Categoria: Cassazione civile
Visite: 9373

Cassazione Civile, Sez. Lav., 07 marzo 2018, n. 5391 - Attività di allevamento di cavalli da riproduzione e infortunio sul lavoro: tutela assicurativa


 

 

Presidente: MAMMONE GIOVANNI Relatore: PERINU RENATO Data pubblicazione: 07/03/2018

 

Fatto

 


che, l'INAIL impugna la sentenza n. 1015, depositata in data 26/7/2011, con la quale la Corte d'appello di Bologna, in riforma della pronuncia di primo grado, riconosceva a T.G. il diritto alla rendita per indennizzo da danno biologico e da inabilità permanente per postumi invalidanti in misura del 100%, in conseguenza di infortunio sul lavoro occorsogli in data 6/1/2004;
che, la Corte di secondo grado, per quanto qui rileva, in particolare, riteneva che l'attività di allevamento di cavalli da riproduzione esercitata dal T.G. rientrasse tra quelle protette dalle norme sulla assicurazione infortuni (D.P.R. n. 1124/65);
che, avverso tale pronuncia ricorre per cassazione l'INAIL affidandosi a tre motivi;
che, resiste con controricorso e memoria il T.G..
 

 

Diritto

 


che, con il primo motivo, il ricorrente istituto denuncia in relazione all'art. 360, n.3, c.p.c., la violazione degli artt. 2 del T.U. n. 1124/65 e 9 del d.lgs. n. 173/1998, nonché dell'art. 2135 cod. civ., in quanto l'attività di allevamento dei cavalli finalizzata alla riproduzione non rientrerebbe tra le attività protette dalla disciplina in materia di infortuni sul lavoro, e non sarebbe riconducibile all'esercizio di attività imprenditoriale agricola di cui all'art. 2135 cod. civ.;
che, con il secondo motivo viene denunciata in relazione all'art. 360 n. 3, c.p.c., la violazione dell'art. 13 del d.lgs. n. 38/2000 per avere la Corte territoriale erroneamente determinato la rendita del danno biologico permanente nella misura pari al 100%;
che, con il terzo motivo parte ricorrente lamenta in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., l'omessa valutazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la corte di merito omesso di motivare sulla determinazione della percentuale di invalidità e sulla richiesta di espletamento della ctu;
che, il primo motivo non risulta meritevole di accoglimento per le ragioni che di seguito si espongono;
che, in particolare, il "thema decidendum" consiste nello stabilire se l'attività di allevamento equino finalizzata alla riproduzione, possa configurarsi quale attività agricola ai sensi dell'art. 2135 cod.civ. e, conseguentemente, l'occasione di lavoro necessaria ai sensi dell'art. 2 del D.P.R. n. 1124/65, per ricomprendere l'infortunio di lavoro di cui trattasi nella tutela assicurativa;
che, il perimetro normativo di riferimento è costituito dalle norme di seguito richiamate;
che, nello specifico, l'art. 207 del D.P.R. n. 1124/65, dispone che <<Sono considerati lavori agricoli, ai fini del presente titolo, tutti i lavori inerenti alla coltivazione dei fondi, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame ed attività connesse, ossia quelli che rientrano nell'attività dell'imprenditore agricolo, a norma dell'art. 2135 del codice civile, anche se i lavori siano eseguiti con l'impiego di macchine mosse da agente inanimato, ovvero non direttamente dalla persona che ne usa ed anche se essi non siano eseguiti per conto e nell'interesse dell'azienda conduttrice del fondo. 2. Le lavorazioni connesse, complementari od accessorie dirette alla trasformazione od all'alienazione dei prodotti agricoli, quando siano eseguite sul fondo dell'azienda agricola, o nell'interesse e per conto di una azienda agricola, sono comprese nell'assicurazione a norma del presente titolo, (omissis).>>;
che, l'art. 2135 cod. civ., nel testo novellato dall'art. 1, comma 1°, del d.lgs. n. 228/01, e applicabile "ratione temporis" alla fattispecie in disamina, prevede che <<1. E' imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. 2. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. 3. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda
normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.>>;
che, la giurisprudenza formatasi sulla nuova formulazione recata dall'art. 2135 cod.civ., ha evidenziato come il legislatore abbia, nella "subiecta materia", inteso ampliare significativamente la nozione di imprenditore agricolo, allo scopo di rafforzare la posizione imprenditoriale dell'operatore soprattutto per le attività connesse, pur mantenendo fermo il nucleo essenziale dell'attività agricola, siccome incentrata sul <<fattore terra>>, intesa come fattore produttivo, negando, invece la sussistenza dell'impresa agricola, allorché le attività connesse di cui all'art. 2135 assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione , allevamento e silvicoltura (Cass. n. 16614/2015 - Cass. n. 22978/2016 - Cass. n. 24995/2010);
che, la suddetta nozione di imprenditore agricolo rileva lai fini dell'inquadramento previdenziale, nonché della tutela assicurativa, come desumibile dal rinvio all'art. 2135 cod. civ. operato dall'art. 207 T.U. n. 1124/65;
che, il Collegio ritiene di dover dare continuità a tale consolidato orientamento, in considerazione, anche , del tenore letterale del novellato art. 2135 cod. civ., che, con il richiamo alle attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico, ha, all'evidenza, inteso ricomprendere tra le attività complementari, anche quelle attività che non presentino una connessione necessaria tra produzione e utilizzazione del fondo, essendo, invece, sufficiente che intercorra un mero collegamento funzionale e meramente strumentale con il terreno, al di fuori di una stretta connessione reale, come richiesta dalla previgente normativa;
che, al riguardo non pare conferente il richiamo operato dal ricorrente ad un precedente di questa Corte, atteso che tale orientamento si è formato sulla disciplina previgente al novellato art. 2135 cod.civ., e segnatamente l'art. 2 della l. n. 9/1963 (Cass. n. 11630/2007)
che, tale interdipendenza funzionale tra l'attività di coltivazione del fondo e l'allevamento equino finalizzato alla riproduzione, emerge, nel caso che occupa, alla luce delle evidenze probatorie divisate dalla Corte di secondo grado;
che, pertanto, il primo motivo di gravame risulta infondato;
che, vanno per ragioni di ordine logico esaminati congiuntamente il secondo ed il terzo motivo, in quanto strettamente connessi, e concernenti i dedotti vizi di motivazione nella determinazione dell'indennizzo del danno biologico e della determinazione del periodo di indennità temporanea assoluta;
che, in effetti, la Corte di merito ha quantificato l'indennizzo da danno biologico e da inabilità permanente, con motivazione "per relationem" alla " giusta produzione documentale espletata in giudizio di 1 grado";
che, tale laconica motivazione, peraltro, contenuta nel solo dispositivo, non consente di appurare come il giudice d'appello sia pervenuto a determinare l'entità del danno risarcibile, anche in relazione alla valutazione del richiesto espletamento della ctu, sollecitata nel secondo grado del giudizio dal ricorrente istituto;
che, in considerazione di ciò, sussiste la denunciata violazione dell'art. 360, n. 5, c.p.c.;
che in ragione di quanto precede, in accoglimento del secondo e del terzo motivo, il ricorso va accolto, e cassata la sentenza impugnata con rinvio alla competente Corte territoriale che, in diversa composizione, procederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Bologna in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 14.11.2017.