Cassazione Civile, Sez. Lav., 15 marzo 2018, n. 6410 - Amputazione degli arti del dipendente comunale e mancanza di scarpe antinfortunistiche. Nessun concorso di colpa dell'infortunato se manca la prova
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: DE FELICE ALFONSINA Data pubblicazione: 15/03/2018
Fatto
La Corte d'Appello di L'Aquila, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Teramo, ha condannato il Comune di Montorio al Vomano a rimborsare all'INAIL quanto versato a titolo di indennizzo nei confronti di R.C. per il grave infortunio da questi subito nell'espletamento della sua attività di capo operaio tecnico presso lo stesso Comune; accogliendo, poi l'appello del R.C. avverso la decisione di prime cure ha condannato il Comune, e, per esso, la compagnia di assicurazione Carige, nei limiti del massimale della polizza, a corrispondere al lavoratore il risarcimento per danno biologico, riconosciuto in Euro 214.364, detratto l'importo di quanto già erogato dall'Istituto previdenziale, comprensivo di rivalutazione ed interessi.
Il lavoratore era incorso in un grave infortunio che gli aveva procurato la parziale amputazione di un arto inferiore. Nella fattispecie un palo di quattro metri, posto tra il piano stradale e l'accesso all'Impianto sportivo, per colmare un dislivello che avrebbe facilitato l'accesso di un automezzo addetto al trasporto di materiale terroso, al passaggio del mezzo era sbalzato dalla parte opposta, ricadendo sulle estremità dei due operai mentre essi tentavano di tenere l'asse stabilmente collocata.
Secondo la Corte d'Appello, dall'Istruttoria, la quale aveva ripercorso la dinamica dell'incidente, non era risultata provata alcuna responsabilità del lavoratore infortunato, nemmeno alla stregua di concausa, in quanto la qualifica di capo squadra posseduta dal R.C., in assenza di espressa delega quale responsabile della sicurezza e dell'efficacia delle misure di prevenzione, non esonerava il Comune dall'obbligo di osservare ogni dovuta cautela al fine di rendere indenni i propri dipendenti dal rischio di infortunio.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione il Comune di Montorio al Vomano con due censure, cui resistono con tempestivo controricorso R.C., l'Inail e la Carige s.p.a., la quale presenta altresì ricorso incidentale affidato a due motivi, cui resistono con controricorso sia R.C. che l'Inail.
Diritto
I) Ricorso principale
1. Con la prima censura, si deduce "Omesso esame di un fatto decisivo della controversia ovvero della qualificazione professionale dell'Infortunato; violazione dell'art. 360 n.5 c.p.c.".
Il Comune si duole del fatto che la sentenza gravata non abbia considerato che al momento dell'incidente l'amministrazione comunale era rappresentata all'interno del cantiere proprio da R.C. il quale rivestiva la qualifica di capo operaio, risultando, nella predetta situazione, il maggiore rappresentante dell'ente locale, e avendo, pertanto, egli stesso l'obbligo di vigilare sulla sicurezza all'interno del cantiere.
La censura è infondata.
Secondo la Corte territoriale il R.C., pur essendo inquadrato come capo operaio, non rivestiva la qualifica di datore di lavoro, riservata dall'art. 2, co.l, lett b) d.lgs. n.81/2008 ai dirigenti, né risultava che l'Ente lo avesse formalmente investito di una siffatta responsabilità all'interno del servizio in cui operava. Conseguentemente, era il Comune di Montorio a dover rispondere d'inosservanza delle norme antinfortunistiche e, in particolare, degli obblighi di attuazione di misure tecniche e organizzative adeguate, al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro.
La conclusione della Corte d'Appello mostra di fare corretta applicazione dell'orientamento di questa Corte, la quale ritiene che il sistema delineato dal d.lgs. n.626/1994 preveda la possibilità di una distribuzione di responsabilità ripartita in via gerarchica tra il datore di lavoro, i dirigenti e preposti, quando il primo sia titolare di un'attività aziendale complessa ed estesa. In particolare, la funzione di preposto è legata non alla qualifica formale rivestita dall'interessato, quanto al suo specifico addestramento alla funzione. Preposto può essere, perciò, anche il caposquadra, ma la sua qualifica formale è ininfluente sulla distribuzione del peso della responsabilità se non risulti che questi "...sia stato appositamente addestrato per responsabilità di sicurezza, abbia pertanto la necessaria qualificazione tecnica per lo svolgimento di tale incarico, e sia stato espressamente investito di siffatto ruolo..." (Cass. n.29323/2008).
La Corte ha escluso, altresì, con motivazione esaustiva ed esente da vizi, che il lavoratore abbia tenuto un comportamento imprudente tale da costituire una concausa dell'infortunio, il che comporterebbe una riduzione proporzionale della responsabilità del datore; così come ha escluso anche l'evenienza di una condotta dettata da abnormità ed esorbitanza rispetto al processo lavorativo, quale causa esclusiva dell'evento, che scagionerebbe completamente il Comune.
2. Con la seconda censura è contestato "Omesso esame di un fatto decisivo della controversia ovvero della mancanza delle scarpe infortunistiche ai piedi dell'infortunato; violazione dell'art. 360 n.5 c.p.c."
Parte ricorrente deduce che la sentenza gravata abbia omesso di valutare il fatto che rappresenta la causa esclusiva e determinante del danno riportato, consistente nell'aver omesso il lavoratore di indossare, al momento dell'infortunio, il mezzo di protezione fornito dal Comune, violando, così l'obbligo di osservare le norme di sicurezza.
Tale censura contiene profili sia d'infondatezza sia d'inammissibilità.
Dall'istruttoria non è emerso che il Comune avesse esercitato quel controllo continuo e pressante per imporre ai lavoratori il rispetto della normativa di prevenzione ritenuto necessario dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n.34747/2012), essendo esso titolare oltre che dell'obbligo di predisposizione delle misure di prevenzione, altresì dell'obbligo di vigilanza circa l'adempimento degli obblighi che l'art. 19 affida ai preposti (art. 18, co.3 d.lgs. n.81/2008).
E' risultata, di contro, accertata l'inesistenza di adeguate misure di sicurezza.
Se poi con la doglianza parte ricorrente voglia sostenere (p.13 del ricorso) che l'Ente avesse inteso conferire al lavoratore, in virtù della sua posizione di "capo operaio, uno specifico potere decisionale e di vigilanza sull'adempimento degli obblighi di sicurezza da parte degli altri operai - e seppure tale investitura avesse rivestito un crisma di ufficialità (ma ciò è stato escluso) - deve rilevarsi che neanche tale volontà potrebbe esentare il datore dalla specifica responsabilità dell'organizzazione dei processi lavorativi, della scelta e dell'acquisto delle dotazioni di lavoro e della loro distribuzione al personale, della formazione dello stesso personale sulla materia della prevenzione degli infortuni.
Quanto alla prospettazione di un concorso del lavoratore alla causazione del danno da infortunio dovuto alla circostanza che egli non indossasse le scarpe di protezione al momento dell'evento, la censura manca di autosufficienza.
Essa si limita a prospettare una diversa ricostruzione dei fatti, senza contestare in modo specifico e con adeguate allegazioni probatorie ciò che non era emerso nel corso dell'Istruttoria, ossia che il lavoratore fosse privo delle calzature di protezione e che, seppure le avesse indossate, non avrebbe subito l'amputazione parziale dell'arto quale conseguenza della causa dell'infortunio.
Da ciò discende che non residuano margini per introdurre nuovi elementi di giudizio sulla fattispecie che, ove proposti, equivarrebbero a domandare a questa Corte un accertamento del fatto, inibito in sede di legittimità.
II) Ricorso incidentale
1. Il primo motivo, contesta "Violazione e falsa applicazione dell'art. 2043, 2087 e 1218 c.c., degli artt. 3, 4, 18, 19, 21, 22 e 33 del d.lgs. 19 settembre v 1994, n.626, degli artt. 4, 8 e 10 del d.P.R. 27 aprile 1955, n.547, e degli artt. 16 e 18 del d.P.R.n.164/1956, ai sensi dell'art. 360, nn.3 e 4 c.p.c.; omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione ai sensi dell'art. 360, nn.3 e 5 c.p.c. su un fatto controverso e decisivo per il giudizio".
La Carige deduce che, diversamente dal giudice di prime cure, la Corte d'Appello senza fornire una motivazione, avrebbe ritenuto non provata la circostanza che sia stato proprio il caposquadra R.C. a ordinare il posizionamento della trave di legno sul passaggio dell'automezzo, e dunque ha considerato irrilevante tale circostanza ai fini dell'accollo della responsabilità dell'infortunio in capo al lavoratore e non al Comune. Così statuendo la Corte d'Appello avrebbe erroneamente conferito oggettività alla mancanza di sicurezza del passaggio dell'autocarro ("... il posizionamento di una trave per superare il dislivello tra la parte esterna e la parte interna del cantiere non costituisce una modalità idonea e sicura"), attribuendone la responsabilità al solo Comune. Sostiene la ricorrente incidentale che il ribaltamento della decisione di primo grado non si fonda su un diverso accertamento di fatto, ma sull'aver ritenuto che la responsabilità della pericolosità del modo di superamento del dislivello non fosse attribuibile ad alcuno.
La censura è infondata.
Essa rappresenta il maldestro tentativo di ribaltare sul lavoratore la responsabilità dell'infortunio, ma la valutazione dedotta è inconferente, poiché il fulcro del sistema di sicurezza sul lavoro è rappresentato dalla responsabilità datoriale. Il datore di lavoro, quand'anche abbia affidato al dipendente il compito di vigilare sull'osservanza delle norme antinfortunistiche non è esonerato da responsabilità, fatta eccezione per l'ipotesi limite, di una condotta abnorme ed esorbitante tenuta dal lavoratore. Si tratta perciò di un obbligo contrattuale, del quale dottrina e giurisprudenza mettono altresì in risalto il carattere "bifronte": verso lo Stato, responsabile del bene della salute dei lavoratori, indisponibile ex art. 32 Cost., e verso i singoli lavoratori.
Nel caso controverso la Corte territoriale ha accertato che non vi era stato alcun affidamento di responsabilità al lavoratore e dunque nessun concorso di colpa. E', pertanto, risultata provata la piena responsabilità datoriale per violazione dell'obbligo di sicurezza, che a motivo della sua effettività non può non estendersi, oltre che alla predisposizione delle adeguate misure antinfortunistiche, altresì alla puntuale e accorta vigilanza sul rischio di comportamenti tali da vanificarne l'efficacia.
2. Il secondo motivo, deduce "Violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. e dell'art. 1227 cod. civ. ai sensi dell'art. 360, nn.3 e 4 c.p.c.; omessa pronuncia su un fatto decisivo per la controversia ai sensi dell'art. 360, nn. 3, 4, e 5 c.p.c."
Non una sola parola, la sentenza gravata avrebbe speso sulla circostanza, dedotta dal Comune, secondo cui il R.C., al momento dell'Infortunio, non indossasse le scarpe protettive che avevano evitato all'altro lavoratore danni rilevanti agli arti.
La mancata valutazione di tal circostanza farebbe venir meno la possibilità di considerare almeno quale concausa, il comportamento omissivo del lavoratore, con conseguente diminuzione dell'entità della condanna a carico del Comune. La sentenza avrebbe, dunque, disatteso il disposto di cui all'art. 112 cod. proc. civ., oltre ad essere viziata per omessa pronuncia su un fatto decisivo.
Il motivo è inammissibile.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte la mancanza formale di una statuizione deve essere considerata un rigetto quando è accolta una tesi decisoria incompatibile con la domanda non oggetto di espressa pronuncia. In altre parole, il vizio di omessa pronuncia va escluso ove ricorrano gli estremi di una reiezione implicita o di un suo assorbimento in altre statuizioni (Cass. n.15172/2009; Cass. n.16788/2006; Cass. n.7653/2012). Del resto, come rilevato, non è emerso nel corso dell'Istruttoria che il lavoratore fosse privo delle calzature di protezione.
In definitiva, sia il ricorso principale sia il ricorso incidentale sono rigettati. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale. Condanna il Comune di Montorio al Vomano e Carige s.p.a. al pagamento, nei confronti di R.C. e dell'Inail le spese del giudizio di legittimità, calcolate in Euro 3.000, per ciascuna delle parti, a titolo di competenze professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, e agli accessori di legge.
Così deciso nell'Udienza del 10/10/2017