Cassazione Civile, Sez. 6, 20 marzo 2018, n. 6958 - Broncopatia professionale e decesso. Reversibilità della rendita


 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: FERNANDES GIULIO Data pubblicazione: 20/03/2018

 

 

 

Rilevato

 


che, con sentenza del 20 maggio 2016, la Corte di appello di Caltanissetta , in riforma della decisione del primo giudice, rigettava la domanda proposta da M.A., vedova di G.A., nei confronti dell’INAIL volta al riconoscimento della reversibilità della rendita già goduta dal de cuius stante il nesso eziologico tra la malattia già indennizzata e l’evento morte;
che la Corte territoriale, all’esito dell’espletamento di una nuova consulenza tecnica d’ufficio, escludeva l’esistenza di un nesso di concausalità tra la broncopatia professionale da cui l’M.A. era affetto e manifestatasi il 15 settembre 1963 ed il suo decesso sopravvenuto all’età di 86 anni, in data 24 gennaio 2011, a seguito di complicanze cardiovascolari di una emorragia sub aracnoidea quest’ultima dovendo considerarsi causa esclusiva della morte;
che avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la M.A. affidato a cinque motivi cui resiste l’INAIL con controricorso;
che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. in cui dissente dalla proposta del relatore ed insiste in merito alla ammissibilità dei motivi di ricorso e alla loro fondatezza; 
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;
 

 

Considerato
che: con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 434 cod. proc. civ. ( in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.) in quanto la Corte territoriale non aveva esaminato l’eccezione di inammissibilità del gravame per violazione dell’art. 434 cod. proc. civ. nella nuova formulazione applicabile ratione temporis ; con il secondo motivo viene denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti ( in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) non avendo la Corte di merito esaminato le attività necroscopiche compiute dai sanitari della ASL c trascritte nel certificato necroscopico; con il terzo motivo viene dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 41 cod. pen. ( in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) per avere il giudice del gravame erroneamente applicato i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa in tema di nesso di causalità tra attività lavorativa e malattia professionale secondo cui può essere esclusa l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge solo nel caso in cui l’intervento di un fattore estraneo sia con certezza di per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni; con il quarto motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 , n. 4, cod. proc. civ. e 111 Cost. per difetto di motivazione sotto il profilo della incoerenza e perplessità ( in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 , cod. proc. civ.) evidenziandosi che l’impugnata sentenza si era adeguata alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio che presentava al suo interno un percorso motivazionale quantomeno perplesso dal momento che, nelle conclusioni, aveva escluso l’esistenza di un nesso di causalità tra malattia professionale ed il decesso dell’G.A. ritenuto attribuibile esclusivamente alle complicanze cardiovascolari di un’emorragia sub aracnoidea, mentre, nel corpo della relazione, si era espressa in termini probabilistici a proposito dell’incidenza dell’episodio ictale (causa extralavorativa) e decesso ; con il quinto motivo si deduce violazione c falsa applicazione dell’art. 134, n. 4, cod. proc. civ. per difetto di motivazione sotto il profilo dell’inadeguatezza (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 , cod. proc. civ.) per non avere la Corte di appello illustrato le ragioni per le quali aveva ritenuto di aderire alle conclusioni della CTU espletata in secondo grado del tutto opposte e quelle rassegnate dall’ausiliare nominato dal Tribunale; che il primo motivo è infondato alla luce del principio di diritto affermato dalle sezioni unite di questa Corte secondo cui «Gli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., nel testo formulato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio priorìs instantìae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l'atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado».(Cass. SU n. 27199 del 16 novembre 2017); ed infatti, dalla lettura della impugnata sentenza ( nel motivo, infatti, non viene riportato neppure in forma sintetica il contenuto dell’atto di appello) emerge che l’oggetto del “devolutum” era stato chiaramente individuato nel gravame avendo l'INAIL censurato la decisione del Tribunale per essere stata fondata sulle erronee ed illogiche argomentazioni della disposta consulenza tecnica d’ufficio; che il secondo motivo è inammissibile in quanto non presenta i requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360, primo comma, n. 5 così come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte (SU n. 8053 del 7 aprile 2014) finendo con il lamentare l’omesso esame di risultanze istruttorie laddove, come precisato chiaramente nella citata sentenza n. 8053 delle S.U., l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; ed infatti, nel caso in esame si lamenta l’omessa valutazione non di un fatto, bensì del contenuto del certificato necroscopico in cui viene espressa una valutazione ( il testo trascritto nel motivo è il seguente: “ si certifica che il signor G.A. è deceduto ...con malattia iniziale broncopatia cronica ostruttiva, causa intermedia o complicazioni insufficienza cardiorespiratoria cuore-polmonare, cerebrovasculopatia secondaria, causa terminale edema polmonare”); peraltro, risulta che di detto certificato ha tenuto conto il consulente tecnico nominato dalla Corte di appello;
che il terzo motivo è infondato in quanto l’impugnata sentenza ha escluso del tutto qualsivoglia incidenza causale della pregressa malattia professionale con il decesso la cui causa esclusiva è stata individuata dalla consulenza tecnica espletata in appello nelle complicanze cardiovascolari di una emorragia subaracnoidca; peraltro, non può non rilevarsi che nel motivo risultano riportati solo alcuni passi della consulenza tecnica censurata da cui si evince che il consulente ha attribuito la causa della morta dell’G.A. a fenomeni prettamente cardiospeciftci - escludendo, quindi, ogni concausalità della malattia professionale — su base verosimilmente arterosclerotica- degenerativa;
che il quarto motivo è infondato essendo la motivazione seguita dalla Corte di appello del tutto lineare e priva di contraddizioni; che il quinto motivo è inammissibile finendo con il criticare la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale, in quanto tale non più censurabile (si veda la citata Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione);
che, per tutto quanto sopra considerato, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;
che non si provvede in ordine alle spese del presente giudizio avendo il ricorrente reso la dichiarazione di cui all’art. 152 disp. att. cod. proc. civ.;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);
 

 

P.Q.M.

 


La Corte, rigetta il ricorso, nulla per le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2018