Cassazione Penale, Sez. 4, 05 aprile 2018, n. 15174 - Esplosione in una società pirotecnica. Omissione di qualsiasi forma di prevenzione, formazione, informazione e controllo


 

 

"Laddove si configuri una situazione di gravissima illegalità, per la violazione di una molteplicità di disposizioni inerenti la prevenzione degli infortuni e la sicurezza dei luoghi di lavoro, non può valutarsi come eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio propria del titolare della posizione di garanzia, il comportamento del lavoratore che abbia posto in essere una condotta gravemente pericolosa, ancorché gravemente inadempiente delle più elementari norme di prudenza tipiche dell'attività svolta, perché l'inesistenza di qualsivoglia forma di tutela della sicurezza comporta l'ampliamento della stessa sfera del rischio fino a ricomprendervi gli atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del primo."


 

 

 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: NARDIN MAURA Data Udienza: 13/12/2017

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. Con sentenza del 16 novembre 2017 la Corte d'Appello di Catania, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Catania, in funzione di giudice monocratico, dichiarati estinti i reati contravvenzionali, ha riconosciuto A.S. e G.C., responsabili dei reati di cui all'art. 589, commi 1^, 2^ e 3^ e 590 commi 1^ e 3^, in quanto, nella loro rispettiva qualità di amministratore unico della Pirotecnica Etnea s.r.l. e di titolare della licenza prefettizia per la fabbricazione e vendita dei detti fuochi pirotecnici, cagionavano, a seguito della dell'esplosione occorsa il 10 gennaio 2011, la morte di M.P., G.A. e lesioni gravi a G.S., perché con colpa, consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e violazione di misure sulla sicurezza del lavoro e della disciplina di settore, consentivano o comunque non impedivano ai medesimi la lavorazione di miscele pirotecniche, in locali non idonei.
1. Il fatto può essere così brevemente riassunto: il 10 gennaio 2011, intorno alle 9.30 si verificava nella c.d. casamatta dell'azienda Pirotecnica Etnea una violenta deflagrazione, che provocava la distruzione di una delle pareti e della copertura del manufatto. Sul piazzale antistante, a circa 20 metri di distanza, veniva rinvenuto dai soccorritori il corpo senza vita di M.P., mentre all'interno del locale si trovava il cadavere carbonizzato di G.A., di anni 79. La terza vittima G.S., portato dai familiari in ospedale ancor prima dell'arrivo dei soccorsi, sopravviveva all'incidente riportando gravi lesioni. Accanto al corpo dell'G.A. veniva trovato un bidone pieno di polvere di alluminio, sostanza che interagendo con l'ossigeno produce ossido di alluminio, che a sua volta può spontaneamente dar luogo ad incendi. All'interno della casamatta veniva rinvenuto clorato di potassio e sparsa su tutto il piazzale una miscela di sostanze chimiche, c.d. polvere nera, composta da carbone, zolfo, zinco ed altre sostanze, anch'essa facilmente incendiabile a contatto con l'ossigeno. Dalla descrizione dei luoghi svolta nel corso dell'accertamento da parte della squadra dei Vigili del Fuoco (di cui alcuni componenti sono stati escussi come testi) è emerso che il locale, denominato M1, ove era avvenuta l'esplosione, così come indicato dal Progetto redatto e presentato per ottenere il certificato di prevenzione incendi e secondo quanto previsto dal Documento di valutazione dei rischi, non poteva essere adibito a deposito o manipolazione delle sostanze utilizzate per le miscele piriche, in quanto esso era, come tutti i locali denominati anch'essi con la lettera "M", attiguo alla stazione di pompaggio antincendi, e quindi in una posizione protetta rispetto ai locali ove si lavorano le materie esplodenti, denominati con la lettera "C" e collocati in luogo assai distante dai primi. Nel corso dell'accertamento è stato altresì rilevato che gli idranti, sebbene corrispondenti nella quantità alle previsioni della certificazione di prevenzione, nondimeno erano privi di numerazione ed in larga parte scaduti, difficilmente accessibili, non pressurizzati ed inutilizzabili, nonché contenuti in cassette, intorno alle quali era persino cresciuta della vegetazione, mentre dalle tubazioni afferenti alle cassette erano collegati rubinetti per l'acqua, in violazione dei divieti inerenti l'efficienza dell'impianto antincendio, potendo una simile pratica comprometterne il funzionamento. Dai rilievi dei Carabinieri sono emerse diverse violazioni di norme in materia di sicurezza e salute dei lavoratori. In particolare, non era stato designato dal datore di lavoro il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in violazione dell'art. 17 lett. b) D.lgs. 81/2008; non era stato nominato medico competente per la sorveglianza sanitaria, in violazione dell'art. 18 lett. a) d.lgs cit.; non erano stati forniti ai lavoratori dispositivi di protezione individuali (scarpe antinfortunistiche, elmetti), né gli idonei indumenti protettivi specifici, mancava il registro delle attrezzature da lavoro ai sensi dell'art. 71 comma 4A d.lgs. cit.; non era stato individuata dal documento di valutazione dei rischi una previsione specifica in relazione al tipo di lavorazione; non era stata effettuata valutazione dei rischi collegati allo stress da lavoro, anche in relazione alla diversa nazionalità dei lavoratori (M.P., vittima dell'esplosione di nazionalità rumena); non erano state predisposte nel locale ove era avvenuta la deflagrazione né la griglia metallica, da porsi all'ingresso, avente la funzione di messa a terra, in modo da scaricare al passaggio le eventuali cariche elettrostatiche che si accumulano nel corpo umano, né la c.d. "gabbia di Faraday", che consente la messa a terra delle scariche elettriche atmosferiche, in violazione dell'art. 47 comma 2^ D.LGS. 81/2008; mancava il registro con le indicazioni dei presidi antincendio; non risultava svolta la necessaria attività di informazione dei lavoratori sui rischi dell'attività lavorativa, né quella di formazione specifica dei medesimi prevista dagli artt. 36 e 37 del d.lgs.. Inoltre, dall'accertamento è risultato che vi era un certo quantitativo di fuochi di artificio che non era stato preso in carico dall'azienda, custodito, peraltro, in depositi generici e non negli specifici depositi per materiali pirotecnici finiti. Infine, i due lavoratori deceduti, risultavano "in nero".
2. La sentenza di primo grado, dato preliminarmente atto delle violazioni contestate, ha ricostruito la vicenda, sulla base anche delle prove raccolte affermando che l'esplosione si verificò nel locale "M1", che ad esplodere fu la miscela posta sul tavolo da lavoro in cemento armato, situato sul lato sinistro, che all'interno della casamatta si trovavano M.P. vicino al tavolo da lavoro su cui era stesa la miscela ed G.A. accanto ad un ripiano al centro del locale, entrambi intenti al confezionamento dei fuochi pirotecnici, a mezzo del riempimento degli involucri utilizzati per il loro contenimento. In ordine alla causa scatenante, la motivazione del provvedimento dà atto dell'impossibilità di individuare l'origine della deflagrazione, stante la distruzione dalla medesima provocata, richiamando, nondimeno, le testimonianze del luogotenente e del sostituto direttore capo dei Vigili del Fuoco, con le quali sono state prospettate una gamma di possibili ragioni dell'innesco che determinò l'accensione e quindi l'esplosione della miscela pirotecnica ed in particolare, una carica elettrostatica, dovuta all'utilizzo di oggetti di metallo (un cucchiaio ed una bilancia furono trovati in loco), il sopraggiungere di una telefonata al cellulare, munito di batteria, l'improprio abbigliamento dei lavoratori, stante la produzione di cariche naturali nel corpo umano, l'assenza della griglia metallica all'ingresso, od anche l'accensione di una sigaretta o lo strofinamento della polvere o l'urto sul ripiano intrisodi miscela pirica di un tubetto di carta del confezionamento. Ciononostante, il prodursi dell'evento doveva certamente ascriversi alla responsabilità degli imputati essendo tutte le possibili cause dell'esplosione indicate dai Vigili del Fuoco riferibili alle condotte colpose dei datori di lavoro consistite nelle mancanze contestate, non solo per la mancata adozione delle necessarie misure di cautela, legislativamente previste, ma altresì per la violazione di tutti gli obblighi informativi e formativi dei lavoratori.
3. La sentenza del Tribunale, infine, ha escluso la versione dei fatti fornita a posteriori da G.S., secondo cui la deflagrazione sarebbe scaturita dall'esplosione di un colpo di arma da fuoco di cacciatore.
4. La sentenza della Corte di Appello di Catania - premesso che le modalità di accadimento del fatto non risultavano contestate, così come non risultavano messe in discussione le numerosissime violazioni di legge riscontrate poste a tutela della sicurezza dei lavoratori e dei luoghi in cui l'attività veniva svolta l'attività - ha escluso che la delega, conferita in via di fatto dagli imputati a G.S., cui era stato consentito di intromettersi nell'organizzazione dell'attività assumendo una posizione apicale, pur in assenza di incarico quale responsabile della sicurezza ed in una situazione di illegalità globale, fosse idonea ad esonerare gli imputati da responsabilità.
5. Avverso la sentenza propongono ricorso gli imputati, a mezzo del loro difensore, formulando due distinti motivi.
6. Con il primo motivo si dolgono, ex art. 606, comma 1^, lett.re b) ed e) dell'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché del vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del nesso eziologico ed alla mancanza di prova sulla reale causa dell'esplosione. Osservano che con l'atto di appello era stata sottolineata l'insussistenza del nesso causale fra le omissioni contestate agli imputati e l'evento, avuto riguardo al comportamento di G.S., che con condotta del tutto anomala ed esorbitante il procedimento lavorativo aveva trasferito il materiale per il confezionamento dei fuochi di artificio, dal locale "casotto" a ciò predisposto, in altro luogo, avente la funzione di "asciugatoio naturale" e cioè di essicazione del materiale pirotecnico. Rilevano che siffatta condotta di G.S. aveva introdotto una causa autonoma capace di produrre l'evento per forza propria ed indipendente dalla serie causale posta in essere dalla condotta omissiva di cui alle violazioni contravvenzionali contestate. Deducono, infine, come la grave carenza della motivazione, sia dimostrata dall'impossibilità di individuare una specifica causa della deflagrazione, essendo stata prospettata dai testi solo una gamma di possibili cause, il che, contrariamente a quanto ritenuto, impedirebbe di addebitare ai datori di lavoro il prodursi dell'evento oltre ogni ragionevole dubbio.
7. Con il secondo motivo censurano la sentenza della Corte territoriale, ex art. 606, comma 1^, lett.re b) ed e) per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché vizio di motivazione, perché illogicamente esclude la concessione delle attenuanti generiche, omettendo la valutazione personale degli imputati, giustificando il diniego con l'assenza di comportamenti successivi al fatto, idonei a legittimare il beneficio, senza invece valutare né la precaria condizione economica degli imputati, né l'impossibilità di reinserirsi nel mondo del lavoro, né la loro esistenza irreprensibile dedita solo al lavoro ed alla famiglia. Parimenti affermano che, tenuti in considerazione i parametri di cui all'art. 133 cod. pen., la pena applicata non possa che ritenersi eccessiva non avendo gli imputati minimamente inciso nell'evento colposo.
 

 

Diritto

 

1. I ricorsi debbono essere rigettati
2. La doglianza di cui al primo motivo riguarda due diversi profili. L'uno inerisce la valutazione del comportamento tenuto da G.S. (la cui testimonianza è prodotta in stralcio con il ricorso in decisione) quale causa interruttiva del nesso causale fra le condotte addebitate agli imputati -relative all'omessa designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione rischi, alla mancata predisposizione della relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, all'omessa indicazione delle misure di protezione e prevenzione attuale e dei dispositivi di protezioni individuali, ivi compresi i rischi provenienti da atmosfere esplosive; all'omessa adeguata informazione dei lavoratori sui rischi specifici e i pericoli delle relative procedure; all'omessa adeguata formazione dei dipendenti sui rischi per la sicurezza e la salute connessi con l'attività, all'omessa designazione dei lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione- e l'evento. L'altro, ritenuto il mancato raggiungimento della prova sulla causa scatenante l'esplosione, riguarda la mancata applicazione del canone dell'attribuzione della responsabilità penale solo quando ciò possa affermarsi "oltre ogni ragionevole dubbio".
3. Con riferimento al primo va immediatamente osservato che esso riprende, in sostanza, la medesima censura oggetto dell'atto di appello ed evita di confrontarsi in modo specifico con il compendio motivazionale ed argomentativo della sentenza di secondo grado, rispetto alla quale si limita ad escludere la non contestazione delle modalità di accadimento dell'incidente, affermata in sentenza. La critica si concentra sul travisamento del contenuto deposizione del teste A.S.- da cui si evincerebbe che questi effettivamente trasferì di sua volontà il materiale dal capanno dedicato alla lavorazione dei fuochi all'essicatoio naturale- e pretende che il compimento di quest'atto, posto in essere in modo del tutto autonomo, costituisca causa esclusiva dell'evento, interrompendo il nesso eziologico con le condotte omissive degli imputati.
4. La lettura della sentenza, nondimeno, dimostra che la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito (evidentemente mal intesa dal ricorrente) coincide proprio con quella risultante dalla deposizione, cosicché resta escluso che la versione pretesa dall'impugnante sia difforme da quella ritenuta in sentenza, per travisamento della prova.
5. Ciò posto va osservato che quel che si chiede, in realtà, è un nuovo vaglio della condotta di G.S..
6. La Corte territoriale, ribadita la sussistenza di numerosissime violazioni della disciplina sulla sicurezza dei lavoratori e dei luoghi di lavoro, ha fondato il suo ragionamento, da un lato, sull'assoluta inidoneità della delega di fatto a G.S. delle responsabilità proprie dell'amministratore unico della Pirotecnica Etnea s.r.l. (A.S. ) e del titolare della licenza prefettizia per la fabbricazione e vendita dei detti fuochi pirotecnici (G.C.) a trasferire su di lui la posizione di garanzia legalmente assunta con le rispettive cariche, senza che, fra l'altro, egli fosse in possesso dei requisiti e delle competenze di legge per ricoprire un simile ruolo apicale. Dall'altro, sulla prevedibilità del comportamento trasgressivo di un soggetto, cui siano delegate in bianco tutte le prerogative e le conseguenti responsabilità proprie dei soggetti che rivestono posizioni di garanzia, in assenza di qualsiasi formazione ed informazione sulle cautele da adottare, sulla disciplina di settore da applicare al fine di evitare anche i rischi specifici ed in assenza di ogni controllo sul suo operato.
7. Rispetto a questa definizione della responsabilità che muove proprio dalla congerie di violazioni, sulla cui sussistenza l'impugnazione neppure discute, per esaminare la correttezza giuridica e logicità della motivazione occorre partire alcuni principi enunciati in tema di colpa nella materia degli infortuni sul lavoro ed in particolare in relazione alla possibilità di delega degli obblighi di cautela. Il primo cui occorre avere riguardo è quello secondo cui "Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'Infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi. (Sez. 4, n. 39765 del 19/05/2015 - dep. 01/10/2015, Vallani, Rv. 26517801). Va altresì tenuto in considerazione che "In materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti ad altri soggetti a condizione che il relativo atto di delega, ex art. 16 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa." (Sez. 4, n. 4350 del 16/12/2015 - dep. 02/02/2016, Raccuglia, Rv. 26594701). E che "In tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, l'adempimento degli obblighi di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori." (Sez. 4, n. 22147 del 11/02/2016 - dep. 26/05/2016, Morini, Rv. 26686001). Ed inoltre che "Il datore di lavoro, essendo tenuto a rendere edotto i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e a fornir loro adeguata formazione in relazione alle mansioni cui sono assegnati, risponde degli infortuni occorsi in caso di violazione di tale obbligo. (Sez. 4, n. 11112 del 29/11/2011 - dep. 21/03/2012, P.C. in proc. Bortoli, Rv. 25272901)
8. Il quadro è assolutamente lineare: l'onere di formare, informare e controllare inerente gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, costituisce il contenuto della posizione di garanzia che l'ordinamento gli assegna a tutela della salute dei lavoratori e dei luoghi di lavoro e può essere oggetto solo ed esclusivamente di delega specifica, redatta per iscritto, ex art. 16 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, riguardante un ambito ben definito, ad un soggetto dotato della necessaria professionalità ed esperienza e dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa e non può riguardare l'intera gestione aziendale. Non è dunque possibile investire alcuno con "delega di fatto" della veste di responsabile della sicurezza trasferendogli tutti gli obblighi propri di colui che riveste la posizione di garanzia, né limitarsi a rimettere al suo estemporaneo apprezzamento del rischio l'adozione di cautele espressamente previste e rimaste inadempiute.
9. Nel caso di specie è stato ritenuto dai giudici di merito l'omissione di qualsiasi forma di prevenzione, formazione, informazione e controllo (si ricorda che sulla sussistenza delle violazioni i ricorrenti non hanno contestato alcunché neppure con l'atto d'appello, prima del maturare della prescrizione dei reati), così come, ancor prima, l'omessa designazione del responsabile del servizio di prevenzione dei rischi, l'omessa fornitura dei dispositivi di protezione individuale, la compilazione di un documento di valutazione dei rischi, in assenza della relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute e senza indicazione delle misure adottate contro i rischi da uso di sostanze chimiche, da agenti fisici e provenienti da Atmosfere esplosive, l'omessa adozione di misure idonee ad evitare incendi, l'omessa designazione dei lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi ed evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di grave pericolo.
10. Ora, laddove si configuri una situazione di gravissima illegalità, per la violazione di una molteplicità di disposizioni inerenti la prevenzione degli infortuni e la sicurezza dei luoghi di lavoro, non può valutarsi come eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio propria del titolare della posizione di garanzia, il comportamento del lavoratore che abbia posto in essere una condotta gravemente pericolosa, ancorché gravemente inadempiente delle più elementari norme di prudenza tipiche dell'attività svolta, perché l'inesistenza di qualsivoglia forma di tutela della sicurezza comporta l'ampliamento della stessa sfera del rischio fino a ricomprendervi gli atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del primo.
D'altro canto, l'accento posto dai ricorrenti sull'abnormità del comportamento del lavoratore G.S. che dispose il trasferimento del materiale dal capanno dedicato alla lavorazione all'essicatoio naturale, non considera che il comportamento del dipendente per definirsi abnorme deve essere eccentrico ed esorbitante dalla sfera di rischio del titolare della posizione di garanzia, inadempiente agli obblighi, per potersi ritenere esclusivo del nesso causale fra la sua condotta e l'evento.(cfr. Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 27/03/2017, Gerosa e altri, Rv. 26960301; Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep.18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261106).
Il lavoratore, invece, si limitò semplicemente a disapplicare le più elementari norma di sicurezza, come ben rileva la sentenza impugnata, sicché il suo comportamento non può certamente ritenersi eccentrico rispetto alla sfera di rischio del datore di lavoro, ponendosi al contrario, proprio all'interno di quello specifico ambito. 
Né può ritenersi che la mancanza dell'individuazione dell'esatta causa scatenante l'evento possa essere costituire un impedimento all'accertamento, oltre ogni ragionevole dubbio, della responsabilità degli imputati e ciò perché l'elemento di certezza è individuato nel trasferimento del materiale esplodente in un ambiente nel quale il prodursi della deflagrazione era altissimamente probabile, pressoché certa, essendo sufficiente, come bene emerge dalla ricostruzione del primo giudice, un minimo sfregamento per scatenare l'esplosione.
11. Il motivo deve, pertanto, essere respinto.
12. Parimenti va rigettato il secondo motivo, inerente il vizio di motivazione in ordine, da un lato, alla mancata concessione delle circostanze attenuanti con il quale si lamenta che il non abbia tenuto in considerazione la precaria condizione economica degli imputati, né l'impossibilità di reinserirsi nel mondo del lavoro, nonché la loro irreprensibile condotta. Dall'altro all'eccessività della pena, avuto riguardo ai parametri di cui all'art. 133 cod. proc. pen., stante la minima incidenza della condotta degli imputati nella produzione dell'evento.
13. Ora, può semplicemente ricordarsi il principio generale secondo il quale: "In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (da ultimo: Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017 - dep. 22/09/2017, Pettinelli, Rv. 27126901; Sez. 2, Sentenza n. 3896 del 20/01/2016 Ud. (dep. 29/01/2016 ) Rv. 265826 Sez. 3, Sentenza n. 28535 del 19/03/2014 Ud. (dep. 03/07/2014 ) Rv. 259899).
14. Nello stesso modo si atteggia il sindacato del giudice di legittimità nei confronti del quale deve ritenersi adempiuto l'obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell'ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p. Sez. 1, Sentenza n. 3155 del 25/09/2013 Ud. (dep. 23/01/2014 ) Rv. 258410).
15. La sentenza di secondo grado, che richiama confermandola quella di prima cura, adempie all'obbligo motivazionale, chiarendo esaustivamente le ragioni della pena in concreto irrogata, con riferimento esplicito ai parametri normativi previsti, sicché essa è del tutto incensurabile sotto il profilo motivazionale.
16. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che liquida in €. 4.500,00 in favore di Omissis oltre ad accessori come per legge; €. 3.000,00 in favore di Omissis, oltre ad accessori come per legge e d €. 2.500,00 in favore di Omissis oltre ad accessori come per legge.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che liquida in €. 4.500,00 in favore di Omissis oltre ad accessori come per legge; €. 3.000,00 in favore di Omissis, oltre ad accessori come per legge e d €. 2.500,00 in favore di Omissis oltre ad accessori come per legge. Così deciso il /13/12/2017