Cassazione Civile, Sez. Lav., 22 marzo 2018, n. 7206 - Infortunio mortale e azione di regresso della Cassa Svizzera di Compensazione nei confronti degli eredi. Responsabilità esclusiva del DL in assenza di comportamento abnorme del lavoratore


Presidente: MANNA ANTONIO Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI Data pubblicazione: 22/03/2018

 

 

Fatto

 


Con sentenza 8 novembre 2012, la Corte d'appello di Lecce condannava R.Z., Lucia, Massimo, Matteo e Vincenzo A., ciascuno prò quota quali eredi (con beneficio di inventario) di G. A., datore di lavoro di L.D.P. deceduto per infortunio sul lavoro occorsogli il 31 ottobre 1995, al pagamento, in favore della Cassa Svizzera di Compensazione a titolo di regresso, ai sensi degli artt. 10 e 11 d.p.r. 1124/1965, di quanto corrisposto e da corrispondere alla sua coniuge superstite, della somma di € 371.465,30, oltre rivalutazione ed interessi dalla domanda: così riformando la sentenza del primo giudice, che aveva invece rigettato la domanda della Cassa.
A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva la responsabilità esclusiva, a norma dell'art. 2087 c.c., del datore nella causazione dell'infortunio mortale del lavoratore precipitato al suolo, nell'esecuzione di lavori di demolizione di un fabbricato mentre era intento ad abbattere una trave in piedi su un ponte di legno ad altezza di circa quattro metri, in assenza di impalcato di protezione, di idonee cinture di sicurezza dotate di bretelle allegate a dispositivi di trattenuta: e pertanto senza avere posto in atto alcun comportamento abnorme.
Con atto notificato 29 gennaio (4 febbraio) 2013, R.Z., Lucia, Massimo, Matteo e Vincenzo A. ricorrevano, nella qualità, per cassazione con sei motivi, cui resisteva la Cassa Svizzera di Compensazione con controricorso, contenente ricorso incidentale in base ad unico motivo, cui replicavano i predetti con controricorso; la Cassa comunicava memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 444 e 445 c.p.p. nonché omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione sul fatto decisivo e controverso di erronea assunzione a fonte di prova della responsabilità esclusiva datoriale di G. A., nell'infortunio mortale occorso sul lavoro al suo dipendente L.D.P., della sola sentenza di applicazione della pena su richiesta al predetto, inidonea a costituire prova della sua responsabilità, potendo di sicurezza, non anche di impalcato di protezione, neppure obbligatorio per i muri di altezza inferiore ai cinque metri, come quello di specie) colpevolmente non adottate dal lavoratore, non semplice destinatario ma tenuto ad una cooperazione attiva nell'applicazione delle misure di sicurezza predisposte dal datore di lavoro e pertanto autore di una condotta abnorme, esattamente ritenuta dal primo giudice ed invece negata dalla Corte territoriale, per un non corretto governo dei principi in materia di ripartizione e valutazione probatoria.
3. Con il terzo, i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione degli artt. 4 e 6 d.p.r. 547/1955, per erronea esclusione di ogni responsabilità del lavoratore, neppure concorrente, a fronte dell'inosservanza del lavoratore  deceduto dell'obbligo datoriale di  "disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione", da quest'ultimo invece rispettato.
4. Con il quarto, i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione degli artt. 10 e 11 d.p.r. 1124/1965 e 2697 c.c., per difetto di prova, nell'inidoneità della sentenza di applicazione di pena su richiesta del datore di lavoro, della sua responsabilità ai sensi dell'art. 2087 c.c., in particolare tenuto conto del diverso regime probatorio dell'azione (non già di surroga, ma) autonoma di regresso della Cassa Svizzera di Compensazione, fondata sul rapporto assicurativo.
5. Con il quinto, i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione dell'art. 41, secondo comma c.p., per interruzione del nesso causale tra l'eventuale responsabilità datoriale e l'evento per effetto del comportamento abnorme del lavoratore, consapevolmente inosservante delle misure di sicurezza messegli a disposizione e autore di un "inspiegabile" taglio della struttura da demolire, improvvisamente caduta facendo cedere la struttura di appoggio dell'impalcatura sulla quale egli si trovava con un compagno.
6. Con il sesto, i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione dell’art. 132, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza in violazione dell'art. 156, primo e secondo comma c.p.c., omessa e contraddittoria motivazione, meramente formale e con esposizione delle ragioni solo apparente, per gli erronei riferimenti alla cristallizzazione delle circostanze di fatto della vicenda negli atti del procedimento penale e all'adesione dei ricorrenti al fatto contestato in sede penale, neppure confutato nelle sue circostanze.
7. Con unico motivo la Cassa controricorrente a propria volta deduce, in via di ricorso incidentale, omessa statuizione in ordine alle spese di primo grado e violazione dell'art. 91 c.p.c., per liquidazione delle spese del grado di appello non conforme ai parametri previsti dall'art. 5 d.m. 140/2012.
8. In via di pregiudizialità logico-giuridica, occorre prendere le mosse dal sesto motivo, relativo a violazione o falsa applicazione dell'art. 132, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza in violazione dell'art. 156, primo e secondo comma c.p.c., omessa e contraddittoria motivazione.
8.1. Esso è infondato.
8.2. La motivazione della sentenza impugnata, che, come noto, non rappresenta un elemento meramente formale, ma un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione della intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, non è nel caso di specie inesistente, posto che le ragioni esposte consentono di individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione: sicché, non è integrata la nullità denunciata sotto il profilo dell'error in procedendo, che non può essere mai dichiarata se l'atto abbia raggiunto il suo scopo, per il principio di strumentalità della forma (Cass. 22 giugno 2015, n. 12864; Cass. 20 gennaio 2015, n. 920; 10 novembre 2010, n. 22845).
8.3. Neppure la sentenza impugnata è totalmente priva dell'esposizione delle ragioni di diritto a suo fondamento: posto che soltanto una mancanza che si traduca nella radicale inidoneità della stessa ad esprimere la ratio decidendi, così da determinare la nullità della sentenza per carenza assoluta di un requisito di forma essenziale, costituisce violazione di legge denunciatile in sede di legittimità (Cass. 16 luglio 2009, n. 16581; Cass. 4 agosto 2010, n. 18108; Cass. 16 maggio 2003, n. 7672); mentre la Corte territoriale ha illustrato le ragioni della propria decisione in modo tale da giustificare il percorso motivo seguito nell'accertamento di fatto compiuto: come dimostra appunto la censura, che si è essenzialmente appuntata sulla sua critica
valutazione probatoria.
(Cass. 2 dicembre 2010, n. 24587; Cass. 24 maggio 2017, n. 13034).
In ogni caso, pur non potendo farsi discendere dalla sentenza di cui all'art. 444 c.p.p. (siccome non ontologicamente qualificabile come sentenza di condanna in quanto essenzialmente originata da un accordo delle parti, caratterizzato dalla rinuncia dell'imputato a contestare la propria responsabilità) la prova dell’ammissione di o responsabilità da parte dell'imputato né ritenere che tale prova sia utilizzabile nel procedimento civile (Cass. 12 aprile 2011, n. 8421), le risultanze del procedimento penale, benché non vincolanti, possono essere liberamente apprezzate dal giudice civile ai fini degli accertamenti di sua competenza (Cass. 6 dicembre 2011, n. 26250).
9.2. Quanto alla responsabilità ai sensi dell'art. 2087 c.c., il datore di lavoro è sempre responsabile dell'Infortunio occorso al lavoratore, anche qualora sia ascrivibile non soltanto ad una sua disattenzione, ma anche ad imperizia, negligenza e imprudenza (Cass. 10 settembre 2009, n. 19494). Egli è, infatti, totalmente esonerato da ogni responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore assuma caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, in modo da porsi quale causa esclusiva dell'evento (Cass. 17 febbraio 2009, n. 3786; Cass. 13 gennaio 2017, n. 798): così integrando il cd. "rischio elettivo", ossia una condotta personalissima del lavoratore, avulsa dall'esercizio della prestazione lavorativa o anche ad essa riconducibile, ma esercitata e intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, al di fuori dell'attività lavorativa e prescindendo da essa, come tale idonea ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata (Cass. 5 settembre 2014, n. 18786; Cass. 26 aprile 2017, n. 10319).
Sicché, qualora non ricorrano detti caratteri nel comportamento del lavoratore, l'imprenditore è integralmente responsabile dell'Infortunio dipendente dall'inosservanza delle norme antinfortunistiche, poiché la violazione dell'obbligo di sicurezza integra l'unico fattore causale dell'evento: non rilevando in alcun grado il concorso di colpa del lavoratore, posto che il datore di lavoro è tenuto a proteggerne l'incolumità nonostante la sua imprudenza e negligenza (Cass. 25 febbraio 2011, n. 4656; Cass. 4 dicembre 2013, n. 27127).
9.3. Infine, deve sul punto essere ribadito che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso: con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'Infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente (Cass. 14 marzo 2006, n. 5493; Cass. 10 settembre 2009, n. 19494).
9.4. E allora, poiché la responsabilità conseguente alla violazione dell'art. 2087 c.c. ha natura contrattuale, l'istituto assicuratore che agisca in via di regresso deve allegare e provare, così come il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno da infortunio, l'esistenza dell'obbligazione lavorativa e del danno, nonché il nesso causale di questo con la prestazione; il datore di lavoro deve invece provare che il danno sia dipeso da causa a lui non imputabile, avendo adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno e che gli esiti dannosi sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile (Cass. 23 aprile 2008, n. 10529).
9.5. Ebbene, al di là di alcune affermazioni (che si leggono al secondo capoverso di pg. 3 della sentenza) non del tutto corrette (in particolare, in relazione alla surrogazione al danneggiato dell'istituto di assicurazione, invece titolare di autonoma azione di regresso per titolarità propria, e non derivata, di un diritto basato sul rapporto di assicurazione quale tramite per far valere pur sempre la responsabilità datoriale ai sensi dell'art. 2087 c.c.: Cass. 23 aprile 2008, n. 10529; e così pure in relazione all'esaustività probatoria per il danneggiato della sentenza penale di applicazione della pena a sensi dell'art. 444 c.p.c.: Cass. s.u. 31 luglio 2006, n. 17289), la Corte territoriale ha fatto esatta applicazione dei suenunciati principi di diritto. Sulla loro base ed in esito ad una ricostruzione fattuale dell'infortunio sostanzialmente non contestata tra le parti (ancorché diversamente valutata in ordine agli addebiti di responsabilità), essa ha quindi operato una valutazione probatoria complessiva, liberamente apprezzando la sentenza ai sensi dell'art. 444 c.p.c. congiuntamente alla deposizione del teste V.A.: così pervenendo ad un accertamento in fatto di responsabilità esclusiva (in assenza di un comportamento abnorme del lavoratore, non assistito da idonee misure antinfortunistiche e neppure essendo stata provata la vigilanza datoriale sull'applicazione di quelle fornite) del datore di lavoro. E tale accertamento in fatto, in quanto congruamente motivato (per le ragioni in particolare esposte a pg. 4 della sentenza), è insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694): tanto più alla luce del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., applicabile rattorte temporis e rispetto al quale sono inconfigurabili i vizi motivi denunciati (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).
10. L'unico motivo incidentale, relativo ad omessa statuizione sulle spese di primo grado e violazione dell'art. 91 c.p.c. per incongrua liquidazione delle spese di appello, è invece fondato.
10.1. Allorché, infatti, riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, il giudice di appello deve procedere d'ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della lite: poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale (Cass. 18 marzo 2014, n. 6259; Cass. 1 giugno 2016, n. 11423).
E ciò in virtù del principio, desumibile dall'art. 336, primo comma c. p. c., secondo cui la riforma, anche parziale, della sentenza di primo grado ha effetto sulle parti dipendenti da quella riformata (cd. "effetto espansivo interno"), determinando la caducazione del capo che ha statuito sulle spese di lite (con specifico riferimento a giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale: Cass. 4 giugno 2012, n. 8919; Cass. 25 agosto 2017, n. 20399).
10.2. Sicché, avendo esclusivamente provveduto, senza alcun cenno motivo a quelle di primo grado (come si evince dal primo periodo di pg. 5 della sentenza), alle spese del grado di appello, la Corte territoriale ha omesso di statuire sulle spese di primo grado, con assorbimento di ogni altra ragione di censura.
11. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento dell'incidentale, con la cassazione della sentenza, in relazione ad esso e, con decisione nel merito in assenza di alcuna necessità di ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, ult. pt. c.p.c., la condanna di R.Z., Lucia, Massimo, Matteo e Vincenzo A., nella qualità, alla rifusione, in favore della Cassa Svizzera di Compensazione, delle spese dei due gradi di giudizio e dell'odierno giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte
rigetta il ricorso principale; accoglie l'incidentale e cassa la sentenza in relazione ad esso e, decidendo nel merito, condanna R.Z., Lucia, Massimo, Matteo e Vincenzo A., nella qualità di eredi di G. A., alla rifusione, in favore della Cassa Svizzera di Compensazione, delle spese di tutti i gradi di giudizio e del presente giudizio di legittimità, così liquidate: per il primo grado, in € 150,00 per esborsi e € 6.000,00 per compensi professionali; per il secondo, in € 500,00 per esborsi e € 8.000,00 per compensi professionali; per il giudizio di cassazione, in € 200,00 per esborsi e € 10.000,00 per compensi professionali; tutte le somme oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2017