Cassazione Penale, Sez. 4, 31 luglio 2018, n. 36726 - Operaio precipita dalla piattaforma di trasporto delle persone. Ruolo del committente, del capo cantiere e del datore di lavoro della vittima


 

 

 

 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: DI SALVO EMANUELE Data Udienza: 20/04/2018

 

 

 

Fatto

 


1.I ricorrenti impugnano la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all'art. 589 cod. pen., contestato a C.A. in qualità di legale rappresentante della spa I.C.A.L., società committente dei lavori di ristrutturazione di un immobile sito in Roma; a S.R. in qualità di capo cantiere per conto della srl "Sigma Costruzioni", società appaltatrice dei lavori; a M.S., in qualità di amministratore di fatto della srl " Marmo e Graniti", incaricata dalla spa ICAL della fornitura, trasporto e montaggio di manufatti di marmo per il bagno dell'immobile, nonché di datore di lavoro di fatto della vittima B.F.. Alla C.A. è stato contestato di aver omesso di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa "Marmo e Graniti" nonché di informare dell'incarico conferito a quest'ultima ditta il coordinatore in fase di esecuzione, ai fini di un coordinamento delle operazioni. A S.R. è stato contestato di aver consentito che la piattaforma di trasporto di persone e cose venisse utilizzata da persone non autorizzate e di aver omesso di custodirla onde evitarne l'utilizzo da parte di terzi non autorizzati. A M.S. è stato contestato di aver ordinato a B.A. di utilizzare, per il trasporto in quota di una lastra di marmo, la predetta piattaforma, che non era autorizzato a usare, e di aver disposto altresì che essa venisse movimentata con il portello, lato carico, aperto e che il B.A. e il B.F. operassero lo scarico dalla piattaforma della lastra con il portello, lato carico, aperto. A tutti è stato quindi imputato di avere, con tali modalità, cagionato la morte del B.F., il quale precipitava nel vuoto a causa dell'apertura del portello, lato carico, della piattaforma. In Roma il 31-1-2006.
2. C.A. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché il teste L.S., dipendente della Sigma Costruzioni, ha confermato che quest'ultima società doveva rimanere impegnata sul cantiere per un mese ancora rispetto alla data dell'incidente mortale. Quindi, per la C.A., era la Sigma Costruzioni, società del S.R., a dover curare la ristrutturazione del bagno "presidenziale" con i marmi forniti dalla " Marmo e Graniti" del M.S.. Tale asserto non è smentito dalla circostanza che la Sigma Costruzioni avesse richiesto lo smontaggio del montacarichi, perché ciò non implicava il completamento dei lavori, che ben potevano continuare attraverso l'utilizzo dei due ascensori presenti in loco. L'utilizzo dell'ascensore rappresentava la corretta procedura da seguire, nel giorno in cui si verificò l'infortunio, per il trasporto dei materiali al sesto piano, dove si trovava l'appartamento. Erroneamente infatti il teste A.R. ha fatto riferimento all'esistenza di un ascensore di piccole dimensioni e assai vetusto, perché ve ne erano ben due della portata di 480 kg ciascuno e della capienza di sei persone, pienamente idonei al trasporto del materiale, come riferito dal consulente di parte, prof. Z.. L'impresa del. M.S. era d'altronde contrattualmente impegnata soltanto alla mera fornitura e non anche al trasporto al piano e alla posa in opera dei materiali, con il conseguente venir meno di ogni obbligo di verificare l'idoneità tecnico-professionale di quest'ultima ditta a tali lavori. Compito della "Marmo e Graniti" era dunque esclusivamente quello di scaricare il marmo a terra e non di portarlo al sesto piano e B.F. non avrebbe dovuto assolutamente utilizzare il montacarichi, come precisato da Q.F., socio della impresa alle cui dipendenze lavorava il B.F., e dall'ing. C.. Il trasporto al sesto piano toccava al personale della Sigma, come previsto dall'art. 6 del contratto stipulato fra la ICAL e la Sigma.
2.1. In relazione al secondo addebito il ricorrente osserva che la legge non prevede alcun obbligo per il committente di informare il coordinatore per l'esecuzione delle opere dell'acquisto dei materiali utili per un cantiere edile, poiché la consegna dei beni acquistati è una procedura standard, che non richiede peculiari obblighi informativi. Comunque il coordinatore in fase di esecuzione, architetto L., era stato informato della fornitura di marmo ordinata presso la "Marmo e Graniti" srl., ad opera del responsabile degli acquisti della ICAL, ing. C., su sollecitazione della C.A..
3. S.R. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché egli non ha mai consentito l'impiego della piattaforma da parte di soggetti non autorizzati e nemmeno ha omesso di custodire correttamente il mezzo, onde scongiurarne l'utilizzo. Il cantiere era infatti sorvegliato a vista dalla vigilanza e la zona in cui era posizionata la piattaforma era recintata e assicurata da un lucchetto. Ogni sera, alla chiusura del cantiere, l'elevatore veniva posto in sicurezza, mediante distacco dell'alimentazione. Vi è stata però una manomissione dei dispositivi di sicurezza della piattaforma, che consentì al B.F. di salirvi sopra: circostanza atipica ed imprevedibile, idonea ad interrompere il nesso di causalità. Tanto più che l'azione improvvida del M.S. ebbe luogo in un momento in cui il S.R. era assente dal cantiere e con modalità che sfuggirono anche agli altri operai della Sigma presenti in altre zone del cantiere. Le testimonianze di L. e soprattutto del B.A., il quale ha affermato che è stato proprio il S.R. a renderlo edotto del funzionamento della piattaforma e a consentirgliene l'utilizzo, rendendo ben quattro versioni, contrastanti tra loro, sono state smentite dalle deposizioni di OMISSIS, assolto in primo grado, da cui risulta che la piattaforma, che non era mai stata utilizzata dal personale della Sigma con le sponde aperte, era manovrata esclusivamente da S.R., il quale non ha mal spiegato . il funzionamento della piattaforma al B.A., che può solo avere osservato le manovre effettuate dal S.R. in occasione di un precedente trasporto di materiale. D'altronde la Sigma srl, impresa del S.R., non aveva nessun interesse a concedere l'utilizzo della piattaforma alla ditta "Marmo e Graniti" ed aveva anzi richiesto, in data antecedente al sinistro, alla società di noleggio del piano elevatore lo smantellamento di quest'ultimo. Il S.R. aveva ricevuto dal M.S. una richiesta di uso del macchinario, alla quale aveva manifestato il più completo disinteresse, ribadendo comunque la necessità della sua presenza sul cantiere. L'operato del M.S. fu dunque un vero e proprio blitz, effettuato all'insaputa del S.R.: quindi un fatto assolutamente abnorme ed eccezionale, idoneo a escludere qualsivoglia contributo causale del S.R., tanto più che il B.F. era un semplice autista e dunque l'attività di trasporto al piano del top esulava completamente dalle sue mansioni .
3.1. Erroneamente, comunque, non è stata ravvisata l'ipotesi di cui all'art. 114 cod. pen., avendo avuto, in ogni caso, la partecipazione del ricorrente alla commissione del reato connotati di minima importanza.
4. M.S. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto incongruamente il giudice a quo ha affermato che la ditta del ricorrente non era in possesso delle necessarie competenze tecnico-professionali, tanto che aveva subappaltato parte della commessa ad altre ditte, poiché del tutto fisiologicamente l'impresa del M.S., che vende materiali, si avvaleva di altre ditte specializzate (nel caso di specie la "Edilrestauri") per l'installazione e il montaggio del bene venduto. Né il L., gestore della "Edilrestauri", pur dichiarando, in modo inattendibile, di avere firmato il contratto, retrodatato, solo dopo l'incidente, ha negato che era la sua impresa ad essere obbligata a provvedere al montaggio e alla posa in opera del bagno "presidenziale". Era invece obbligo della Sigma, ditta responsabile del cantiere, provvedere al trasporto ai piani del materiale, con l'utilizzo del montacarichi. Nè il M.S. era pressato da una particolare fretta, essendo in ritardo di appena un giorno sui tempi di consegna contrattualmente stabiliti e non essendo nemmeno prevista una penale per il ritardo. Il ricorrente non aveva dunque alcun motivo per cercare di chiudere in fretta le operazioni, assumendo un ruolo direttivo e propulsivo. Tale ruolo è stato affermato dai testi L. e B.A., interessati ad allontanare ogni ipotesi di responsabilità, in quanto il primo voleva portare a termine sollecitamente le operazioni, essendo contrattualmente tenuto al montaggio dei materiali, e il secondo era colui che si era fatto spiegare il funzionamento del montacarichi e che l'aveva materialmente manovrato in condizioni di non sicurezza.
4.1. Non sussiste nemmeno l'aggravante di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen. in quanto la condotta del ricorrente si è collocata al di fuori del rapporto di lavoro, poiché la vittima era dipendente della ditta Ferri e, per di più, il M.S. non aveva alcun ruolo all'Interno del cantiere in cui avvenne l'incidente. La questione, benché dedotta con l'atto d'appello, non è stata affrontata dal giudice di secondo grado.
4.2. Non sussiste neanche l'aggravante di cui all'art. 61 n. 3 cod. pen., in quanto non erano in alcun modo prevedibili le conseguenze letali dell'incidente. Nemmeno tale questione è stata trattata dalla Corte territoriale, benché chiaramente evidenziata nell' atto di gravame.
4.3. Così come non è stata presa in considerazione dalla Corte d'appello La questione relativa alla concessione della provvisionale, ritenuta dalla difesa illegittima.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.
5. Con memoria del 13-4-2018, le parti civili OMISSIS, hanno chiesto declaratoria di inammissibilità o, in subordine, rigetto dei ricorsi.
 

 

Diritto

 


l. Le doglianze formulate da C.A. sono fondate. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dai giudici di merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni, a preferenza di altre (Sez. U.,13-12-1995, Clarke, Rv. 203428). Il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve pertanto essere volto a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da antinomie e da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo", indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente, nei motivi posti a sostegno del ricorso, in misura tale da risultare radicalmente inficiata sotto il profilo della razionalità (Cass., Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516).
1.1.Nel caso in disamina, l'apparato logico posto a base della sentenza di secondo grado non è esente da vizi, non evincendosi con chiarezza sulla base di quali argomentazioni i giudici di merito siano pervenuti all'asserto relativo alla sussistenza di un sostrato probatorio idoneo a valicare la soglia del ragionevole dubbio e a supportare adeguatamente la declaratoria di responsabilità, non essendo stato chiarito il ruolo esplicato dalla C.A. nel contesto della vicenda. La Corte territoriale si è infatti limitata a rilevare che la spa ICAL aveva conferito un autonomo appalto alla ditta "Marmo e Graniti" del M.S., avente ad oggetto la fornitura, il montaggio e il trasporto dei marmi, senza verificare l'idoneità tecnico- professionale della predetta impresa e senza informare di ciò il coordinatore in fase di esecuzione. Dunque, secondo il giudice a quo, il M.S. aveva assunto l'incarico della posa in opera dei marmi, del loro trasporto e del loro "tiro" al sesto piano, dove si trovava il bagno da restaurare. Ma è la stessa Corte d'appello a rimarcare che l'accordo in tal senso era stato sottoscritto con l'ing. C. e non con la C.A.. D'altronde l'affermazione della ricorrente secondo cui il coordinatore in fase di esecuzione, architetto L., era stato informato della fornitura di marmo ordinata presso la "Marmo e Graniti" srl., ad opera del responsabile degli acquisti della ICAL, ing. C., trova riscontro in quanto emerge dalla motivazione della sentenza impugnata circa i contenuti della deposizione dell' architetto L., il quale aveva riferito di essere stato a conoscenza che era stata fatta un'offerta nella quale era stato concordato il prezzo, unitamente alle modalità esecutive. Era stato posto anche un termine di ultimazione di 20 giorni ma poi non si era saputo più nulla, in quanto al preventivo non era seguita la normale stipula del contratto. Il predetto documento, firmato, il 13 gennaio 2006, dal M.S. e dal C., senza che dalla motivazione della sentenza impugnata risulti che la C.A. abbia avuto parte alcuna al riguardo, era stato acquisito agli atti, sicché la Corte d'appello avrebbe dovuto analizzare la tematica relativa alla compatibilità di tali risultanze con l'asserto secondo cui il coordinatore in fase di esecuzione dei lavori non era stato avvertito dell'Incarico conferito all'impresa del M.S.. Tanto più che la stessa Corte d'appello espressamente attribuisce al fax del 13 gennaio 2006 la rilevanza giuridica di un vero e proprio accordo vincolante tra le parti. Ed è la stessa Corte d'appello a sottolineare come il L. e il C. non siano credibili laddove hanno sostenuto che la ICAL, dopo l'accordo del 13 gennaio 2006, non avesse saputo più nulla mentre è pacifico e .ampiamente dimostrato che il M.S. già in data 25 gennaio 2006 aveva effettuato la posa in opera dei pavimenti del bagno "presidenziale". Così come il giudice a quo sottolinea l'inverosimiglianza della prospettazione secondo cui M.S., che aveva già montato i pavimenti del bagno, si era presentato il giorno dell'infortunio improvvisamente e in mancanza di un accordo, per cui la committenza non ne sapeva nulla. Viceversa il materiale venne regolarmente consegnato, a conferma del perfezionamento dell'accordo, di cui lo stesso L. si era detto a conoscenza, a prescindere dalla stipula di un formale contratto. Rispetto a tali risultanze appare contraddittoria l'affermazione della Corte d'appello secondo cui il coordinatore per la sicurezza, arch. L., non era stato informato dell'appalto d'opera conferito alla ” Marmo e Graniti". Come è noto, il vizio di contraddittorietà della motivazione può derivare sia da discrasie intrinseche al discorso giustificativo ed essere pertanto desumibile dal testo del provvedimento impugnato, costituendo uno dei profili di esplicazione del più generale vizio di illogicità ( Cass., Sez. 5, n. 5678 del 17-1-2005, Rv. 2307449); sia da un contrasto tra la motivazione e le risultanze processuali versate in atti. In questa sede, viene in rilievo il primo profilo. In quest'ottica, dunque, il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre allorché sia riscontrabile nell'apparato giustificativo di un provvedimento un argomentare fondato sulla contrapposizione di argomentazioni decisive di segno opposto (Cass., Sez. 1, n. 6821 del 31-1-2012 , Rv. 252430), sì da determinare una deviazione dal principio basilare della logica, che è appunto quello di non contraddizione, di spessore tale da inficiare l'architettura logica del discorso motivazionale (Cass., Sez. 2, n.19584 del 5-5-2006, Rv. 233774). Nel caso in esame, l'apparato argomentativo che caratterizza la motivazione della sentenza in esame è volto a dimostrare l'infondatezza della tesi relativa all'estemporaneità dell'iniziativa del M.S., il quale, in assenza di un accordo, avrebbe proceduto non solo alla consegna ma anche al trasporto in quota del materiale, e a supportare l'asserto secondo cui, viceversa, era intercorso un regolare accordo tra la ICAL e l'impresa del M.S., configurante un vero e proprio appalto d'opera. Orbene, è proprio il giudice a quo a sottolineare come l'architetto L. avesse ammesso di essere a conoscenza di tale accordo, pur proponendo la tesi relativa alla mancanza di vincolatività di quest'ultimo, in mancanza di un formale contratto. Ma se questa tesi è ritenuta inattendibile dalla Corte d'appello, non si comprende su quali basi si fondi l'asserto secondo cui l'architetto L. non era al corrente dell'Incarico conferito alla ditta del M.S.. La Corte territoriale avrebbe dunque dovuto elaborare secondo corretti canoni di razionalità il materiale probatorio disponibile e dare puntuale risposta alle argomentazioni difensive ( Sez. 6 ,n. 34042 del 11-2-2008, Napolitano), chiarendo le ragioni per le quali ha ritenuto inattendibile la prospettazione secondo la quale il coordinatore in fase di esecuzione dei lavori era stato regolarmente informato dell'operazione. Questa prospettazione, secondo quanto appena osservato, era perfettamente in linea con le risultanze acquisite ed enucleabili dalla trama motivazionale della pronuncia in disamina. Qualora dunque la prospettazione difensiva sia estrinsecamente riscontrata da alcuni dati oggettivi, il giudice deve farsi carico di confutarla specificamente, dimostrandone in modo rigoroso l'inattendibilità, attraverso un adeguato apparato argomentativo. Più in generale, occorre osservare come il giudice sia tenuto ad interrogarsi in merito alla plausibilità di spiegazioni alternative alla prospettazione accusatoria, qualora esse vengano additate dall'oggettività delle acquisizioni probatorie. La regola di giudizio compendiata nella formula dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio" impone infatti al giudicante l'adozione di un metodo dialettico di verifica dell'ipotesi accusatoria, volto a superare l'eventuale sussistenza di dubbi intrinseci a quest'ultima, derivanti, ad esempio, da autocontraddittorietà o da incapacità esplicativa, o estrinseci, in quanto connessi, come nel caso in disamina, all'esistenza di ipotesi alternative dotate di apprezzabile verosimiglianza e razionalità (Cass., Sez. 1, n.4111 del 24-10-2011, Rv. 251507). Può infatti addivenirsi a declaratoria di responsabilità, in conformità al canone dell'« oltre il ragionevole dubbio», soltanto qualora la ricostruzione fattuale a fondamento della pronuncia giudiziale espunga dallo spettro valutativo soltanto eventualità remote, astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle risultanze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e dell'ordinaria razionalità umana (Cass., Sez. 1 n. 17921 del 3-3-2010, Rv. 247449 ; Sez. 1 n. 23813 del 8-5-2009, Rv. 243801; Sez. 1, n. 31456 del 21-5-2008, Rv. 240763). La condanna al di là di ogni ragionevole dubbio implica che, laddove venga prefigurata una ipotesi alternativa, siano individuati gli elementi di conferma della prospettazione fattuale accolta, in modo che risulti l'irrazionalità del dubbio derivante dalla sussistenza dell'ipotesi alternativa stessa (Cass., Sez. 4, n.30862 del 17-6-2011, Rv. 250903 ; Sez. 4, n. 48320 del 12-11-2009, Rv. 245879 ). Dunque, sulla base dei criteri appena esposti, il giudice di merito avrebbe dovuto ricostruire, con precisione, l'accaduto, in stretta aderenza alle risultanze processuali e verificare se queste ultime, valutate non in modo parcellizzato ma in una prospettiva unitaria e globale , potessero essere ordinate in una costruzione razionale e coerente, di spessore tale da prevalere sulla versione difensiva e da approdare sul solido terreno della verità processuale (Cass,, 25-6-1996, Cotoli, Rv. 206131). Non può pertanto affermarsi che i giudici di secondo grado abbiano preso adeguatamente in esame tutte le deduzioni difensive né che siano pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico immune da vizi, sotto il profilo della razionalità e sulla base di apprezzamenti di fatto esenti da connotati di contraddittorietà o di manifesta illogicità e di un apparato logico coerente con una esauriente analisi delle risultanze agli atti ( Sez. U., 25-11-1995, Facchini, Rv. 203767), onde si impone, relativamente alla posizione della C.A., un pronunciamento rescindente .
2. Il primo motivo del ricorso di S.R. è privo di fondamento. Il giudice a quo ha infatti evidenziato che il teste L. aveva riferito che nel giorno dell'infortunio il montacarichi si presentava già predisposto all'uso e non recintato e che era stato il S.R. a spiegare, il 25 gennaio 2006, al B.A. come doveva movimentare il predetto montacarichi. Il L. aveva pure specificato che era stato il M.S. a riferirgli di aver avuto la disponibilità del macchinario dal S.R.. Ciò è stato confermato dal teste B.A., che non aveva alcun motivo di mentire sul punto, essendogli del tutto indifferente il coinvolgimento di S.R. nella vicenda, e che aveva sempre e costantemente affermato, senza tentennamenti o contraddizioni di sorta e senza mostrare alcun malanimo nei confronti di nessuno, di essere stato edotto "per la prima volta" sull'uso del montacarichi dal S.R., specificando cosa gli era stato spiegato per azionare e salire con il montacarichi. La Corte d'appello ha poi posto in rilievo come dall'istruzione dibattimentale fosse emersa la manomissione di uno dei sistemi di sicurezza della piattaforma. Tale manomissione si era rivelata funzionale al trasporto al piano del monolita marmoreo, che il M.S. doveva effettuare. Il macchinario aveva dunque lavorato con il sistema di sicurezza, che gli impediva di sollevarsi con il portellone aperto, manomesso e quindi non funzionante. Dunque, il giorno dell'infortunio la piattaforma era stata lasciata incustodita e pronta all'uso, in conseguenza dell'accordo raggiunto tra il M.S. e il S.R., proprio con riferimento all'utilizzo che quest'ultimo aveva consentito al primo, con la piena consapevolezza che l'indomani il S.R. non sarebbe stato presente sul cantiere. Del resto, l'esclusivo utilizzatore della piattaforma era stato sempre il S.R., per cui la presenza del cavo elettrico nella sponda, già al momento dell'arrivo del M.S. in cantiere, nel giorno dell'infortunio, dimostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il S.R. era perfettamente a conoscenza dell'avvenuta manomissione, poiché il cavo elettrico era agganciato al portellone ed era direttamente funzionale alla chiusura anomala di quest'ultimo. Era dunque facilmente prevedibile che qualunque lavoratore fosse intervenuto per trasportare al piano quel tipo di manufatto marmoreo, avrebbe operato in condizioni di elevata pericolosità, visto che il portellone non poteva chiudersi completamente, ed estremamente difficile sarebbe stato anche il "tiro al piano" del manufatto dalla piattaforma, senza idonei presidi di sicurezza ed adeguato personale. Il S.R. sapeva benissimo che a movimentare il macchinario sarebbe stato il B.A., in una situazione di estremo pericolo, perché il portellone non poteva chiudersi e qualsiasi operazione di "tiro al piano" senza alcun presidio di sicurezza e senza personale sufficiente e tecnicamente idoneo e informato avrebbe comportato una situazione di grave pericolo.
Trattasi di una motivazione precisa e fondata su specifiche risultanze processuali. D'altronde, il vizio di manifesta illogicità che, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., legittima il ricorso per cassazione implica che il ricorrente dimostri che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, in tesi egualmente corretti sul terreno della razionalità. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U., 27-9-1995, Mannino, Rv. 202903). La verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla completezza e correttezza della motivazione di una sentenza non può infatti essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sulla rilevanza e sull'attendibilità delle fonti di prova, giacché esso è attribuito al giudice di merito , con la conseguenza che le scelte da quest'ultimo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che, come nel caso in disamina, il processo formativo del libero convincimento del giudice non abbia subito il condizionamento derivante da una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un'imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (Sez. U., Rv. 203767 del 25-11-1995, Facchini). Dedurre infatti vizio di motivazione della sentenza significa dimostrare che essa è manifestamente carente di logica e non già opporre alla ponderata ed argomentata valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, che si assume altrettanto o ancor più ragionevole ( Sez. U., 19-6-1996, Di Francesco, Rv 205621).
2.1. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. Ai fini dell'applicazione della circostanza attenuante del contributo di minima importanza,. il giudice deve comparare i contributi dei vari concorrenti, effettuando una valutazione delle condotte di ciascuno (Cass., Sez. 4, n. 1218 del 9-10-2008, Rv. 242388). Tuttavia la predetta attenuante è configurabile quando l'apporto del concorrente non ha avuto soltanto una minore rilevanza causale rispetto alla partecipazione degli altri concorrenti ma ha assunto un'importanza obiettivamente marginale, ossia un'efficienza eziologica così lieve rispetto all'evento da risultare trascurabile nell'economia generale dell'iter criminoso (Cass., Sez. 1, n. 26031 del 13-6¬2013, Rv. 256035; Sez. 6, n. 24571 del 20-6-2012, Rv. 253091). Si è, infatti, sottolineato, in giurisprudenza, che l'attenuante non può trovare applicazione sulla base di una semplice graduazione della gravità delle condotte ma comporta un esame dell'apporto causale di queste ultime (Cass., Sez. 5, n. 40092 del 7-11-2011, Rv. 251121). Nel caso in esame, il giudice a quo ha posto in rilievo, con motivazione esente da vizi logico giuridici, l'impossibilità di attribuire alla condotta del S.R. un'efficacia marginale rispetto alla morte del B.F., poiché la predetta condotta si è posta come antecedente causale imprescindibile, in quanto l'imputato avrebbe dovuto impedire a chiunque di utilizzare quella piattaforma, specialmente a soggetti come il B.A. o il M.S., prestando idonei ed efficienti presidi di vigilanza e custodia della piattaforma, invece sostanzialmente concessa in uso, inopinatamente e pericolosamente, a persone prive di qualsiasi capacità tecnico- professionale.
3. Il primo motivo del ricorso del M.S. è infondato. Il giudice a quo ha infatti evidenziato che il teste L. aveva riferito che la mole del manufatto marmoreo da portare in quota era tale che egli si era fermamente opposto al trasporto, ritenendolo pericoloso, poiché il marmo sporgeva dall'area di base del macchinario, non consentendo la chiusura della sponda. Il M.S. però insistette, impartendo ordini sia sulle modalità operative che sui ruoli che ciascuno dei presenti doveva esplicare, ordinando a B.A. di porsi alla guida del montacarichi nonché di provare ad assicurare la sponda rimasta aperta, alzandola fin dove arrivava e legandola con un cavo elettrico, già posizionato sulla stessa, ad una parte fissa del macchinario. In considerazione dell'insistenza e della determinazione del M.S., il quale voleva approfittare del fatto che gli era stato messo a disposizione il macchinario sollevatore, il B.A. aveva azionato il montacarichi, portandolo al piano. Anche il teste B.A., la cui attendibilità è stata sottolineata dal giudice a quo, in considerazione della genuinità delle sue dichiarazioni e dell'indubitabile terzietà rispetto ai fatti e alle parti coinvolte, essendo, fra l'altro, egli non più dipendente del Lanna, ha confermato l'insistenza del M.S., deciso comunque a portare a termine il lavoro, e il suo ruolo attivo e propulsivo nell'impartire direttive precise su come tentare di manovrare in quota il montacarichi, nonostante il volume e il peso del manufatto non consentissero la chiusura della sponda. Tant'è che il B.A., poco dopo avere iniziato, aveva arrestato la marcia del montacarichi, avendo paura. Ma, nonostante i timori da lui espressi, il M.S. aveva insistito pervicacemente, dicendogli di "andare avanti e non stare a preoccuparsi". Così come fu il M.S. a richiedere al B.F. di salire con loro e "dare una mano a portarlo dentro il bagno". Dunque, il M.S. aveva diretto personalmente e in via esclusiva l'intera attività di trasporto e "tiro al piano" del blocco marmoreo da montare, avendo necessità di chiudere i lavori commissionatigli utilizzando il montacarichi che stava per essere smontato. Aveva così assunto, di fatto, la posizione di garanzia contestata nell'imputazione, assumendo conseguentemente, nei confronti del B.F., tutti gli obblighi connessi al rispetto degli adempimenti posti a presidio dell'incolumità dei lavoratori. Di qui la conclusione della Corte d'appello secondo cui la condotta da lui posta in essere aveva violato le regole prudenziali dirette a prevenire eventi come quello verificatosi in danno del B.F.. Trattasi di motivazione precisa, fondata su specifiche risultanze processuali e del tutto idonea a illustrare l'itinerario concettuale esperito dal giudice di merito.
3.1. Non può essere accolto nemmeno il secondo motivo di ricorso. Non ha infatti alcun rilievo la circostanza che il B.F. fosse dipendente di un'altra impresa. Il titolare della posizione di garanzia ha infatti l'obbligo di garantire la sicurezza del luogo di lavoro per tutti i soggetti che ivi prestano la loro opera, in quanto l'imprenditore assume una posizione di garanzia in ordine alla sicurezza sul lavoro non solo nei confronti dei lavoratori subordinati o dei soggetti a questi equiparati ma altresì nei riguardi di tutti coloro che possono comunque venire a contatto o trovarsi ad operare nell'area del cantiere ( Cass., Sez. 4, n. 2525 del 21-1-2016, Del Rio). Soggetto beneficiario della tutela è infatti anche il terzo estraneo all'organizzazione dei lavori sicché dell'infortunio che sia occorso a quest'ultimo risponde il garante della sicurezza, sempre che l'infortunio rientri nell'area di rischio definita dalla regola cautelare violata e che il terzo non abbia posto in essere un comportamento di volontaria esposizione a pericolo. Pertanto è irrilevante che il delitto si sia consumato in danno di un soggetto non dipendente dell'azienda operante nel cantiere (Cass., Sez. 4, n. 44793 del 9-11-2015, Faggian; Sez. 4, n. 51190 del 30-12-2015, Passamonti). Si è, d'altronde, già evidenziato come il M.S., impartendo precise direttive agli operai presenti sul luogo nonché al B.F. , da lui specificamente chiamato a "dare una mano a portare il marmo dentro il bagno", abbia di fatto assunto la posizione di garanzia contestatagli, con tutti gli obblighi connessi all'effettuazione degli incombenti posti a presidio dell'Incolumità dei lavoratori.
3.2. Infondato è anche il penultimo motivo di ricorso. Come è noto, in giurisprudenza, si è ritenuto che l'aggravante della colpa con previsione ricorra ove l'agente, pur rappresentandosi l'astratta possibilità della realizzazione del fatto costituente reato, abbia agito nella convinzione (Cass., Sez. 4, n. 16232 del 9-1-2014) o nella sicura fiducia (Cass., Sez 1, n. 31449 del 14-2-2012) che esso non si sarebbe verificato. Non è dunque sufficiente la mera prevedibilità dell'evento, che costituisce requisito generale della colpa, ma occorre la prova della sua effettiva previsione, accompagnata dal convincimento che l'evento, in considerazione di tutte le circostanze del caso concreto, non accadrà ( Cass., Sez. 4, n. 24612 del 10-4-2014). Si pensi ai classici casi del giocoliere che lanci dei coltelli intorno ad una persona o dell'automobilista che, confidando nella propria abilità nella guida, effettui slalom spericolati tra altre auto. Quest'atteggiamento psicologico, in sostanza,si traduce nel passaggio da una rappresentazione generica in ordine alla idoneità di un comportamento, come quello tenuto dall'agente, a sfociare in astratto in un reato, ad una previsione concreta, che, per particolari circostanze, quel fatto non si verificherà. Nel quadro di tale impostazione, pertanto, la colpa cosciente è connotata da una previsione astratta che si evolve nel superamento del dubbio e si risolve in una previsione negativa in merito al verificarsi dell'evento, in quanto nella colpa cosciente il verificarsi dell'evento rimane un'ipotesi teorica, che, nella coscienza del soggetto, non viene percepita come suscettibile di effettiva concretizzazione (Cass., Sez. 1, 26-6-1987, Arnone, Rv. 177670; Sez. 1, 3-6-1993, Piga, Rv. 195270; Sez. 1, 24-2-1994, Giordano, Rv.198272). E si è sottolineato, in giurisprudenza, come la colpa cosciente sia caratterizzata dal tratto tipico della colpa, che è la controvolontà dell'evento, che invece non è presente nel dolo eventuale (Cass.,Sez. 1, 20-10-1986, Amante; Sez. 1, 21-4-1987, De Figlio, Rv. 176382). In quest'ottica, le Sezioni unite hanno affermato che ricorre la colpa cosciente allorché la volontà non sia diretta verso l'evento e l'agente, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l'evento illecito, si astenga dall'agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo. L'indagine giudiziaria, volta a ricostruire l'iter e l'esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori, quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell'agente; c) la durata e la ripetizione dell'azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) il grado di probabilità di verificazione dell'evento; g) le conseguenze negative anche per l'autore, in caso di sua verificazione ; h) il contesto lecito, o illecito in cui si è svolta l'azione; i) la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l'agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento ( c.d. prima formula di Frank): Sez. U., n. 38343 del 24-4-2014, Espenhahn, Rv. 261104.
Nel caso in esame, la Corte d'appello ha posto in rilievo che l'insistenza e la determinazione manifestate dal M.S. nel completare il lavoro intrapreso, nonostante le ferme e fondate opposizioni mosse dai lavoratori coinvolti nell'attività, direttamente organizzata dal ricorrente, con l'utilizzo della piattaforma che si trovava in una situazione di assoluta insicurezza, dimostrano che il M.S. agì nonostante avesse ben previsto come altamente probabile o comunque possibile l'evento letale, poi effettivamente verificatosi in pregiudizio del B.F.: trattasi di motivazione del tutto aderente ai principi appena menzionati e perciò immeritevole di censura.
3.3. La doglianza formulata dal M.S., con l'ultimo motivo di ricorso, non può trovare ingresso in questa sede. L'art. 581, lett. c), cod. proc. pen richiede infatti l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono il petitum. Il requisito della specificità dei motivi implica, a carico della parte, non solamente l'onere di dedurre le censure che intende muovere a uno o più punti determinati della decisione ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure stesse, al fine di consentire al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi e di esercitare il proprio sindacato (Cass., 18-10-1995, Arra, Rv. 203513), controllando la correttezza dell'apparato giustificativo che sorregge la decisione impugnata (Cass., 9-5-1990, Rizzi; Cass. 14-5-1992, Genovese; Cass., 17-11-1993, Settecase, Rv. 196795).
Nel caso di specie, il ricorrente avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali egli ritiene che la concessione della provvisionale in favore della S. sia stata illegittima, in quanto non supportata da idonei elementi probatori. Sarebbe stata, dunque, necessaria una indicazione precisa, anche se sintetica, delle ragioni di diritto e dei profili di fatto alla base della censura, anche in ordine ai motivi per i quali il ricorrente ha ritenuto di connotare in termini di inidoneità dimostrativa gli elementi a fondamento della statuizione in esame. Viceversa, il ricorrente si è fermato alla doglianza relativa alla mancanza di motivazione, senza indicare, in alcun modo, le ragioni a sostegno della propria tesi né specificare le argomentazioni a supporto dell'asserto formulato. Il requisito della specificità dei motivi non può, invece, prescindere dall'esposizione dei rilievi critici (Sez. U., 27-10-2016, Galtelli) concernenti le determinazioni del giudice di merito, funzionalmente alla concreta percepibilità del senso delle doglianze e in modo da impedire che si elida la correlazione con la ratio decidendi del provvedimento impugnato (Cass. , Sez. 2, n. 6076 del 24-1-2012; Cass., Sez. 1, n. 19338 del 24-4-2008; Cass., Sez. 1, n., 16711 del 18-3-2008), Il vizio di mancanza di motivazione può, infatti, essere utilmente dedotto in Cassazione esclusivamente in presenza di elementi trascurati dal giudice di merito ed evidenziati dalla parte, che, per il loro intrinseco spessore, avrebbero potuto condurre, ove fossero stati valutati, ad una decisione più favorevole di quella adottata (Cass., Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Rv. 253445). In difetto di qualunque indicazione in tal senso, da parte del ricorrente, non può dunque non rilevarsi la genericità della prospettazione della doglianza, che preclude un esito positivo del vaglio di ammissibilità.
4. La sentenza impugnata va dunque annullata limitatamente a C.A., con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Roma, per nuovo esame. Vanno invece rigettati i ricorsi di M.S. e di S.R., che debbono essere condannati al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, OMISSIS, che si ritiene congruo liquidare in complessivi euro 3000, oltre accessori di legge; nonché da OMISSIS, che si ritiene congruo liquidare in complessivi euro 3500, oltre accessori di legge.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata limitatamente a C.A., con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Roma, per nuovo esame. Rigetta i ricorsi di M.S. e S.R., che condanna al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, OMISSIS, che liquida in complessivi euro 3000, oltre accessori di legge; ed in favore di OMISSIS, che liquida in complessivi euro 3500, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 20 aprile 2018