Cassazione Civile, Sez. 6, 07 giugno 2018, n. 14757 - Inabilità temporanea assoluta e postumi


 

 

 

Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: CAVALLARO LUIGI Data pubblicazione: 07/06/2018

 

 

 

Fatto

 


che, con sentenza depositata il 22.10.2015, la Corte d'appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di M.G. volta al riconoscimento dell'indennizzo asseritamente spettantegli per inabilità temporanea assoluta e per i postumi di natura permanente residuati a suo carico dall'infortunio occorsogli il 7.6.2009;
che avverso tale pronuncia M.G. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura; che l'INAIL ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che parte ricorrente ha depositato memoria, deducendo che, nelle more, il Tribunale di Treviso avrebbe irrevocabilmente accertato la dipendenza da infortunio della patologia dedotta nel presente giudizio;
 

 

Diritto

 


che la sentenza del Tribunale di Treviso invocata nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c. non è idonea, indipendentemente dal suo contenuto, a far stato tra le parti del presente giudizio, essendo stata resa tra l'odierno ricorrente e un altro soggetto (ossia l'Azienda USL n. 9 di Treviso) in una controversia volta ad accertare la dipendenza da causa di servizio della patologia di cui l'odierno ricorrente intende qui accertare la dipendenza da infortunio sul lavoro, e non consentendo l'art. 2909 c.c. l'estensione soggettiva del giudicato a terzi che non abbiano preso parte al giudizio se non in materia di status;
che, con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per avere la Corte di merito ritenuto, d'accordo con il CTU di seconde cure, che la frattura del menisco occorsagli avesse natura degenerativa e non traumatica senza considerare che egli, in occasione dei controlli medici periodici disposti dal datore di lavoro, era stato riconosciuto esente da infermità e idoneo a svolgere le mansioni di infermiere professionale;
che, con il secondo motivo, parte ricorrente lamenta violazione dell'art. 132 n. 4 c.p.c. per avere la Corte territoriale avvalorato una dinamica dell'infortunio narrata dal CTU in maniera contraddittoria;
che, con il terzo motivo, parte ricorrente si duole di violazione degli artt. 2, T.U. n. 1124/1965, e 41 c.p., per avere la Corte di merito ritenuto che l'evento traumatico non avesse avuto quanto meno efficacia concausale nella determinazione del danno occorsogli; che, con il quarto motivo, parte ricorrente deduce violazione del T.U. n. 1124/1965 per non avere la Corte territoriale motivato adeguatamente la preferenza accordata alle risultanze della CTU di seconde cure;
che i motivi possono essere trattati congiuntamente, involgendo tutti - ed indipendentemente dal loro riferimento a violazioni e/o false applicazioni di legge processuale e sostanziale - il giudizio (di fatto) compiuto dalla Corte di merito in ordine alla insussistenza di alcuna efficienza causale o concausale dell'infortunio occorso al ricorrente nella determinazione del danno riportato dal suo ginocchio destro;
che, invero, è ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità il principio secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non nei ristretti limiti dell'art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. da ult. Cass. n. 24155 del 2017);
che parimenti consolidato nella giurisprudenza di questa Corte è il principio secondo cui, specie a seguito della riformulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. da parte dell'art. 54, d.l. n. 83/2012 (conv. con 1. n. 134/2012), può essere dedotto in sede di legittimità soltanto l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, restando viceversa esclusa la possibilità di dolersi dell'omesso esame di elementi istruttori, qualora il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. n. 8053 del 2014); 
che, sempre con riguardo al vizio in esame, è stato precisato che l'unica anomalia motivazionale ormai rilevante è quella attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, restando esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. S.U. n. 8053 del 2014, cit.);
che nella specie la Corte di merito ha accertato che le patologie lamentate dal ricorrente hanno natura cronica, invece che traumatica, per modo che è evidente che le doglianze di cui al ricorso, lungi dal denunciare l'omesso esame di fatti principali o secondari decisivi, si appuntano piuttosto sull'esito dell'esame che di essi ha compiuto la Corte territoriale, invocandone una rivisitazione non possibile in sede di legittimità; che del pari inammissibili appaiono le residue doglianze concernenti il contenuto della CTU di secondo grado, non essendo stato riportato (se non per un breve estratto) il contenuto di quest'ultima e non specificandosi in ricorso in quale luogo del fascicolo processuale e/o di parte essa sarebbe attualmente reperibile, in violazione del principio di specificità di cui all'art. 366 nn. 4 e 6 c.p.c.;
che il ricorso, pertanto, va conclusivamente dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza; che, in considerazione della declaratoria d'inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.200,00, di cui € 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 22.2.2018.