Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 6, 28 febbraio 2018, n. 4748 - Indennizzo per inabilità temporanea e postumi invalidanti da infortunio sul lavoro. Ricorso inammissibile


 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: CAVALLARO LUIGI Data pubblicazione: 28/02/2018

 

 

 

Fatto

 


che, con sentenza depositata il 14.6.2016, la Corte di Appello di Bari, in riforma della decisione del Tribunale di Trani, ha rigettato la domanda proposta da E.S. nei confronti dell’INAIL ed intesa ad ottenere l’indennizzo per giorni 75 di inabilità temporanea totale e per postumi invalidanti permanenti pari al 15% derivati dall’infortunio sul lavoro occorsogli l'11.12.2006; che avverso tale statuizione ha proposto ricorso E.S., deducendo un unico motivo di censura; che l'INAIL ha resistito con controricorso;
che è stata depositata la proposta del relatore ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
 

 

Diritto

 


che, con l’unico motivo di censura, il ricorrente deduce «violazione, falsa applicazione ed errata applicazione ed interpretazione dei principi di medicina legale circa la individuazione del nesso eziologico e la quantificazione dell’invalidità permanente [...] e dell’inabilità temporanea» (cfr. ricorso, pag. 3) per avere la Corte di merito escluso, sulla scorta della CTU disposta in sede di gravame, che il trauma riportato a seguito dell'infortunio potesse aver avuto un'efficacia causale o anche concausale tale da far residuare postemi temporanei e permanenti indennizzabili in misura eccedente a quanto riconosciutogli dall'INAIL in sede amministrativa; 
che costituisce orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, nelle controversie in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie dell'assicurato, le conclusioni del consulente tecnico di ufficio sulle quali si fonda la sentenza impugnata possono essere contestate in sede di legittimità solo ex art. 360 n. 5 c.p.c. e nella misura in cui le censure contengano la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico-legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali, risolvendosi altrimenti in un mero dissenso diagnostico non deducibile in sede di legittimità (cfr., fra le tante, Cass. nn. 8654 del 2008, 22707 del 2010, 1652 del 2012 e, tra le più recenti, Cass. nn. 23093 del 2016 e 27807 del 2017);
che codesto orientamento va consolidato anche alla luce del principio secondo cui, a seguito della riformulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. da parte dell'art. 54, d.l. n. 83/2012 (conv. con 1. n. 134/2012), può essere dedotto in sede di legittimità soltanto l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, restando viceversa esclusa la possibilità di dolersi dell'omesso esame di elementi istruttori, qualora il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. n. 8053 del 2014);
che non denunciandosi nella specie, quale fatto decisivo, alcuna documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico-legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali, la censura si appalesa inammissibile, non potendosi dare ingresso in sede di legittimità a riconsiderazioni del quadro clinico e diagnostico già valutato in sede di merito;
che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che, tenuto conto della declaratoria d'inammissibilità del ricorso, sussistono inoltre i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;
 

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.700,00, di cui € 2.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 6.12.2017.