Cassazione Civile, Sez. Lav., 17 agosto 2018, n. 20768 - Liquidazione della rendita per inabilità permanente per il socio-lavoratore


 

Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: BERRINO UMBERTO Data pubblicazione: 17/08/2018

 

 

Fatto

 

 

Si controverte del diritto di T.M., erede dell'assicurato V.M., alla riliquidazione della rendita ai superstiti in godimento sulla base di un importo che la ricorrente assume debba essere rappresentato sia dalla retribuzione che dai dividendi societari percepiti all'epoca dal suo dante causa, rimasto vittima di un infortunio mortale sul lavoro.
La Corte d'appello di Bari (sentenza del 30.7.2012), riformando la sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda della predetta erede, stabilendo che, ai sensi dell'art. 116 del T.U. n. 1124/65, per la liquidazione della rendita per inabilità permanente ed ai superstiti deve essere assunto quale parametro di base il dato della retribuzione del rapporto lavorativo subordinato e non anche quello dell'importo derivante dalla partecipazione agli utili societari spettanti al socio, qualora l'interessato abbia rivestito, come nella fattispecie, entrambe le qualità di lavoratore e di socio nella stessa azienda.
Per la cassazione della sentenza ricorre T.M. con due motivi.
Resiste con controricorso l'Inail.
 

 

Diritto

 


1. Col primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 116 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, in relazione all'art. 2099 cod. civ., ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., contestando quanto statuito dalla Corte di merito in ordine alla decisione di non voler ricomprendere le somme corrisposte al de cuius a titolo di partecipazione agli utili della società, in cui il medesimo aveva lavorato, nella nozione di retribuzione da quest'ultimo percepita per l'attività svolta alla dipendenze della stessa compagine sociale. Tale retribuzione, così determinata, avrebbe dovuto costituire, nella prospettazione della ricorrente, la base di calcolo per la liquidazione della rendita ai superstiti. In sostanza, si assume che il computo della rendita in favore del coniuge superstite T.M. avrebbe dovuto essere eseguito sulla base di un importo costituito dalla sommatoria della retribuzione percepita dal de cuius V.M. nei dodici mesi prima dell'Infortunio, per un importo annuo di € 20.333,37, e della quota di partecipazione del medesimo agli utili aziendali, che all'epoca ammontavano ad euro 7192,67, il tutto per un totale di € 27.526,04; ciò in quanto la percentuale sugli utili societari costituiva parte integrante della retribuzione percepita dal V.M. per il lavoro svolto alle dipendenze della società della quale era anche socio, al punto che della stessa quota era fatta menzione nel documento denominato Modello 29 - Prestazioni. A sostegno di quanto fin qui affermato la ricorrente aggiunge che l'art. 4, n. 7, del d.p.r. n. 1124/65 prevede tra le persone per le quali è compresa l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali i soci delle cooperative e di ogni altro tipo di società, per cui sarebbe irrilevante, ai fini che qui interessano, la distinzione tra socio-lavoratore e lavoratore subordinato della stessa società.
2. Col secondo motivo la ricorrente denunzia l'omessa motivazione in ordine alla retribuzione percepita da V.M. come risulta dalla documentazione prodotta in atti, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., ossia dal citato Modello 29 - Prestazioni, predisposto, ai fini della sua compilazione e della conseguente richiesta di liquidazione, dallo stesso istituto assicuratore. Secondo la ricorrente, da tale documento il collegio giudicante avrebbe potuto rilevare il contenuto dei dati retributivi nello stesso indicati ai fini della determinazione della prestazione oggetto di causa, atteso che dallo stesso si poteva evincere che la quota di partecipazione agli utili societari rappresentava un compenso corrisposto in via continuativa.
3. Osserva la Corte che i due motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati per le seguenti ragioni:- La norma di riferimento nel caso in esame è quella di cui all'art. 116, comma 1, del d.p.r 30.6.1965 n. 1124, a mente della quale << Per la liquidazione delle rendite per inabilità permanente e delle rendite ai superstiti, quando non ricorra l'applicazione dell'art. 118, è assunta quale retribuzione annua la retribuzione effettiva che è stata corrisposta all'infortunato sia in danaro, sia in natura durante i dodici mesi trascorsi prima dell'infortunio > >.
Orbene, il dato letterale della retribuzione effettiva, come delineato chiaramente dalla predetta norma con riguardo all'arco temporale dei dodici mesi antecedenti all'infortunio, conduce a ritenere, senza ombra di dubbio, che ai fini della liquidazione delle rendite per inabilità permanente ed ai superstiti debba tenersi conto solo della retribuzione che sia collegata in modo sinallagmatico alla prestazione lavorativa resa nel periodo di riferimento.
4. La riprova di ciò la si ricava anche dalla considerazione che il secondo comma dell'art. 116 dello stesso Testo Unico n. 1124/65 prevede che qualora l'infortunato non abbia prestato la sua opera durante il detto periodo in modo continuativo, oppure non l'abbia prestata presso uno stesso datore di lavoro e non sia possibile determinare il cumulo delle retribuzioni percepite nel periodo medesimo, la retribuzione annua si valuta eguale a trecento volte la retribuzione giornaliera.
Nella stessa norma è poi specificato che a questo effetto, si considera retribuzione giornaliera la sesta parte della somma che si ottiene rapportando alla durata oraria normale della settimana di lavoro nell'azienda per la categoria cui appartiene l'infortunato il guadagno medio orario percepito dall'infortunato stesso anche presso successivi datori di lavoro fino al giorno dell'infortunio nel periodo, non superiore ai dodici mesi, per il quale sia possibile l'accertamento dei guadagni percepiti. 
Al riguardo questa Corte (Cass. sez. lav. n. 7486 del 12.8.1996) ha chiarito che allorquando l'infortunato non abbia prestato attività continuativa nel corso degli ultimi mesi che hanno preceduto l'infortunio, ovvero non l'abbia prestata presso uno stesso datore di lavoro e non sia possibile determinare il cumulo delle retribuzioni percepite nel periodo medesimo, il guadagno medio orario, che rappresenta il dato fondamentale del procedimento di calcolo previsto dall'artt. 116, secondo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 per effettuare la suddetta liquidazione, deve essere determinato dividendo la retribuzione effettivamente percepita dall'infortunato negli ultimi dodici mesi precedenti l'infortunio per il numero di ore effettivamente lavorate.
5. D'altra parte, nemmeno è decisivo, ai fini giuridici che qui rilevano, il generico riferimento operato nel caso di specie alla circostanza di fatto dell'Inserimento della quota di partecipazione agli utili nel documento indicato come "Mod. 29 - Prestazioni", considerato che correttamente la Corte di merito ha evidenziato la diversa genesi e la diversa finalità sottese alla fruizione dei dividendi societari rispetto alla corresponsione della retribuzione, che rappresenta, invece, la esatta controprestazione dell'attività normalmente espletata nell'ambito di un rapporto di lavoro.
6. Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo, unitamente a quelle del contributo unificato di cui all'art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese nella misura di € 2700,00, di cui € 2500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 14 marzo 2018