Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 aprile 2018, n. 9240 - Infortunio mortale a seguito di caduta dal tetto. Specifico incarico affidato dal datore di lavoro


Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: BOGHETICH ELENA Data pubblicazione: 13/04/2018

 

 

 

Rilevato

 


che con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Venezia, con sentenza depositata il 4.6.2012, ha confermato la statuizione di primo grado la quale aveva accolto l'azione di regresso proposta dall'Inail, ex artt. 10 e 11 del T.U. n. 1124 del 1965, nei confronti di G.S. con riguardo all'infortunio mortale occorso al dipendente R.G., rinvenendo un pari concorso di responsabilità tra datore di lavoro e lavoratore;
che avverso detta sentenza il G.S. propone ricorso affidato a due motivi, illustrati da memoria (nonché procura a nuovo difensore, a seguito di decesso del legale originariamente delegato), e l'Inail oppone difese depositando controricorso;
 

 

 

 

Considerato

 


che con entrambi i motivi il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965, dell'art. 2697 cod.civ., degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. nonché vizio di motivazione (in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto "generiche e contrastanti" le risultanze probatorie testimoniali raccolte (nonostante la loro conferma anche in sede penale, con assoluzione dal reato di cui all'art. 589 cod.pen.), avendo sminuito la deposizione resa dal teste M.R. e, in genere, le dichiarazioni rese dai testimoni citati dal G.S. stesso, e cadendo nella contraddizione di riconoscere, da una parte, estranea all'obbligazione lavorativa la condotta che aveva determinato l'infortunio e irrazionale il comportamento tenuto dal lavoratore ma, dall'altra, riconoscendo, a carico del datore di lavoro, una percentuale di responsabilità nella causazione dell'evento pari al 50%;
che i motivi di ricorso concernenti il vizio di violazione o falsa applicazione appaiono inammissibilmente formulati, per avere ricondotto sotto l'archetipo della violazione di legge censure che, invece, attengono alla tipologia del difetto di motivazione ovvero al gravame contro la decisione di merito mediante una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale; né può rinvenirsi un vizio di falsa applicazione di legge, non lamentando, il ricorrente, un errore di sussunzione del singolo caso in una norma che non gli si addice.
che in ordine alla lamentata incongruità della motivazione della sentenza impugnata, è stato più volte ribadito che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (cfr. Cass. SS.UU. n. 24148/2013, Cass. n. 8008/2014);
che la sentenza si presenta comunque immune da vizi logico-formali, essendosi dato ampiamente ed esaustivamente conto sia della minor attendibilità delle deposizioni rese dai testimoni legati da vincoli familiari sia della deposizione de relato resa dal teste M.R. (sulla irrilevanza delle deposizioni "de relato actoris" e, in genere, sull'attenuata rilevanza di quelle "de relato" in genere, cfr. da ultimo Cass. n. 569 del 2015) sia, infine, della correttezza della ricostruzione (effettuata in primo grado e confermata dalla Corte distrettuale) dell'Infortunio quale esecuzione di un incarico affidato dal datore di lavoro (piuttosto che effettuata per motivi personali dell'infortunato) in considerazione dell'improbabile interesse personale del dipendente infortunato al materiale (di amianto) da rimuovere sul tetto del capannone dal quale è precipitato, dei frequenti rapporti di lavoro che intercorrevano tra il datore di lavoro e la ditta proprietaria del capannone, della circostanza che entrambi (datore di lavoro e dipendente) erano sul tetto del capannone, dell'interessamento al materiale di amianto dichiarato dal datore di lavoro in sede di indagini ispettive (ultime due pagine della sentenza impugnata);
che in conclusione i motivi di ricorso vanno respinti e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall'art. 91 cod.proc.civ.;
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Così deciso nell'Adunanza camerale del 30 gennaio 2018.