giudizio di legittimità laddove, come nella fattispecie, la contestata decisione risulti adeguatamente motivata e riposi su argomentazioni immuni da rilievi di ordine logico-giuridico;
che, pertanto, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, in base al generale principio della soccombenza.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese nella misura di € 2700,00, di cui € 2500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Così deciso in Roma il 18 ottobre 2017