Cassazione Civile, Sez. 6, 21 marzo 2018, n. 7088 - Revisione della rendita per aggravamento dei postumi
Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: FERNANDES GIULIO Data pubblicazione: 21/03/2018
Rilevato
che, con sentenza del 15 giugno 2016, la Corte di Appello di Trieste confermava la decisione del Tribunale in sede di rigetto della domanda proposta da M.M. nei confronti dell'INAIL ed intesa ad ottenere la revisione per aggravamento dei postumi residuatigli a seguito degli infortuni sul lavoro verificatisi il 4 settembre 2002 ed il 4 febbraio 2006 nella misura del 38% e, in ogni caso, in misura superiore al 26% già riconosciuto dall’INAIL;
che per la cassazione di tale decisione propone ricorso il M.M. affidato a quattro motivi cui resiste l’INAIL con controricorso;
che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380- bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio; che il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. in cui insiste per l’accoglimento del ricorso; che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata;
Considerato
che: con i primi tre motivi si deduce violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per non avere la Corte di appello posto a fondamento della decisione prove proposte dal ricorrente e fatti, anche non contestati, risultanti dagli atti ed oggetto di discussione tra le parti ( in relazione all’art. 360, primo comma, n.5, cod. proc. civ.) perchè:
- non corrispondeva al vero quanto affermato dalla Corte territoriale e cioè: che la sindrome dello stretto toracico non fosse stata dedotta in giudizio risultando, infatti, dalla perizia del dott. B. depositata agli atti; che non fosse di natura professionale, essendo ciò ricavabile dal ricorso introduttivo del giudizio ( in cui si riferiva dei due infortuni sul lavoro e dei postumi residuati) e dall’elaborato peritale; che non era stata contestata la percentuale di invalidità riconosciuta dall’INAIL per il primo infortunio ( primo motivo);
- la Corte di merito erroneamente si era discostata dalle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio nuovamente disposta in appello che aveva riconosciuto la natura professionale della sindrome dell’egresso toracico omettendo di considerare le risultanze del certificato medico del novembre 2007 a firma del dott. G. in cui veniva segnalata la presenza di un “protazione scapolare anche sul lato dx, opposto alla lesione.. .dovuto ad un cifosi dorsale” e concludeva indicando la presenza di una “verosimile” componente costituzionale ( ossia la cifosi) e la sussistenza di un’autonoma “componente traumatica” nella genesi dell’egresso toracico ossia “l’infortunio alla spalla sinistra” (secondo motivo);
- il giudice del gravame aveva applicato la formula del Gabrielli sul presupposto del tutto erroneo che la sindrome dello stretto toracico non andava presa in considerazione perché tale malattia non era stata allegata né erano stati allegati fatti idonei a dimostrarne al natura professionale (terzo mezzo);
che con il quarto motivo viene dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. ( in relazione all’art. 360, primo comma, n.4, cod. proc. civ.) per avere il giudice del gravame apoditticamente affermato che era del tutto ingiustificato il riconoscimento di un tasso di invalidità superiore alla metà di quello previsto dalle tabelle vigenti per la perdita anatomica dell’arto non dominante per disarticolazione scapolo-omerale, mancanza di giustificazione confermata dalla circostanza che al M.M., nel 2010 era stata rinnovata la patente di guida; che i primi tre motivi , da trattare congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono inammissibili in quanto non presentano i requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360, primo comma, n. 5 così come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte (SU n. 8053 del 7 aprile 2014) finendo: a) con il criticare la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, c dunque un caratteristico vizio motivazionale, in quanto tale non più censurabile (si veda la citata Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art 132, n. 4, cod. proc. civ., esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione); b) con il lamentare l’omesso esame di risultanze istruttorie laddove, come precisato chiaramente nella citata sentenza n. 8053 delle S.U., l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
che, peraltro, l’impugnata sentenza ha in modo ampio ed esaustivo illustrato le ragioni per le quali la sindrome dello stretto toracico (o sindrome dell’egresso toracico) non poteva essere considerata ai fini del computo dei postumi invalidanti derivati al M.M. a seguito dei due infortuni sul lavoro a lui occorsi ragion per cui i motivi finiscono con il censurare non un omesso esame, bensì l’accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dal ricorrente;
che, inoltre, la Corte ha anche fondato la decisione su una ulteriore “ratio decidendi” — non inficiata, per quanto appresso si dirà, dal quarto motivo di ricorso- secondo cui, comunque, anche a voler considerare la sindrome dell’egresso toracico quale malattia di origine lavorativa, comunque, la conclusione che l’invalidità derivata dai postumi dei due infortuni era pari al 26% non variava in quanto - valutando detti postumi come un complesso unitario e non come elementi singoli da sommare - la riduzione delle funzionalità della spalla sinistra del braccio e del rachide cervicale di cui era portatore l’assicurato non giustificava un tasso di invalidità superiore alla metà di quello previsto dalle tabelle vigenti per la perdita anatomica dell’arto non dominante per disarticolazione scapolo-omerale (50-55%) o meglio, sul piano funzionale , per la paralisi totale del plesso brachiale non dominante (48%) tenendo conto del fatto che la voce 223 attribuiva un punteggio del 20% alla “anchilosi completa dell’articolazione scapolo omerale con arto in posizione favorevole” dal lato non dominante e che il M.M. non presentava affatto un anchilosi completa avendo conservato una funzionalità dell’articolazione tutt’altro che residuale come confermato dal fatto che gli era stata anche rinnovata nel 2010 la patente di guida;
che il quarto motivo è del tutto infondato in quanto la Corte ha in modo chiaro illustrato ( nei termini sopra riportati) l’iter logico seguito nel ritenere che, pur considerando la malattia dell’egresso toracico tra i postumi degli infortuni, la percentuale di invalidità individuata nel 26% era corretta;
che, dunque, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;
che le spese del presente giudizio sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per csborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
P.Q.M.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater.; del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2018