Responsabilità del direttore di una filiale che cagionava, con colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, lesioni personali a D.P. dipendente della stessa società, in particolare frattura del femore da cui derivava una malattia superiore a 40 giorni; egli non esercitava la dovuta sorveglianza sulle misure di sicurezza, non impedendo ai lavoratori di avvalersi di attrezzature non idonee, segnatamente un carrello elevatore nell'allestimento di uno scaffale (D.P.R. n. 626 del 1994, art. 35, comma 1): veniva infatti installato uno scaffale in violazione delle istruzioni del fabbricante, che, a seguito dell'erroneo montaggio precipitava al suolo (D.P.R. n. 626 del 1994, art. 35, comma 4) e travolgeva il carrello elevatore che a sua volta, ribaltandosi schiacciava la gamba destra di D.P., determinando la frattura del femore.
Sussiste
La Corte afferma che il primo motivo, con il quale si lamenta l'omessa valutazione del comportamento abnorme del lavoratore stesso, è infondato in quanto "un comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore".
E ancora: "In tema di infortuni sul lavoro, infatti, l'obbligo del datore di lavoro, titolare della relativa posizione di garanzia, è articolato e comprende l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte, la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, la effettiva predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate o disapplicate, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione".

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCALI Piero - Presidente -
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -
Dott. MAISANO Giulio - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) P.M. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 13/03/2008 CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAISANO GIULIO;
Udito il Procuratore Generale in persona della Dott.ssa DE SANDRO Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. (Ndr: testo originale non comprensibile) Antonio del foro di Como che chiede l'accoglimento dei motivi di ricorso.

Fatto

Con sentenza del 18/5/2004 il Tribunale di Piacenza ha dichiarato P.M. responsabile del reato di cui all'art. 590 c.p. perchè, quale direttore della filiale della BENNET s.p.a. e, in particolare, del centro commerciale denominato "(OMISSIS)" cagionava con colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, lesioni personali a D.P. dipendente della stessa società, in particolare frattura del femore da cui derivava una malattia superiore a 40 giorni; in particolare non esercitava la dovuta sorveglianza sulle misure di sicurezza non impedendo ai lavoratori di avvalersi di attrezzature non idonee, segnatamente un carrello elevatore nell'allestimento di uno scaffale (D.P.R. n. 626 del 1994, art. 35, comma 1); veniva installato uno scaffale in violazione delle istruzioni del fabbricante, che, a seguito dell'erroneo montaggio, in occasione dell'allestimento precipitava al suolo (D.P.R. n. 626 del 1994, art. 35, comma 4), in tal modo, detto scaffale, a seguito dell'erroneo montaggio, essendo state utilizzate all'uopo viti non adeguate, mentre veniva allestito, precipitava al suolo e travolgeva il carrello elevatore che a sua volta, ribaltandosi schiacciava la gamba destra di D.P., determinando la frattura del femore.
Il Tribunale ha quindi condannato il P. alla pena di mesi due di reclusione sostituita con Euro 3.000,00 di multa.
La Corte d'Appello di Bologna con sentenza del 13/3/2008 ha rigettato l'appello proposto dall'imputato confermando la sentenza di primo grado.
La Corte Territoriale ha motivato la sua pronuncia ritenendo provata la dinamica dell'incidente ed il comportamento colposamente omissivo del P. come contestatogli.
L'imputato propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza chiedendo il suo annullamento.
Diritto

Il ricorso non è fondato e va conseguentemente rigettato.

Con il primo motivo si lamenta mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione che ha portato all'affermazione di responsabilità dell'imputato per non avere esercitato la dovuta sorveglianza sulle misure di sicurezza; in particolare omessa valutazione del comportamento abnorme tenuto dalla dipendente tale da costituire causa esclusiva dell'infortunio ed, in ogni caso, idoneo ad escludere qualsivoglia addebito in capo al P.; il ricorrente deduce che l'incidente è avvenuto per esclusiva responsabilità della dipendente che di propria iniziativa ha utilizzato un mezzo elevatore per raggiungere gli scaffali posti ai livelli superiori, anzichè utilizzare scale o sgabelli a disposizione dei dipendenti contravvenendo alle disposizioni datele.
Il motivo è infondato in quanto un comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore; tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento, ancorchè avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell'attività lavorativa svolta, tale comportamento, in tal caso, non essendo affatto eccezionale ed imprevedibile (cfr. Cass., Sez. 4^, n. 12115/1999; id., Sez. 4^, n. 952/1997).
Nè può rilevare il comportamento colposamente imprudente della lavoratrice che ha violato le norme di prudenza pur dettate dal datore di lavoro.
In tema di infortuni sul lavoro, infatti, l'obbligo del datore di lavoro, titolare della relativa posizione di garanzia, è articolato e comprende l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte, la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, la effettiva predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate o disapplicate, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione (Cass., Sez. 4^, 10.2.2005, n. 13251, Sez.4^, 3.3.1995, n. 6486; id., Sez. 4^, 12.12.1983, n. 3824/2004).
Il ricorrente lamenta inoltre l'illogicità e/o erronea motivazione con riguardo alla ritenuta ed asserita presenza del P. sul luogo dell'infortunio, e con riguardo alla ritenuta qualifica di "responsabile delle misure di sicurezza".
Il motivo è infondato in quanto, per quel che riguarda la presenza dell'imputato sul luogo del fatto, la circostanza è esclusa dalla sentenza impugnata che afferma il contrario, nè vengono dedotti elementi che possano escludere la presenza del P. al momento del fatto, ma semplici circostanza non incompatibili con tale presenza.
Per quanto riguarda la contestata qualifica di "responsabile delle misure di sicurezza" la circostanza non è rilevante in questa sede in quanto la lamentela non è stata sollevata come motivo di appello ed è quindi inammissibile.
Con altro motivo il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale oltrechè di altre norme giuridiche di cui si doveva tener conto nell'applicazione della legge penale, con riferimento agli obblighi precisi imposti dalla legge ai lavoratori nell'esecuzione della loro prestazione.
Anche tale motivo è infondato in quanto nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d'imputazione siano contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta o la specificazione di un particolare profilo di colpa rispetto a quelli originariamente contestati, non vale a realizzare una diversità o immutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione.
Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata sicchè questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione dell'evento di cui è chiamato a rispondere, indipendentemente della specifica norma che si assume violata. In altre parole, come si è verificato nel caso di specie, il fatto storico è rimasto inalterato e l'accusa sostanzialmente contestata al P. non è mutata consistendo nel non avere approntato il carico in modo sicuro.
Infine il ricorrente lamenta con terzo motivo di ricorso la mancanza e/o illogicità della motivazione della sentenza che ha portato all'affermazione della propria responsabilità per avere fatto installare uno scaffale in violazione delle istruzioni del fabbricante; il ricorrente considera che dall'espletata istruttoria è emerso che nel montaggio degli scaffali erano state seguite tutte le istruzioni della ditta costruttrici i cui dipendenti, fra l'altro, al momento del fatto erano presenti nel centro commerciale in quanto stavano provvedendo al montaggio di altri scaffali.
Anche tale motivo non è fondato in quanto riguarda circostanze di fatto il cui accertamento è precluso in sede di legittimità.
D'altra parte la presenza di dipendenti della ditta costruttrice degli scaffali non esclude comunque la responsabilità dell'imputato nel non avere vigilato sulla corretta esecuzione delle operazione di montaggio da parte della dipendente.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Quarta Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 dicembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2009