Cassazione Civile, Sez. Lav., 05 aprile 2018, n. 8419 - Legittimo il licenziamento del lavoratore colpito dal linfoma di Hodgkin se non c'è modo di adibirlo ad altro ruolo presso l'area di servizio


 

Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: ARIENZO ROSA Data pubblicazione: 05/04/2018

 

Fatto

 


1. Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere confermava l'ordinanza, resa nella fase sommaria, di annullamento del licenziamento intimato a L.F. - pompista presso l'area di servizio "San Nicola Est" - dalla Borghese Service s.r.l. il 18.9.2008 in considerazione della sua inabilità al lavoro conseguente alla grave patologia contratta (linfoma di Hodgkin), con relativa reintegra nel posto di lavoro, limitando, tuttavia, il risarcimento del danno alla misura minima di legge, sul rilievo che il ricorrente, nel periodo intercorrente tra il licenziamento e la reintegra, non avrebbe potuto in ogni caso lavorare a causa della malattia.
2. La Corte di appello di Napoli, adita in sede di reclamo da entrambe le parti, in accoglimento dell'impugnazione proposta dalla società - assorbita quella del lavoratore - ed in riforma dell'impugnata sentenza, dichiarava la legittimità del licenziamento dopo avere respinto l'eccezione di decadenza sollevata in relazione al superamento del termine per il deposito del ricorso giudiziale, sul rilievo che i termini introdotti dalla l. 183/2010 art. 32, comma 1, in virtù di quanto poi stabilito dall'art. 32, comma 1 bis, della stessa legge, introdotto dall' art. 2, comma 54, del d.l. 225/2010, conv. con modificazioni dalla legge n. 10/2011, non fossero applicabili e che pertanto non fosse maturata alcuna decadenza.
3. Nel merito, alla luce di orientamento espresso dalla S. C. in relazione ad ipotesi di sopravvenuta infermità del lavoratore, la Corte rilevava che nella contrattazione collettiva non esisteva un profilo di "pompista self", che dall'esame della prova per testi era emerso che tutti i pompisti erano addetti, all'occorrenza, alla pompa self e che l'organico aziendale era tale per cui, in mancanza di surrogabilità di alcune funzioni, doveva escludersi, in base a principi di correttezza e buona fede, una diversa organizzazione aziendale che non comportasse un'utilizzazione piena delle prestazioni lavorative del lavoratore in coerenza con i principi di corrispettività, non potendo esigersi che il datore ricevesse una prestazione parziale non satisfattiva del suo interesse in un contesto aziendale del quale l'organizzazione da parte datoriale doveva ritenersi insindacabilmente rimessa allo stesso.
4. Aggiungeva che era emerso che l'azienda risentiva di un momento di crisi, in cui erano stati effettuati licenziamenti e non assunzioni e che era stato escluso che l'adibizione alla pompa self fosse meno nociva per il L.F., senza considerare che tale soluzione organizzativa avrebbe comportato l'adibizione continuativa degli altri lavoratori alle pompe di servizio, con maggiore esposizione a rischio degli stessi, e alterazione dell'organigramma aziendale.
5. Per la cassazione di tale decisione ricorre il L.F., affidando l'impugnazione ad unico motivo, cui resiste la società con controricorso, illustrato con memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. La Direzione Territoriale del Lavoro di Caserta si è costituita al solo fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione e l'INPS ha rilasciato procura speciale in calce al ricorso notificato. L'INAIL è rimasto intimato.

 



Diritto

 



1. Preliminarmente, va rilevata la tardività della memoria del L.F., depositata oltre i termini di cui all'art. 378 c.p.c.
2. Si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 32, 36 e 41 Cost., degli artt. 1175, 1375, 1463, 1464 e 2087 c.c., degli artt. 1 e 3 L. 604/66, della L. 68/99, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., rilevandosi che, pur partendo da premesse conformi ai principi sanciti da consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità in tema di individuazione da parte del datore di mansioni alternative cui possa essere adibito il lavoratore affetto da inidoneità fisica, la Corte abbia ingiustificatamente escluso la possibilità di sostituzione del predetto nei compiti piu' usuranti con altro lavoratore maggiormente idoneo dal punta di vista dello stato di salute, senza che tuttavia l'azienda fosse costretta a creare per l'inabile una posizione non necessaria dal punto di vista organizzativo e produttivo. Si richiama il principio in virtù del quale grava sul datore di lavoro un obbligo di reperimento e di assegnazione delle mansioni più consone al mutato stato di salute del lavoratore divenuto inidoneo per motivi di salute, legittimandosi la risoluzione del rapporto per giustificato motivo oggettivo solo nel caso in cui risulti provato dal datore che in azienda non sussistano, per il predetto, mansioni idonee a tutelare il suo interesse alla conservazione dell'occupazione (fondato sull'art. 4 Cost.) e il suo diritto, ex art. 2087 c.c., alla salvaguardia dell'integrità psico/fisica. Si insiste, infine, sull'onere, gravante sull'azienda, di dimostrare l'impossibilità di riutilizzo del lavoratore in altre mansioni, prima in quelle ritenute equivalenti ex art. 2103 c.c. e successivamente in mansioni inferiori, ma suscettibili di salvaguardare il bene occupazione, a meno che ciò non comporti aggravi organizzativi.
4. con riguardo al caso specifico, si sostiene che nessun aggravio per il datore sarebbe conseguito ad una diversa ripartizione delle mansioni svolte dai suoi dipendenti, con la variante dell'adibizione esclusiva alla pompa self del L.F. all'Interno del "gabbiotto" già esistente, funzionale alla tutela del suo precario stato di salute.
5. Il ricorso è infondato.
6. E' stato affermato che "In caso di sopravvenuta infermità permanente del lavoratore, non si realizza un’impossibilità della prestazione lavorativa quale giustificato motivo oggettivo di recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato (artt. 1 e 3 della legge n. 604 del 1966 e artt. 1463 e 1464 cod. civ.) qualora il lavoratore possa essere adibito a mansioni equivalenti o, se impossibile, anche a mansioni inferiori, purché da un lato tale diversa attività sia utilizzabile nell'impresa, secondo l'assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall'imprenditore, e dall'altro, l'adeguamento sia sorretto dal consenso, nonché dall'interesse dello stesso lavoratore" a ciò conseguendo che, "nel caso in cui il lavoratore abbia manifestato, sia pur senza forme rituali, il suo consenso a svolgere mansioni inferiori, il datore di lavoro è tenuto a giustificare l'eventuale recesso, considerato che egli non è tenuto ad adottare particolari misure tecniche per porsi in condizione di cooperare all'accettazione della prestazione lavorativa di soggetti affetti da infermità, che vada oltre il dovere di sicurezza imposto dalla legge" (cfr. Cass. 2.7.2009 n.15500, Cass. 13.10.2009 n. 21710).
7. Va premesso che, in discontinuità con precedente orientamento giurisprudenziale, secondo cui, in tema di inidoneità fisica al lavoro, l'impossibilità di utilizzazione del lavoratore in ambiente compatibile con il suo stato di salute deve essere provata dal datore di lavoro, sul quale incombe anche l'onere di contrastare eventuali allegazioni del prestatore di lavoro, nei cui confronti è esigibile una collaborazione nell'accertamento di un possibile "repechage" in ordine all'esistenza di altri posti di lavoro nei quali possa essere utilmente ricollocato (v., ex aliis, Cass. 3.3.2014 n. 4920, Cass. 8.11.2013 n. 25197, Cass. 8.2.2011 n. 3040 e, da ultimo, anche Cass. 16.5.2016 n. 10018) si pongono le decisioni assunte da Cass. 22.3. 2016, n. 5592, da Cass. 13.6.2016 n. 12101, Cass. 5.1.2017 n. 160, secondo cui "esigere che sia il lavoratore licenziato a spiegare dove e come potrebbe essere ricollocato all'Interno dell'azienda significa, se non invertire sostanzialmente l'onere della prova (che - invece - l'art. 5 legge n. 604/66 pone inequivocabilmente a carico del datore di lavoro), quanto meno divaricare fra loro onere di allegazione e onere probatorio, nel senso di addossare il primo ad una delle parti in lite e il secondo all'altra", in contrasto con i principi di diritto processuale secondo cui "onere di allegazione e onere probatorio non possono che incombere sulla medesima parte, nel senso che chi ha l'onere di provare un fatto primario (costitutivo del diritto azionato o impeditivo, modificativo od estintivo dello stesso) ha altresì l'onere della relativa compiuta allegazione".
8. Al di là della valutazione della astratta validità dei principi appena richiamati, è pacifico, tuttavia, che nella specie l'iter argomentativo seguito dal giudice del gravame si è sviluppato coerentemente a condivisi principi di interpretazione secondo buona fede del contratto, che impongono di valutare il recesso datoriale alla luce di canoni intepretativi che valorizzano la possibilità di adibizione del lavoratore inidoneo ad una diversa attività lavorativa riconducibile alle mansioni già assegnate o ad altre equivalenti, e subordinatamente anche inferiori, sempre che venga attribuito rilievo, nel bilanciamento degli interessi costituzionalmente protetti (art 4 Cost. ed art 41 Cost.), all'interesse del datore di lavoro ad una collocazione del lavoratore inidoneo che non incida nel senso di modificare le scelte organizzative con pregiudizio per gli altri lavoratori ed alterazione inammissibile della qualità dell'organigramma aziendale.
9. E' stato, invero, correttamente verificato l'assolvimento da parte del datore di lavoro del suo onere di allegazione e prova in base ai principi sanciti dalle sentenze da ultimo richiamate, conferendosi il dovuto risalto, con riferimento alla specificità della realtà organizzativa ove il lavoratore inidoneo si trovava a svolgere la propria attività di "pompista" presso il distributore di benzina, alla circostanza che non esisteva nella contrattazione collettiva un profilo avente ad oggetto le mansioni di "pompista self" (essendo ricompresi nel VI livello delle declaratorie contrattuali i pompisti specializzati e nel IV i pompisti), che dalla prova per testi era emerso che tutti i pompisti erano addetti, ove occorresse, all'assistenza alla pompa self, che, oltre ai pompisti, vi erano in azienda tre addetti al market, senza carenze di organico, non surrogabili nelle mansioni dei pompisti e viceversa, che non vi erano state assunzioni dopo il licenziamento, tranne due stagionali per due mesi nel periodo estivo e che, per il diminuire degli affari, erano stati licenziati almeno due pompisti nel 2012.
10. Ciò rende ragione della coerenza della decisione con gli indicati principi, avendo la Corte territoriale posto in evidenza come la scelta di adibire il L.F. alla pompa self, che non rappresentava, per quanto detto, un profilo professionale autonomo, avrebbe realizzato un adempimento solo parziale della prestazione lavorativa pattuita, oggetto del contratto, e che non poteva ovviarsi all'esigenza sopravvenuta con una scelta diversa da quella adottata, esigendosi che il datore procedesse a spostamenti di altri dipendenti, modificando la tipologia delle loro mansioni - in cui era prevista un'alternatività di addizione anche alla pompa self - con esposizione degli stessi a maggior rischio di salute e con alterazione inammissibile dell'organigramma aziendale.
11. Neanche il richiamo del ricorrente alla istituzione delle aree comprendenti attività rientranti nello stesso livello impone una diversa prospettiva di valutazione, sia perché l'argomento nuovo, sia perché ciò incide sulla parità retributiva, ma non comporta una confusione delle singole professionalità.
12. Alla stregua delle considerazioni svolte deve, pertanto, pervenirsi al rigetto del ricorso del L.F..
13. Segue la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità in base alla soccombenza nella misura indicata in dispositivo, nei confronti della sola parte costituita, non avendo le altre svolto alcuna attività difensiva.
14. Sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della s.r.l. Borghese Service, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidata in euro 200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%. Nulla per spese nei confronti delle altre parti.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art.13, comma Ibis, del citato D.P.R..
Così deciso in Roma, in data 10 gennaio 2018