Cassazione Penale, Sez. 4, 23 luglio 2018, n. 34839 - Infortunio mortale dell'addetto all'autopompa per calcestruzzi. Nessun profilo di colpa del DL che si affida al lavoro di manutenzione di una ditta che sembra avere tutte le competenze necessarie


Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: MENICHETTI CARLA Data Udienza: 17/07/2018

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. Il Tribunale di Lecce, Sezione distaccata di Maglie, affermava la penale responsabilità di C.M. e di DB.G. in relazione ai reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme in materia di infortuni sul lavoro ai danni di S.A., condannandoli alla pena di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile P.A..
2. Secondo la ricostruzione del fatto, accertata in sede di merito, il S.A., operaio alle dipendenze della ditta edile "Nuova Otranto s.r.l." addetto a lavorare con l'autopompa per calcestruzzi di proprietà della "Fratelli C.M. s.r.l.", era intento ad utilizzare il tubo flessibile connesso alle tubazioni di distribuzione in acciaio dell'autopompa, dirigendone il getto di calcestruzzo; durante tale operazione, il secondo tronco del braccio articolato si dissaldava a causa dell'elevatissimo grado di ossidazione delle lamiere e del degrado delle saldature, così che il terzo ed il quarto tronco ad esso connessi precipitavano al suolo, colpendo il S.A., che rimaneva schiacciato dalla parte terminale del braccio, riportando mortali lesioni.
Di tale evento erano stati chiamati a rispondere, e condannati in primo grado, il C.M., legale rappresentante della "Fratelli C.M. s.r.l.", per avere negligentemente scelto per la manutenzione dell'autopompa la ditta MBS Meridional Betan Service, priva dell'abilitazione alla revisione da parte della casa costruttrice CIFA, e ciò in violazione dell'art.35, comma 4, D.Lgs.n.626/94, ed il DB.G., quale titolare della ditta MBS, che aveva eseguito l'ultimo controllo strutturale sul mezzo in data 21 maggio 2007, circa due mesi prima dell'Infortunio.
3. La Corte d'Appello di Lecce, con sentenza in data 23 novembre 2016, assolveva il C.M. per non aver commesso il fatto. Osservava che la consulenza eseguita dall'Ing. V., nominato dal P.M., aveva escluso ogni forma di responsabilità da parte del C.M. riguardo allo stato si ossidazione del macchinario, che si era reso visibile solo dopo il cedimento delle parti che avevano provocato la morte dell'operaio, sicché non era esigibile che l'imputato se ne avvedesse, nè poteva essergli contestato l'uso di una macchina obsoleta, poiché quel macchinario, acquistato 17 anni prima, aveva una durata di 20, 25, 30 anni ed era sottoposto a controlli periodici. Riteneva ancora la Corte che nessun profilo di disattenzione potesse essere ascritto al C.M. per essersi rivolto ad una ditta, quale la MBS, che non aveva le qualifiche specialistiche per effettuare quel tipo di manutenzione: il manuale di manutenzione dell'autopompa prescriveva l'ordinaria e regolare manutenzione, ma non imponeva che essa avvenisse per forza presso la casa costruttrice, né indicava che competenze dovesse avere la ditta scelta in alternativa. Nel caso di specie la MBS era una ditta che operava su tutto il territorio nazionale e sembrava avere tutte le competenze necessarie per lo svolgimento di quel lavoro di manutenzione, che si protraeva da tempo, senza alcuna segnalazione da parte della medesima manutentrice della necessità di controlli più approfonditi sull'autopompa o la necessità di incaricare altra ditta della revisione.
4. Avverso la pronuncia assolutoria hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Lecce e la parte civile, a mezzo del difensore e procuratore speciale.
Lamentano i ricorrenti che la valutazione di assenza di colpa del C.M. non teneva conto della delicatezza delle operazioni di revisione, stante la vetustà del mezzo e la mancata conformità alle direttive comunitarie di sicurezza, e della evidente inadeguatezza delle modeste attrezzature contenute nel furgoncino con cui la MBS si recava in loco, idonee a meri interventi di manutenzione ordinaria. Aggiunge la parte civile che la sorveglianza dell'imputato sui propri macchinari sarebbe dovuta essere molto attenta e frequente, anche sulla base della norma di comune esperienza, per chi lavora nel settore, che vede le autopompe per il getto del calcestruzzo macchine facilmente soggette all'aggressione dell'ossidazione, essendo spesso sottoposte ad agenti atmosferici, come tutte le macchine operatrici di cantiere e soggette a continue sollecitazioni di carico e scarico, dovute all'azione delle pompe che spingono il calcestruzzo nella tubazione. Il C.M. non aveva eseguito i controlli annuali indicati nel manuale d'uso e manutenzione della macchina e non si era rivolto ad un tecnico specializzato, preferibilmente della casa costruttrice, come indicato nel manuale medesimo.
Di qui la richiesta di annullamento della sentenza nei confronti del detto imputato.
5. L'imputato ha depositato memoria nella quale chiede il rigetto dei ricorsi.
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi non sono fondati.
2. Il Tribunale di Lecce basava la pronuncia di condanna del C.M. rilevando che il libretto manutentivo dell'autopompa conteneva l'indicazione del costruttore sulla necessità di affidare il controllo e la verifica di funzionalità del mezzo a tecnici specialistici, preferibilmente della casa costruttrice, con periodicità almeno annuale. Considerava poi nello specifico che le indicazioni del produttore della macchina dovevano essere lette alla luce dello stato di fatto e delle oggettive condizioni della mezzo, riscontrate in sede di sopralluogo e verificabili dalle fotografie allegate sia all'informativa redatta dagli ispettori dello Spesai sia alle relazioni dei consulenti tecnici, dalle quali emergeva lo stato di avanzamento del processo di ossidazione, che doveva imporre un maggior rigore nelle operazioni manutentive. Ravvisava quindi un primo profilo di colpa nel mancato adempimento delle prescrizioni generiche, previste dal legislatore per le attrezzature di rilievo in dotazione dell'azienda, che specifiche, quelle cioè indicate dal costruttore della macchina, cosicché appariva - a suo giudizio - assolutamente carente la valutazione delle condizioni oggettive dell'autopompa per la complessità del mezzo, la sua vetustà e per le stesse condizioni di deterioramento riconducibili all'avanzato stato di ossidazione di alcune parti strutturali. Come secondo livello di colpa rimarcava quello della scelta del personale tecnico, evidentemente, non specializzato, punto su cui convergevano l'assenza di documentazione attestante la professionalità specifica della MBS del DB., e la verificata struttura non particolarmente articolata dell'azienda, dimostrata dal fatto che gli interventi venivano svolti "a domicilio" mediante un furgoncino attrezzato ed inoltre, nel corso del sopralluogo effettuato presso la sede sociale, non erano stati rinvenuti strumenti e macchinari ulteriori rispetto a quelli impiegati e custoditi nell'officina mobile.
Il Tribunale riteneva sussistente anche per il titolare della MBS la condotta imperita e negligente contestata dal P.M. Egli aveva infatti operato sulla macchina per almeno due volte e, specificamente nell'ultimo intervento, quello in data maggio 2007, soltanto due mesi prima dell'infortunio, attestando di aver effettuato lavori consistenti anche in "sostituzione piastra e anello usura, controllo e verifica dei bracci con rinforzi I tronco e III tronco, controllo generale e prova”. Osservava che dalla descrizione delle operazioni compiute si deduceva agevolmente che il DB.G. non solo aveva effettuato la manutenzione sulla parte della macchina interessata poi dalla rottura, aveva controllato e verificato i bracci, rinforzandoli, ed aveva proceduto al controllo ed alla prova generale: una serie di attività che avrebbero dovuto consentire all'operatore di verificare le anomalie strutturali, che avevano poi provocato l'infortunio mortale, ovvero segnalare la non esaustività del controllo effettuato, qualora non fosse stato in grado di verificare la regolare funzionalità del mezzo.
Infine, sotto il profilo dell'apporto causale, il primo giudice riteneva entrambe le condotte eziologicamente funzionali alla produzione dell'evento.
3. La Corte di Lecce ha assolto il C.M. per non aver commesso il fatto.
Il percorso argomentativo dei giudici di appello è approfondito e corretto e resta dunque immune dalle censure sollevate dai ricorrenti.
Questa Corte si è già pronunciata nel senso che il giudice di appello, in caso di riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del compendio probatorio, non è obbligato alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, ma è tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte (Sez.3, n.29253 del 5/5/2017, Rv.270149; nello stesso senso, in tema di non necessità della rinnovazione della prova dichiarativa, ma dell'obbligo di una motivazione rafforzata, S.U., n.14800 del 3/4/2018, Rv.272430).
4. La Corte territoriale ha fatto buon governo di tale principio, laddove, a fondamento del giudizio assolutorio, ha richiamato in primo luogo le dichiarazioni rese in udienza dall'Ing. V., consulente del P.M., il quale aveva escluso ogni comportamento negligente da parte della ditta proprietaria della macchina, che aveva sottoposto l'autopompa a controlli strutturali periodici da parte di personale specializzato, di fiducia della ditta costruttrice (in tal senso la relazione a pag.37-38, richiamata in sentenza ed allegata anche dal C.M. nella memoria ex art.611 c.p.p. depositata il 30 giugno 2018).
Ha rimarcato che nella relazione del consulente era stato evidenziato che lo stato di ossidazione della macchina si era palesato solo dopo il cedimento delle parti che avevano provocato la morte del S.A., come comprovato dal fascicolo fotografico in atti, e perciò non era esigibile che il C.M. se ne avvedesse; che si trattava di una macchina che, pur se acquistata diciassette anni prima, aveva una prognosi di durata fino a trent'anni, e dunque non poteva essere ascritto all'imprenditore, come profilo di colpa, l'aver consentito l'utilizzo di una macchina obsoleta; che l'imputato aveva sottoposto l'autopompa a controlli periodici, come comprovato dalle fatture rilasciate dalla ditta di manutenzione, che indicava i pezzi sostituiti di volta in volta e concludeva attestando l'esito positivo del controllo generale in merito al funzionamento della macchina stessa, cosa che, come rilevato anche dal Tribunale, era avvenuto anche nell'ultimo controllo del maggio 2007, tanto che era stato ravvisato un profilo di colpa del DB.G., nel non aver segnalato la situazione critica dei bracci ossidati e provveduto ad un intervento specifico, idoneo ad impedirne l'improvviso cedimento.
Posto allora che i controlli erano avvenuti con regolarità e che all'esito di ogni verifica la MBS aveva attestato il buon funzionamento della macchina, la Corte territoriale si è soffermata sulla sussistenza di un eventuale profilo di colpa dell'imputato per essersi rivolto ad una ditta che non offriva le qualifiche specialistiche per effettuare quel tipo di manutenzione.
Tale profilo di colpa non è stato ravvisato, sia per la non obbligatorietà del controllo da parte della stessa ditta costruttrice, sia perché la MBS era un'officina meccanica che operava su tutto il territorio nazionale, si spostava anche fuori regione utilizzando un furgone per eseguire le manutenzioni - circostanza questa necessitata dagli spostamenti sul territorio e non certo indicativa di scarsa professionalità - e dunque il C.M. aveva riposto affidamento in una ditta che sembrava dotata di tutte le competenze per svolgere quel lavoro di verifica e manutenzione periodica, che peraltro si protraeva da anni senza che fosse mai stata segnalata la necessità di controlli più approfonditi sull'autopompa in questione o la necessità di far intervenire altra ditta per procedere alla revisione.
Di qui la logica conclusione che non fosse stata raggiunta la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, della condotta colposa contestata al C.M..
5. A fronte di tali argomentazioni i ricorsi del Procuratore Generale e della parte civile svolgono censure in fatto, essendo tesi a porre in discussione elementi già valutati dalla Corte di merito, con motivazione approfondita ed adeguata sia in ordine alle garanzie di professionalità offerte dalla ditta MBS, sia in ordine all'affidamento che il proprietario del mezzo aveva riposto sulla competenza della medesima.
I ricorrenti insistono nel pretendere un controllo di merito - laddove fanno richiamo alle fotografie del furgone utilizzato dai tecnici della MBS dalle quali si dovrebbe dedurre la inidoneità palese allo svolgimento dell'incarico manutentivo - sollecitando una rivisitazione del fatto che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità.
6. I ricorsi vanno per tali considerazioni rigettati e la parte civile condannata al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna la parte civile P.A. al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 17 luglio 2018