Responsabilità di R.F., quale amministratore unico di una s.r.l., per aver omesso di dotare la pressa meccanica di un idoneo comando di avviamento in sicurezza  (in violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 77).
Così facendo aveva cagionato a F.L. lesioni personali consistite nello schiacciamento e nell'amputazione parziale di tre falangi della mano.

Sia in primo che in secondo grado, la tesi secondo cui esisteva una delega espressa, ancorchè non scritta, delle funzioni inerenti al settore della sicurezza e prevenzione infortuni al direttore di stabilimento, D.B.M., non era stata condivisa e l'imputato era dunque stato condannato.

Ricorre in Cassazione - Respinto.

Con i primi due motivi  "il ricorrente ripropone la problematica della esistenza di una valida delega, espressa, seppur non scritta, delle funzioni su di lui incombenti in materia di sicurezza, al direttore dello stabilimento D.B.M., chiedendo, sulla base della stessa, la rivisitazione del giudizio di colpevolezza del prevenuto.
Sul punto ricorda il collegio che, se è vero che in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro, tuttavia, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo; deve investire persona tecnicamente capace, dotata cioè delle necessaria cognizioni tecniche, nonchè dei relativi poteri decisionali e di intervento (anche di spesa); deve infine essere specificamente accettata."

Inoltre, afferma la Corte, "costituisce invero affermazione praticamente costante nella giurisprudenza di questo giudice di legittimità che le norme antinfortunistiche mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine a incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, di guisa che la responsabilità dell'imprenditore e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottarle può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del dipendente che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, e che sia, come tale, del tutto imprevedibile e inevitabile.
In tale prospettiva si ritiene che, ove l'infortunio sia originato dall'assenza o dalla inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento dell'infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatta condotta".


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente -
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere -
Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere -
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) R.F. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 15/02/2007 CORTE APPELLO di TRIESTE;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. AMENDOLA ADELAIDE;
Udito il Procuratore generale, Dott. Mario Iannelli, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FattoDiritto

1.1 Con sentenza del 21 dicembre 2004 il Tribunale di Udine, sez. dist. di Cividale del Friuli dichiarava R.F. colpevole del reato di cui all'art. 590 c.p., commesso il (OMISSIS) in (OMISSIS) in danno di F.L. e, concesse le attenunati generiche equivalenti alle contestate aggravanti, lo condannava a pena ritenuta di giustizia.
Proposto gravame, la Corte d'appello di Trieste in data 15 febbraio 2007 confermava la sentenza impugnta.
L'imputato era stato tratto a giudizio con l'accusa che, nella sua qualità di amministratore unico di C.L.M. s.r.l., operante nel campo della lavorazione di semicerchi in metallo, per colpa generica e specifica, e segnatamente per avere omesso di dotare la pressa meccanica di un idoneo comando di avviamento in sicurezza (in violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 77), aveva cagionato a F.L. lesioni personali consistite nello schiacciamento e nell'amputazione parziale di tre falangi della mano destra, ad opera di un punzone del quale la lavoratrice, durante l'esecuzione del lavoro, aveva accidentalmente provocato la partenza.
In motivazione osservava il giudicante, per quanto qui interessa, che la tesi secondo cui esisteva una delega espressa, ancorchè non scritta, delle funzioni inerenti al settore della sicurezza e prevenzione infortuni al direttore di stabilimento, D.B.M., non era condivisibile: e invero, l'esistenza di tale delega non poteva essere presunta in ragione della organizzazione aziendale, posto che, a prescindere dalla correttezza dell'approccio ermeneutico secondo cui, in caso di azienda di ampie dimensioni, articolata in settori, rami e servizi retti da soggetti qualificati ed idonei, può derogarsi al principio della delega scritta, all'epoca dei fatti per cui è processo l'imputato era amministratore unico di C.L.M., s.r.l., impresa con circa cinquanta dipendenti, in relazione alla quale non erano dunque enucleabili le condizioni per l'operatività della delega implicita o "presuntaa, ipotizzata in qualche caso dalla giurisprudenza.
Rilevava anche la Corte che assolutamente indimostrata era la competenza del D.B. in materia di prevenzione infortuni, alla luce del curriculum e dell'età anagrafica dello stesso, nonchè della mancanza di prova della titolarità di autonomi poteri di intervento e di spesa.
Correttamente poi, secondo il decidente, era stata negata l'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, non avendo la persona offesa dichiarato di accettare la somma di Euro 13.000,00, peraltro non proporzionata alla gravità delle lesioni patite e alle spese verosimilmente sostenute, a tacitazione totale e definitiva della sue pretesee.
Infine il giudice a quo stimava di non concedere il beneficio della non menzione, in ragione della gravità dei postumi permanenti derivati dalle lesioni.

1.2 Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione, nell'interesse del suo assistito, il difensore di R.F., chiedendone l'annullamento con ogni conseguente pronuncia per i seguenti motivi:
- inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 40 c.p., e D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 e art. 27 Cost., per avere il giudice di merito, sulla base di argomentazioni astratte e formalistiche, escluso che nella fattispecie vi fosse stata una delega espressa, ancorchè non scritta, dei poteri e delle responsabilità datoriali inerenti alla gestione di C.L.M. s.r.l., comprese dunque le funzioni relative alla sicurezza, da parte dell'imputato, nella sua qualità di amministratore unico della società, a D.B.M., direttore dello stabilimento.
In tal modo il giudice di merito non solo avrebbe fatto malgoverno delle risultanze istruttorie, ma avrebbe altresì ignorato i principi enunciati dal Supremo Collegio in punto ai non necessarietà della delega scritta in caso di azienda di ampie dimensioni, articolata in settori, rami e servizi, con preposizione di soggetti qualificati ed idonei: organizzazioni nelle quali, anche in applicazione dell'art. 27 Cost., e della regola logica per cui ad impossibilia nemo tenetur, la delega deve, in sostanza, ritenersi in re ipsa. Evidenzia segnatamente il ricorrente come il R. non fosse soltanto amministratore unico di C.L.M., ma anche consigliere delegato della società capogruppo A.D.R., oltre che presidente del Consiglio di amministrazione e componente dei consigli di amministrazione di altre società del gruppo;
- violazione dell'ari. 192 c.p.c., e vizio di motivazione, per avere il giudice di merito negato la sussistenza di una valida delega delle funzioni in materia di prevenzione degli infortuni in favore di D.B.M., benchè questi ricoprisse il ruolo di direttore di stabilimento e fosse come tale incaricato di organizzare l'attività produttiva in condizioni di sicurezza, tanto più che l'istruttoria espletata aveva dimostrato che l'imputato si recava presso C.L.M. non più di tre volte all'anno.
Erroneamente sarebbe poi stata esclusa l'idoneità professionale del D.B. allo svolgimento di siffatte mansioni, anche in ragione della sua età anagrafica senza considerare, da un lato, che i middle manager hanno mediamente 41 anni (quanti ne aveva il D.B. al momento dell'infortunio); dall'altro che le prove raccolte avevano ampiamente dimostrato le sue positive capacità;
- inosservanza degli artt. 40 e 41 c.p., e del principio dell'affidamento, per non avere il giudice di merito considerato che la violazione, da parte della lavoratrice, delle procedure aziendali e delle disposizioni ricevute costituiva condotta idonea a interrompere il nesso causale tra le pretese negligenze datoriali e l'evento verificatosi, e ciò tanto più che il mancato rispetto da parte del lavoratore delle disposizioni che gli vengono impartite lede il legittimo affidamento del datore di lavoro;
- violazione dell'art. 62 c.p., n. 6, e manifesta illogicità della motivazione, per avere il decidente negato il riconoscimento dell'attenuante invocata, malgrado la produzione di una quietanza in cui si dava atto dell'accettazione della somma di Euro 14.591,20 a tacitazione totale e definitivaa;
- violazione dell'art. 175 c.p., e contraddittorietà della motivazione in ordine al mancato riconoscimento del beneficio della non menzione, in contrasto con la prognosi favorevole formulata dal decidente sul suo futuro comportamento, posta alla base del riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena.
2.1 Il ricorso è infondato.
Con i primi due motivi, per vero connessi e suscettibili in quanto tali di essere esaminati congiuntamente, il ricorrente ripropone la problematica della esistenza di una valida delega, espressa, seppur non scritta, delle funzioni su di lui incombenti in materia di sicurezza, al direttore dello stabilimento D.B.M., chiedendo, sulla base della stessa, la rivisitazione del giudizio di colpevolezza del prevenuto.
Sul punto ricorda il collegio che, se è vero che in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro, tuttavia, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo; deve investire persona tecnicamente capace, dotata cioè delle necessaria cognizioni tecniche, nonchè dei relativi poteri decisionali e di intervento (anche di spesa); deve infine essere specificamente accettata (Cass. pen. sez. 4^, 22 ottobre 2002, n. 25157; Cass. pen., sez. 4^, 1 aprile 2004, n. 24055).
Solo con riguardo alle imprese di grandi dimensioni, in cui la ripartizione delle funzioni è imposta dall'organizzazione aziendale, la giurisprudenza ha cautamente prospettato la possibilità di contemperare tale principio con l'accertamento, in concreto, della predisposizione gerarchica delle responsabilità all'interno delle posizioni di vertice, e cioè con la verifica dell'esistenza di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l'imprenditore da responsabilità di livello intermedio e finale (confr. Cass. pen., sez. 4^, 9 luglio 2003, n. 37470; Cass. pen., sez. 4^, 26 aprile 2000, n. 7402).
Venendo al caso di specie, ritiene la Corte che, affermando la responsabilità «del prevenuto, il giudice di merito abbia fatto corretta e coerente applicazione dei principi innanzi enunciati: all'uopo è sufficiente rilevare che dell'infortunio occorso alla lavoratrice il R. è stato chiamato a rispondere nella sua qualità di amministratore delegato di C.L.M. s.r.l., di guisa che è alle dimensioni, per vero non particolarmente notevoli, di questa società che era necessario avere riguardo.
Nessun rilievo può invece assumere la consistenza, asseritamente ben più spiccata, di A.D.R. s.p.a., società madre, nel cui gruppo C.L.M. era inserita e nel cui consiglio di amministrazione l'imputato sedeva come componente.
Non par dubbio infatti che i moduli organizzativi di A.D.R. potevano e dovevano venire in rilievo ove il titolo di imputazione del reato fosse stato rinvenuto nelle funzioni gestorie svolte nell'ambito e per conto della stessa, mentre restano del tutto neutri laddove, come nella fattispecie, la responsabilità si radichi in capo alla controllata e ai relativi organi amministrativi.
Nè hanno pregio le doglianze relative alla ritenuta insussistenza di una valida delega di responsabilità in materia di prevenzione infortuni dal R. a D.B.M.: a prescindere dalla mancanza di un atto formale di investitura, correttamente la circostanza che questi venisse considerato dai dipendenti e si qualificasse egli stesso direttore di stabilimento è stata ritenuta ininfluente ai fini della dimostrazione dell'esistenza di quelle competenze e di quei poteri di intervento e di spesa, necessari, per quanto innanzi detto, alla liberazione del delegante; mentre il fatto che l'imputato si recasse presso C.L.M. non più di tre volte l'anno, più che un elemento idoneo a scriminarlo, è semmai la riprova della scarsa attenzione che gli è stata rimproverata.
Ne deriva che torna pienamente operativo il principio, ormai assurto a diritto vivente, per cui tenuti al rispetto delle norme di prevenzione, salvo delega validamente conferita, sono non già imprenditori, dirigenti e preposti alternativamente tra loro, ma tutti cumulativamente tali figure, nell'ambito delle rispettive competenze e sfere di intervento (confr. Cass. pen., sez. 4^, 18/12/2002, n. 43343).
2.2 Destituito di fondamento è altresì il motivo di ricorso volto a rappresentare in termini di causa sufficiente a interrompere ogni eventuale nesso causalee tra condotta del prevenuto ed evento, l'asserita violazione delle procedure aziendali e delle istruzioni ricevute da parte della lavoratrice.
Costituisce invero affermazione praticamente costante nella giurisprudenza di questo giudice di legittimità che le norme antinfortunistiche mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine a incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, di guisa che la responsabilità dell'imprenditore e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottarle può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del dipendente che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, e che sia, come tale, del tutto imprevedibile e inevitabile. In tale prospettiva si ritiene che, ove l'infortunio sia originato dall'assenza o dalla inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento dell'infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatta condotta (confr. Cass. pen., sez. 4^, 3 novembre 2004, n. 3455).
Nella fattispecie il giudice di merito ha esplicitato in maniera assolutamente esaustiva e convincente che l'osservanza delle istruzioni aziendali, e segnatamente della postura eretta durante l'esecuzione del lavoro, non sarebbe valsa affatto a scongiurare l'incidente, e che in ogni caso l'urto accidentale di un interruttore non segregato, come avrebbero imposto le norme di sicurezza, non fu dovuto a un comportamento della lavoratrice idoneo a essere qualificato in termini di eccezionalità e abnormità.

2.3 Le censure con le quali il ricorrente contesta il mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, ripropongono le stesse argomentazioni già motivatamente disattese dalla Corte d'appello. Nella sentenza impugnata il decidente ha invero evidenziato che nessun atto di quietanza sottoscritto dalla F. risultava acquisto in atti e che in ogni caso l'importo liquidato alla lavoratrice dalla compagnia assicuratrice della società era assolutamente sperequato rispetto alla entità delle conseguenze invalidanti prodotte dall'infortunio.
L'assenza di qualsivoglia correlazione tra l'apparato motivazionale della decisione e il motivo di ricorso vale a connotarlo in termini di aspecificità.
2.4 Infine le deduzioni svolte in punto di diniego del beneficio della non menzione della condanna non colgono nel segno a sol considerare che la richiesta è stata motivatamente disattesa in ragione della obiettiva gravità del fatto: la relativa determinazione, in quanto frutto dell'esercizio di un potere discrezionale adeguatamente motivato, è incensurabile in questa sede di legittimità.

P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 febbraio 2008.
Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2008