• Cantiere Temporaneo e Mobile
  • Datore di Lavoro
  • Delega di Funzione
  • Vigilanza, Ispezioni e Prescrizioni

Responsabilità del titolare e legale rappresentante di una ditta appaltatrice e del responsabile di cantiere della ditta, per infortunio occorso al sedicenne B.L., entrato in un campo di calcetto e travolto da una delle porte non infisse al suolo - Il campo di calcetto non era stato completato e, al momento dell'incidente, non vi era stata ancora la riconsegna del cantiere da parte della ditta appaltatrice e non vi era stata la ultimazione dei lavori, mancando ancora l'attività di assestamento del terreno, il suo definitivo livellamento ed il compimento di altri lavori accessori - Sussiste.

Ricorrono entrambi in Cassazione.

La Corte, nel rigettare il ricorso afferma innanzitutto che, nel nostro caso, "è indubbia la violazione di norme generali riguardanti la sicurezza sul luogo di lavoro riferibile tanto a coloro che frequentavano il cantiere per ragioni di lavoro quanto agli estranei che si sono venuti a trovare all'interno di esso. " "E' pacifico altresì che nel caso di specie è stata contestata una colpa generica, sia pure con riferimento alla violazione di un obbligo contrattuale previsto dall'art. 71 del capitolato d'appalto che prevedeva, appunto, a carico dell'appaltatore quello di sorveglianza del cantiere per impedire che in esso vi entrassero persone estranee."

Inoltre: "indipendentemente della idoneità professionale del D.F. G. di assumere il ruolo di direttore tecnico di cantiere, ammesso pure che ne avesse avuto le capacità, tale ruolo non fa venir meno la responsabilità del datore di lavoro in ordine all'obbligo di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro in assenza di specifica delega in materia.
Nella materia infortunistica, perchè possa prodursi l'effetto del trasferimento dell'obbligo di prevenzione dal titolare della posizione di garanzia ad altri soggetti inseriti nell'apparato organizzativo dell'impresa (siano essi responsabili di settore o capireparto) è necessaria una delega di funzioni da parte dell'imprenditore o del datore di lavoro che deve trovare consacrazione in un formale atto di investitura in modo che risulti certo l'affidamento dell'incarico a persona ben individuata, che lo abbia volontariamente accettato, nella consapevolezza dell'obbligo di cui viene a gravarsi; quello cioè di osservare e fare rispettare la normativa di sicurezza."


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RIZZO Aldo Sebastiano - Presidente -
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. IZZO Fausto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1. D.F.C. n. il (OMISSIS);
2. D.F.G. n. il (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa dalla Corte d'Appello dell'Aquila in data 27.06.2008;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Claudio D'Isa;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale, nella persona del Dott. FEBBRARO Giuseppe, che ha chiesto rigettarsi i ricorsi;
Per le parti civili l'avv. Spinelli Patrizio chiede l'inammissibilità o il rigetto del ricorso;
Per i ricorrenti, l'avv. Iadicola Gianfrancesco insiste nell'accoglimento del ricorso.

Fatto
 
 
La Corte d'Appello dell'Aquila, in data 27.06.2003, ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Giulianova, in composizione monocratica, del 2.03.2005 nei confronti di D.F.C. e D.F.G. in ordine al delitto di lesioni personali colpose con violazione delle norme antinfortunistiche ai danni di B.L..

In sintesi il fatto.
L'incidente oggetto di processo era avvenuto in quanto il sedicenne B.L., assieme ad altri amici, era entrato nel campo di calcetto del centro polisportivo del Comune di (OMISSIS), ancora in fase di realizzazione e, appesosi alla traversa di una delle porte che non erano infisse al suolo, era stato travolto dal suo ribaltamento e colpito dalla traversa medesima.
Le porte erano state collocate nel campo e posizionate a terra ed i ragazzi verosimilmente le avevano poste in posizione verticale, sicchè la causa del sinistro era stata la mancata sorveglianza del campo, nel quale accedevano, senza alcun controllo dei giovani dediti al gioco del calcio.
 
Il giudice di primo grado, conformemente alla contestazione elevata dal P.M., riteneva che di tale mancata sorveglianza e della stessa inidonea collocazione delle porte erano responsabili gli imputati, in qualità, il primo, di titolare e legale rappresentante della Ditta appaltatrice dei lavori, ed, il secondo, di responsabile di cantiere della ditta, essendo stato accertato in dibattimento che il campo di calcetto non era stato completato e che, al momento dell'incidente, non vi era stata ancora la riconsegna del cantiere da parte della ditta appaltatrice e non vi era stata la ultimazione dei lavori, mancando ancora l'attività di assestamento del terreno, il suo definitivo livellamento ed il compimento di altri lavori accessori.
 
Aggiungeva il Primo Giudice che i D.F. erano ancora, alla data dell'incidente, nella piena disponibilità materiale, oltre che giuridica, del cantiere, ciò era dimostrato dalla circostanza che le porte erano state messe (adagiate al suolo), proprio dal D.F. G. con l'ausilio di operai del Comune da lui stesso richiesti per dare una mano; infatti, D.D.S., responsabile dell'Ufficio Tecnico del Comune di (OMISSIS), constatando che vi era disponibilità di una somma di circa L. 2.000.000 per spese necessarie a rendere completo il campo, come da previsione del computo metrico, aveva dato disposizioni alla ditta D.F. di acquistare le porte già assemblate, cosa che i D.F. avevano fatto e, appunto nella fase di collocazione delle porte stesse, i medesimi D.F., a prescindere dalla consegna o meno delle chiavi del cantiere al Comune, erano ancora impegnati nei lavori ed avevano ancora la disponibilità del cantiere.
 
Inoltre, in data 27-4-2001, il Comune di (OMISSIS) aveva deciso di effettuare ulteriori lavori sul campo, evidentemente non ricompresi nel capitolato, e li aveva affidati ancora una volta alla Ditta D. F., la quale, con nota del 2.5.2001, aveva comunicato la sua accettazione, il tutto ad ulteriore dimostrazione della permanente disponibilità del cantiere in capo alla stessa ditta.
Ancora, nel certificato di collaudo del 21-11-2003, era dato leggere che i lavori erano stati semplicemente "sospesi e mai completati" e che, senza soluzione di continuità, in data 27-4-2001 erano stati commissionati altri lavori.
 
Concludeva il giudicante con l'affermare che la responsabilità penale ricadeva sul D.F.G., avendo incaricato, quale responsabile di cantiere, il D.F.G. sprovvisto dei necessari titoli professionali, non aveva conferito una delega giuridicamente valida ed idonea a trasferire in modo per sè esimente i doveri di controllo, e sul D.F.G. essendo a lui direttamente riconducibile l'omessa sorveglianza del cantiere.

La Corte d'Appello nel fare proprio l'impianto argomentativo del Tribunale e, nell'esaminare i motivi di gravame, rileva che non risultano verificatisi, nè ci sono elementi che facciano legittimamente opinare il contrario, sia l'asserita avvenuta conclusione dei lavori con la riconsegna delle chiavi del lucchetto del cancello d'ingresso al campo sportivo prima dell'incidente de quo, che la nomina, imposta dal capitolato d'appalto da parte alla ditta appaltatrice, di un direttore tecnico del cantiere professionalmente abilitato.

In ogni caso rileva che, anche qualora le chiavi fossero state materialmente riconsegnate, il fatto che i lavori non fossero stati ultimati e formalmente riconsegnati, avrebbe mantenuto intatto nell'appaltatore l'obbligo contrattuale di vigilanza sul cantiere e di protezione verso terzi per i pericoli che dal cantiere potessero derivare.

Ricorrono per cassazione, a mezzo del ministero dei loro difensori, entrambi gli imputati.

Si denuncia erronea applicazione della legge penale e mancanza ed illogicità della motivazione nell'esaminare i motivi di appello che vertevano sulla contestazione della posizione di garanzia in capo alla Ditta D.F. nel momento in cui si era verificato l'evento, essendo la medesima transitata in capo ai rappresentanti legali del Comune in quanto i lavori erano stati ultimati già da tempo, tant'è che era stata redatta la contabilità finale ed era sta emessa regolare fattura il 29.08.2000.
Tale ultimazione emerge dalle dichiarazioni in dibattimento rese dal direttore dei lavori nominato dal Comune, il coimputato D.D. S., che ha affermato che quando fu redatta la contabilità non vi erano altri lavori da fare ma solo imperfezioni non dovute alla ditta stessa.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte l'affidamento alla ditta D.F. dell'esecuzione di ulteriori distinti lavori, non significava che gli imputati avessero ancora la disponibilità del cantiere, ma anzi che il capitolo dei precedenti lavori si era chiuso.
Le porte e le reti furono acquistate dalla ditta D.F. per conto del comune senza che fosse stato mai ad essa commissionato nè il montaggio nè l'installazione al suolo.
Esse furono affidate, una volta comprate, all'operaio del comune G.G. e custodite nei magazzini comunali.
Lo stesso operaio a distanza di tempo, su richiesta di un impiegato comunale e del direttore del lavori D.D. aveva prelevato dal magazzino le porte e le aveva egli stesso montate e che il cancello del campo gli fu aperta dal capo-operaio del Comune.
Dunque tali comportamenti dell'ente comunale, svolti in totale autonomia, presupponevano che il Comune fosse in possesso delle chiavi del lucchetto apposto dalla ditta D.F. al cancello d'ingresso al campo.
Inoltre si evidenzia che è erroneo l'assunto della sentenza di primo grado, confermato da quella di secondo, relativo alla inefficacia della delega conferita dal D.F.C. al D.F. G., in quanto, essendosi l'incidente verificatosi per una omessa sorveglianza, tale compito non rientrava tra i capitolati dell'appalto quindi non venivano in rilievo causale, ai fini dell'impedimento dell'evento lesivo, i requisiti tecnici specificamente fissati per il direttore tecnico.
Su tutti questi punti la sentenza di appello fornisce risposte meramente apparenti, essa omette di confrontarsi con le circostanze di fatto indicate nei motivi di appello con riferimento alla presa in carico da parte di Comune del campo sportivo, i lavori relativi al quale erano stati ultimati e consegnati dalla ditta appaltatrice, valorizzando dati meramente formali quale l'omessa redazione del verbale di ultimazione dei lavori.
La Corte del merito altresì non si confronta con la documentazione contabile cui prima si è fatto riferimento relativa ai lavori eseguiti ed in particolare non tiene conto della fattura emessa a "stato finale dei lavori" e datata 29 agosto 2000.
Nulla si dice in sentenza in ordine al significato che proprio impiegando la somma residua dopo la chiusura della contabilità di L. 2.000.000 si fosse potuto disporre l'acquisto delle porte e delle reti non previsto nel contratto d'appalto: ciò appariva univocamente indicativo dell'avvenuta definizione ed accantonamento della somma necessaria al pagamento di tutti i lavori appaltati dunque già conclusi.
Anche la valutazione probatoria delle dichiarazioni del teste C. che riferisce di non aver mai visto nella bacheca dell'Ufficio tecnico comunale le chiavi di cui trattasi in quanto non le mette a confronto con quelle rese dal D.F.G. che ha affermato di averle riconsegnate al Comune dopo l'acquisto delle porte, e soprattutto con le dichiarazioni del G. e del D. B.A., autori del montaggio.
La sentenza, poi, omette di fornire qualsiasi risposta in ordine allo specifico motivo di appello relativo alla condotta imprevedibile e inconsulta mantenuta nella specie dalla persona offesa da ritenersi come causa esclusiva o quanto meno concorrente dell'evento lesivo.

Diritto


I motivi addotti, posti a base dei ricorsi, sono in parte inammissibili, in quanto non consentiti in sede di legittimità, perchè concernono differenti valutazioni di risultanze processuali ed allegazioni di fatto, ed in parte infondati, sicchè i ricorsi devono essere rigettati con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Va premesso che, nel caso di specie, è indubbia la violazione di norme generali riguardanti la sicurezza sul luogo di lavoro riferibile tanto a coloro che frequentavano il cantiere per ragioni di lavoro quanto agli estranei che si sono venuti a trovare all'interno di esso.
E' pacifico altresì che nel caso di specie è stata contestata una colpa generica, sia pure con riferimento alla violazione di un obbligo contrattuale previsto dall'art. 71 del capitolato d'appalto che prevedeva, appunto, a carico dell'appaltatore quello di sorveglianza del cantiere per impedire che in esso vi entrassero persone estranee.
E' da rilevare che la tesi oggetto del principale motivo del gravame di legittimità, sotto una veste meramente fattuale, già era stata sottoposta all'esame della Corte d'Appello, infatti, con il giudizio di secondo grado fu devoluta alla cognizione della corte territoriale la questione della sussistenza della posizione di garanzia dal primo giudice ritenuta a carico dei prevenuti; e, non c'è chi non veda come i motivi addotti dai ricorrenti ineriscono tutti, anche se diversamente modulati, alla eccepita carenza di posizione di garanzia sulla base di una diversa valutazione delle acquisizioni probatorie.
Nella sostanza, gli appellanti posero in evidenza il fatto che, al momento in cui si verifico l'incidente, la posizione di garanzia inerente alla osservanza delle norme antinfortunistiche si era già trasferita da essi appaltatori al Comune appaltante.
La corte di appello disattese il motivo di gravame ritenendo che i risultati probatori sul punto acquisiti in primo grado erano stati correttamente valutati dal giudice di primo grado.
Ciò posto, tutte le censure riguardanti la contestata posizione di garanzia in capo ai ricorrenti integrano inevitabilmente questioni di fatto con diversa valutazione del risultato probatorio.
E' indubbio lo sforzo argomentativo profuso per far rientrare nella previsione normativa dell'art. 606 c.p.p., lett. e) quella che è una mera valutazione del fatto.
Infatti, le censure mosse dai ricorrenti, pur essendo volte a contestare l'omessa od errata ricostruzione di risultanze della prova dimostrativa, testimoniale e documentale (relativamente alla ultimazione dei lavori di realizzazione del campo sportivo con passaggio delle responsabilità relative alla sorveglianza del cantiere al Comune committente), si sostanziano nella richiesta a questa corte di legittimità di un intervento in sovrapposizione argomentativa rispetto alla decisione impugnata ed ai fini di una lettura della prova alternativa rispetto a quella congrua e logica cui sono pervenuti i giudici del merito.
Al di là dell'inammissibile carattere di prospettazione in fatto delle doglianze formulate, si tratta, comunque, di censure già disattese dal collegio di appello con considerazioni coerenti all'insegnamento del Supremo Collegio in punto di responsabilità in materia antinfortunistica.
Nè può ritenersi che la sentenza impugnata sia incorso nel vizio di travisamento della prova.
Infatti, la modificazione intervenuta all'art. 606 c.p.p., lett. e), in seguito alla L. n.46 del 2006, non comporta la possibilità di effettuare un'indagine sul discorso giustificativo della decisione tale da sovrapporre una propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito e da verificare l'adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento, mentre la loro rispondenza alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere dedotta qualora comporti il c.d. travisamento della prova, purchè siano indicate in maniera specifica ed in maniera inequivoca le prove pretese travisate nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte e non ne sia effettuata una monca individuazione o un esame particellizzato.
Ebbene la Corte del merito, in riferimento alle specifiche testimonianze addotte dalla Difesa asseritamene comprovanti l'ultimazione dei lavori da parte della ditta facente capo al D. F.C., ha riesaminato alla luce delle censure mosse quelle rese:
a) dal D.D.S. in ordine alla esecuzione di ulteriori lavori che hanno trovato conferma nel computo metrico relativo ai lavori prodotto in atti e sottoscritto dalla ditta esecutrice;
b) dal teste G.G., confortato indirettamente dalla deposizione del teste V.L., in ordine alla circostanza che le porte per il gioco del calcio con le relative reti, acquistate nell'anno 2000 dalla ditta D.F., vennero portate sul campo da gioco ed adagiate per terra, da esso G. e dal D.F. G.;
c) dal teste C.L. in ordine alla riconsegna delle chiavi del cantiere dai D.F. al Comune, il quale non solo ha negato di essere mai stato presente ad una riconsegna delle chiavi medesime, ma anche affermato che nella bacheca dell'ufficio comunale egli non ebbe mai a vedere le chiavi di detto lucchetto.
Con altro motivo si denuncia carenza di motivazione della impugnata sentenza con riguardo alla ritenuta inefficacia esonerante della delega conferita dal D.F.C. al D.F.G., considerato non in possesso delle capacità stabilite in contratto.
In effetti, già in appello si era evidenziato che, con riferimento alla omessa sorveglianza del cantiere, che ha avuto incidenza causale nella verificazione dell'evento lesivo, il D.F.G. era perfettamente in grado di assolvere gli obblighi di sorveglianza demandatigli.
Orbene, è dato certo che l'art. 71 del Capitolato Speciale di Appalto, stipulato tra la ditta edile di D.F.C. ed il Comune di (OMISSIS) prevedeva che l'appaltatore dovesse, prima dell'inizio dei lavori, nominare un direttore tecnico di cantiere che avrebbe dovuto essere professionalmente abilitato ed iscritto all'albo professionale.
Altro dato certo è che il D.F.G. non era in possesso di tali caratteristiche ma, sostanzialmente, aveva esercitato le funzioni di direttore del cantiere.
Ciò posto, la censura non appare conferente, in quanto, indipendentemente della idoneità professionale del D.F. G. di assumere il ruolo di direttore tecnico di cantiere, ammesso pure che ne avesse avuto le capacità, tale ruolo non fa venir meno la responsabilità del datore di lavoro in ordine all'obbligo di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro in assenza di specifica delega in materia.
Nella materia infortunistica, perchè possa prodursi l'effetto del trasferimento dell'obbligo di prevenzione dal titolare della posizione di garanzia ad altri soggetti inseriti nell'apparato organizzativo dell'impresa (siano essi responsabili di settore o capireparto) è necessaria una delega di funzioni da parte dell'imprenditore o del datore di lavoro che deve trovare consacrazione in un formale atto di investitura in modo che risulti certo l'affidamento dell'incarico a persona ben individuata, che lo abbia volontariamente accettato, nella consapevolezza dell'obbligo di cui viene a gravarsi; quello cioè di osservare e fare rispettare la normativa di sicurezza.
Se, dunque, è possibile che l'imprenditore possa delegare ad altri gli obblighi attinenti alla tutela delle condizioni di sicurezza del lavoro su di lui incombenti per legge, in quanto principale destinatario della normativa antinfortunistica, qualora sia impossibilitato ad esercitare di persona i poteri-doveri connessi alla sua qualità per la complessità ed ampiezza dell'impresa per la pluralità di settori produttivi di cui si compone o per altre ragioni, tuttavia il cennato obbligo di garanzia può ritenersi validamente trasferito purchè vi sia stata una specifica delega, e ciò per l'ovvia esigenza di evitare indebite esenzioni, da un lato, e, d'altro, compiacenti sostituzioni di responsabilità.
Sul presupposto che l'individuazione dei destinatari dell'obbligo di prevenzione deve avvenire in relazione all'organizzazione dell'impresa e alla ripartizione delle incombenze, siccome attuata in concreto tra i vari soggetti chiamati a collaborare con l'imprenditore e ad assicurare in sua vece l'onere di tutela delle condizioni di lavoro, non può quest'ultimo essere esentato da colpa per qualsiasi evenienza infortunistica conseguente all'inosservanza dell'obbligo di garanzia suo proprio, quando non vi sia stato un trasferimento di competenza in materia antinfortunistica attraverso un atto di delega e ciò in attuazione del principio della divisione dei compiti e delle connesse diversificate responsabilità personali.
L'adesione alla tesi di una possibilità di una delega ampliata di funzioni, costituisce palese violazione della ratio dell'intero D.P.R. n. 547 del 1955, il quale, con l'espressione "competenze" ha inteso riferirsi alle posizioni occupate dai vari soggetti nell'ambito dell'impresa in base all'effettuata e completa ripartizione di incarichi tra: i datori di lavoro (sui quali precipuamente grava l'onere dell'apprestamento e dell'attuazione di tutti i necessari accorgimenti antinfortunistici), dirigenti, cui spettano poteri di coordinamento e di organizzazione in uno specifico settore operativo o in tutte le branche dell'attività aziendale, e preposti, cui competono poteri di controllo e di vigilanza, in modo da consentire l'individuazione delle rispettive responsabilità, qualora dovessero insorgere.
Donde la necessità di una delega certa e specifica da parte dell'imprenditore, che valga a sollevarlo dall'obbligo di prevenzione, altrimenti su di lui gravante.
Infine, per quanto riguarda il motivo di gravame relativo alla omessa motivazione, nonostante lo specifico motivo di appello relativo alla condotta imprevedibile ed inconsulta mantenuta nella specie dalla persona offesa, si osserva che l'argomento viene trattato, sia pure sinteticamente dalla Corte territoriale che, comunque, ha fatto proprio l'apparato argomentativo della sentenza di primo grado laddove si è esaminata diffusamente la questione.
In diritto va osservato che, in tema di omicidio e lesioni colpose, questa Corte ha più volte affermato (Sez. 4^, sentenza n. 6025 del 25.06.1989, Rv. 181105 e sez. 4^, sentenza n. 2383 del 10.11.2005, Rv. N. 232916) per la ravvisabilità della circostanza del fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, è sufficiente che sussista legame causale tra siffatta violazione e l'evento dannoso; legame che ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse, secondo i principi dettati dagli artt. 40 e 41 c.p., senza che possa ritenersi escluso sol perchè il soggetto leso non sia un dipendente (o equiparato) dell'imprenditore, obbligato al rispetto di tali norme.
Ne consegue che deve ravvisarsi l'aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2, e art. 590 c.p., comma 3, nonchè il requisito della perseguibilità d'ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590 c.p., u.c., anche nel caso di soggetto passivo estraneo all'attività e all'ambiente di lavoro, purchè la presenza di tale soggetto sul luogo e nel momento dell'infortunio non abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante e purchè la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in effetti verificatosi.
Sotto questo aspetto la Corte Territoriale ha evidenziato che in fatto, ad ulteriore conforto in ordine alla violazione dei doveri di vigilanza e sorveglianza gravanti sugli imputati, è rimasto accertato, attraverso le deposizioni rese dai testi D.P. L. e G.D., che già precedentemente al fatto oggetto di processo, ragazzi erano soliti entrare pressochè indisturbati nel campo da gioco e giocare a pallone, verosimilmente sollevando da terra le porte che, a suo tempo, erano state adagiate sul campo; sempre sulla base delle dichiarazioni dei predetti testi, nonchè del teste G.F., è emerso, come provato che, nel giorno del fatto, il lucchetto di chiusura del cancello non vi era o, se anche vi era, certamente non era operativo, tanto che l'accesso al campo di gioco era libero e senza ostacoli e che, successivamente all'episodio, venne acquistato un lucchetto apposito.
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali, nonchè della rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese a favore delle parti civili costituite B.L. e F. R., che liquida per ciascuno di essi in complessivi Euro 2500,00, di cui Euro 2000,00 per onorari di avvocato oltre IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 4 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2009