Cassazione Penale, Sez. Feriale, 05 ottobre 2018, n. 44301 - Incendio provocato da una smerigliatrice collocata in prossimità di una latta con del solvente. Sottovalutazione del rischio specifico di incendio


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: SCOTTI UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE Data Udienza: 21/08/2018

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte di appello di Brescia con sentenza del 15/1/2018, in riforma della sentenza assolutoria per insussistenza del fatto del Tribunale di Bergamo del 13/4/2015, appellata dal Procuratore generale, ha dichiarato l'imputato, E.M.P., in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della s.r.l. Roplast, responsabile del delitto ascrittogli di lesioni colpose in danno di A.M. ex art.590, commi 1,2,3 cod.pen., e, previamente concessegli le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, lo ha condannato alla pena, sospesa e con il beneficio della non menzione, di mesi uno di reclusione.
2. L'imputato, quale datore di lavoro, è stato così ritenuto responsabile delle lesioni gravi subite dal dipendente A.M. (ustioni agli arti inferiori con inabilità di 105 giorni), a titolo di colpa per violazione dell'art. 255, comma 1, lett. b), 17, comma 1, lett. a), e 28, comma 1, lett. b), d.lgs. 81/2008, per la sottovalutazione del rischio specifico di incendio provocato dall'utilizzo di sostanze infiammabili e per la mancata adozione di adeguate misure organizzative e procedurali, con il divieto di utilizzo del solvente Frekote 44 NC in prossimità della zona di lavoro ove veniva utilizzata la smerigliatrice, e dell'art.37, comma 1, d.lgs.81/2008 per l'inadempimento agli obblighi di informazione, formazione e addestramento in tema del rischio specifico di incendio provocato dall'utilizzo di sostanze infiammabili nell'ambito delle mansioni svolte.
3. Gli elementi essenziali dell'infortunio sono stati così descritti nella sentenza impugnata.
A.M. lavorava dal 2005 presso la Roplast, impresa che si occupa di stampaggio di materie plastiche.
Il 12/4/2011 il A.M. stava lavorando su di uno stampo, utilizzando il flessibile (ossia la smerigliatrice); nei pressi c'era una latta contente il solvente Frekote, che veniva utilizzato dagli operanti prima di posizionare il materiale sugli stampi, in modo da poter staccare successivamente più facilmente il prodotto finale; il solvente nel bidone aveva preso fuoco a cause delle scintille prodotte dalla smerigliatrice; resosene conto, il A.M. aveva poggiato il flessibile a terra, ma il bidone era caduto a causa di un urto, insieme al cotone usato per stenderlo; il solvente si era incendiato e le fiamme si erano appiccate ai suoi piedi; l'operaio era stato soccorso da alcuni colleghi che gli avevano tolto gli abiti e spento le fiamme; a causa dell'infortunio A.M. era stato assente dal lavoro per tre mesi ed era stato risarcito dall'Inail con la somma di € 6.000,00 circa.
4. Ha proposto ricorso l'avv. Ettore P., difensore di fiducia dell'imputato, svolgendo due motivi.
4.1. Con il primo motivo, proposto ex art.606, comma 1, lett. c), cod.proc.pen., il ricorrente lamenta violazione della legge penale processuale in relazione all'art.603, comma 3 bis cod.proc.pen. per la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.
La Corte di appello si era limitata a disporre la rinnovazione dell'assunzione della prova dichiarativa in punto dinamica dell'infortunio, con la nuova escussione della persona offesa A.M. e del teste M. rigettando la richiesta di una nuova audizione del consulente tecnico di parte A.G., in violazione dell'art.603, comma 3 bis cod.proc.pen., sia alla ratio sottesa a tale normativa ispirata ai principi dell'art.6 della CEDU.
La rinnovazione non era stata estesa agli elementi di fatto necessari per la valutazione dell'eventuale colpa del datore di lavoro, benché l'atto di appello del Pubblico Ministero avesse investito anche tale profilo.
Nell'escludere la necessità della riaudizione del Consulente tecnico la Corte aveva fatto riferimento all'art.603 , comma 3, e non al successivo comma 3 bis, che prevedeva la rinnovazione della deposizione del consulente di parte, a prescindere dalla necessità per la decisione e aveva trascurato inoltre il fatto che tale elemento atteneva, anch'esso, alla prova della dinamica dell'infortunio.
Inoltre, la Corte di appello aveva fondato la sentenza su elementi emersi per la prima volta in secondo grado, difformi da quanto dichiarato in primo grado e sui quali l'imputato non era stato posto in condizione di difendersi (dichiarazioni della persona offesa sulle dichiarazioni attribuitele dal teste M. circa il calcio sferrato alla latta di solvente).
Infine, la sentenza di primo grado si basava anche sulle dichiarazioni dei testi B., P., (che pure avevano entrambi riferito particolari utili alla ricostruzione dei fatti), M. e del C.t.p. A.G., tutte parimenti decisive, ed inoltre sui profili colposi a carico dell'imputato, al cui proposito l'appellante aveva contestato espressamente le valutazioni del consulente A.G. e del teste P., utilizzate dalla sentenza di primo grado.
4.2. Con il secondo motivo, proposto ex art.606, comma 1, lett e), cod.proc.pen., il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in punto rivalutazione delle prove rispetto al giudizio di primo grado, sotto cinque distinti profili.
4.2.1. In primo luogo, il ricorrente lamenta manifesta illogicità in riferimento all'accertamento di responsabilità penale quanto all'accertamento del fatto.
La Corte territoriale non aveva proceduto alla ricostruzione del fatto, se non in termini eventuali e possibilistici, considerando anche l'ipotesi del calcio sferrato alla latta da parte della persona offesa e confermando anche per tale ipotesi la responsabilità penale dell'Imputato sulla scorta di un viziato ragionamento circolare, secondo cui la violazione della norma cautelare da parte dell'imputato rendeva irrilevante il collegamento causale dell'infortunio a una condotta colposa del lavoratore.
4.2.2. In secondo luogo, il ricorrente lamenta manifesta illogicità della motivazione rispetto alle testimonianze P. e B., poiché, non correttamente, la Corte aveva ritenuto che il fatto storico oggetto di esame dovesse essere ristretto solo all'evento finale e non estendersi alla complessiva situazione spazio-temporale, comprensiva della posizione della latta di solvente, prima e dopo l'infortunio.
4.2.3. In terzo luogo, il ricorrente lamenta manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione rispetto alla diversa ricostruzione dei fatti svolta dalla persona offesa nel corso del processo di appello (in ordine alla posizione relativa della scala e del carrello porta stampi e all'individuazione del tavolo o bancone ove sarebbe stata posizionata la latta, e alla propria collocazione nell'utilizzo del flessibile), condotta ignorando le valutazioni del consulente di parte e le dichiarazioni del teste P. circa la posizione finale della latta di solvente.
4.2.4. In quarto luogo, il ricorrente lamenta mancanza di motivazione in ordine al profilo di colpa specifica di cui alla lettera A) del capo di imputazione, specie con riferimento alle valutazioni espresse dai testi P. e A.G. circa la scarsa infiammabilità del Frekote, la cui etichetta riporta solo la menzione di «prodotto irritante», la cui pericolosità era stata desunta ex post solo dal fatto che i vapori del solvente avevano preso fuoco.
4.2.5. In quinto luogo, il ricorrente lamenta travisamento della prova in ordine al profilo di colpa specifica di cui alla lettera B) del capo di imputazione, con particolare riferimento alle dichiarazioni rese dal teste Z. all'udienza del 15/2/2015 e al verbale di contravvenzione -prescrizione n.25/11 della ASL di Bergamo.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge penale processuale in relazione all'art.603, comma 3 bis, cod.proc.pen. per la mancata rinnovazione (integrale) dell'istruttoria dibattimentale.
1.1. La Corte di appello di Brescia con ordinanza emessa in data 1/12/2017 ha disposto la rinnovazione dell'assunzione della prova dichiarativa in punto dinamica dell'infortunio, con la nuova escussione della persona offesa A.M. e del teste M. sul presupposto che il Procuratore generale avesse impugnato la sentenza assolutoria contestando l'affermazione del Tribunale circa l'insufficiente prova della dinamica dell'incidente, e ha dato quindi corso alla rinnovata escussione solo di coloro che, a suo parere, fossero in grado di riferire, direttamente o de relato, su tale dinamica.
La Corte territoriale, con successiva ordinanza del 15/1/2018 ha disatteso la richiesta espressa della difesa di una nuova audizione del consulente tecnico di parte A.G., assumendo che tale approfondimento non fosse imposto dall'art.603 cod.proc.pen., poiché atteneva alla valutazione della prova dichiarativa e non fosse comunque necessario ai fini del decidere.
1.2. In primo luogo, occorre considerare, come correttamente osservato dal ricorrente, che nella fattispecie doveva trovare diretta applicazione il disposto del comma 3 bis dell'art.603 cod.proc.pen., in tema di « Rinnovazione dell'istruzione dibattimentale», introdotto dall'art. 1, comma 58, della legge 23/6/2017, n. 103, secondo il quale, nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice deve disporre la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale.
La disposizione in questione, ai sensi dell'art. 1, comma 95, della stessa legge 103/2017, è entrata in vigore il trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale (avvenuta in data 4 luglio 2017), ossia il 3 agosto 2017, ed era quindi in vigore nel momento in cui è stato celebrato il giudizio di appello e sono state emesse le decisioni della Corte bresciana sulla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.
Alla stregua del principio tempus regit actum, valido in materia processuale, la Corte territoriale doveva quindi dare applicazione alla regola processuale vigente al momento della celebrazione del processo (e non a quella vigente al momento della proposizione del gravame) e formulata per disciplinare l'esercizio dei poteri istruttori del giudice di secondo grado.
Tale disposizione, dichiaratamente introdotta dal legislatore in sintonia con gli orientamenti della Corte europea dei diritti dell'uomo, come risulta dalla stessa relazione illustrativa, presenta un contenuto solo apparentemente più incisivo rispetto agli approdi interpretativi a cui sulla base del diritto vigente e della giurisprudenza della CEDU era pervenuta l'evoluzione giurisprudenziale di questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica.
1.3. Nelle pronunce di questa Corte di Cassazione é da tempo consolidato il principio che il giudice d'appello è tenuto a un particolare sforzo motivazionale che escluda residui ragionevoli dubbi sull'affermazione di colpevolezza che si risolve nell'obbligo di «motivazione rafforzata» (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226093; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Marinino, Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, dep. 2006, Aglieri, Rv. 233083; Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 2015, S., Rv. 262524; Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013, dep. 2014, Ciaramella, Rv. 262261; Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, Paparo, Rv. 256869; Sez. 2, n. 11883 del 08/11/2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 254725; Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 254113; Sez. 6, n. 46847 del 10/07/2012, Aimone, Rv. 253718): il giudice di appello in tal caso ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato.
Il dato normativo di riferimento è la previsione contenuta nell'art.6, par.3, lett. d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU (nel cui ambito la decisione guida è costituita dalla sentenza Dan c. Moldavia del 5/11/2011) costituente parametro interpretativo delle norme processuali interne (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487).
A tal proposito, nella giurisprudenza di legittimità si è progressivamente affermato l'orientamento secondo cui il giudice di appello non può pervenire a condanna in riforma della sentenza assolutoria di primo grado basandosi esclusivamente, o in modo determinante, su una diversa valutazione delle fonti dichiarative delle quali non abbia proceduto, anche d'ufficio, a norma dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., a una rinnovata assunzione (Sez. 6, n. 47722 del 6/10/2015, Arcane, Rv. 265879; Sez. 5, n. 29827 del 13/3/2015, Petrusic, Rv. 265139; Sez. 5, n. 52208 del 30/09/2014, Marino, Rv. 262115; Sez. 6, n. 44084 del 23/09/2014, Mihasi, Rv. 260623; Sez. 2, n. 6403 del 16/9/2014, dep. 2015, Preite, Rv. 262674; Sez. F, n. 53562 del 11/09/2014, Lembo, Rv. 261541; Sez. 2, n. 45971 del 15/10/2013, Corigliano, Rv. 257502; Sez. 5, n. 47106 del 25/09/2013, Donato, Rv. 257585; Sez. 3, n. 32798 del 5/6/2013, N.S., Rv. 256906; Sez. 6, n. 16566 del 26/02/2013, Caboni, Rv. 254623; Sez. 5, n. 38085 del 5/7/2012, Luperi, Rv. 253541).
Nella fondamentale sentenza n. 27620 del 2016, Dasgupta, le Sezioni Unite hanno precisato che l'affermazione di responsabilità dell'imputato pronunciata dal giudice di appello, in riforma di una sentenza assolutoria fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive non rinnovate, integra di per sé un vizio di motivazione della sentenza di appello, ex art. 606, comma 1, lett. e), per mancato rispetto del canone di giudizio «al di là di ogni ragionevole dubbio» di cui all'art. 533, comma 1. In tal caso, qualora il ricorrente abbia ammissibilmente impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza effettuare uno specifico riferimento al principio contenuto nell'art. 6, par. 3, lett. d), della CEDU, la Corte di Cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata.
Le Sezioni Unite hanno inoltre puntualizzato che gli stessi principi trovano applicazione nel caso di riforma della sentenza di proscioglimento di primo grado, ai fini delle statuizioni civili, sull'appello proposto dalla parte civile.
Tali principi sono stati poi ulteriormente ribaditi dalle Sezioni Unite, che, con la sentenza «Patalano», n. 18620 del 19/1/2017, li hanno ritenuti applicabili anche nel caso in cui il giudizio di primo grado sia stato celebrato secondo il rito abbreviato, ravvisando il vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.pen., per mancato rispetto del canone di giudizio «al di là di ogni ragionevole dubbio», di cui all'art. 533, comma 1, cod. proc. pen., nella sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all’esito di un giudizio abbreviato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all'esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni.
In relazione a tale orientamento occorre però mettere a fuoco il concetto di «prova decisiva».
La sentenza «Dasgupta» delle Sezioni Unite puntualizza che «devono ritenersi prove dichiarative decisive quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato o anche soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio, e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso del materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee a incidere sull'esito del giudizio di appello, nell'alternativa proscioglimento-condanna» e che sono «parimenti decisive quelle prove dichiarative che, ritenute di scarso o nullo valore probatorio dal primo giudice, siano, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti, da sole o insieme ad altri elementi di prova, ai fini dell'esito di condanna».
Sempre secondo le Sezioni Unite, non potrebbe invece ritenersi «decisivo» un apporto dichiarativo il cui valore probatorio, che, in sé considerato, non possa formare oggetto di diversificate valutazioni tra primo e secondo grado e si combini con fonti di prova di diversa natura non adeguatamente valorizzate o erroneamente considerate o addirittura pretermesse dal primo giudice, ricevendo soltanto da queste, nella valutazione del giudice di appello, un significato risolutivo ai fini dell'affermazione della responsabilità (Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Arcone, Rv. 265879; Sez. 2, n. 41736 del 22/09/2015, Di Trapani, Rv. 264682; Sez. 3, n. 45453 del 18/09/2014, P., Rv. 260867; Sez. 6, n. 18456 del 01/0712014, dep. 2015, Marziali, Rv. 263944).
Neppure può ravvisarsi la necessità della rinnovazione della istruzione dibattimentale qualora della prova dichiarativa non si discuta il contenuto probatorio, ma la sua qualificazione giuridica, come nel caso di dichiarazioni ritenute dal primo giudice come necessitanti di riscontri ex art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., e inquadrabili dall'appellante in una ipotesi di testimonianza pura (Sez. 3, n. 44006, del 24/09/2015, B., Rv. 265124).
Per contro, non rileva, ai fini della esclusione della doverosità della riassunzione della prova dichiarativa, che il contenuto di essa, come raccolto in primo grado, non presenti «ambiguità» o non necessiti di «chiarimenti» o «integrazioni», proprio in quanto una simile valutazione compiuta dal giudice di appello si fonderebbe non su un apprezzamento diretto della fonte dichiarativa ma sul resoconto documentale di quanto registrato in primo grado, e così verrebbe a riprodursi il vizio di un apprezzamento meramente cartolare degli elementi di prova su cui il giudice di appello è chiamato dall'appellante a trarre il convincimento di un esito di condanna.
1.4. Tale disciplina anteriore all'intervento legislativo, elaborata dall'orientamento interpretativo illustrato, attinente alla ammissibilità di un ribaltamento della sentenza assolutoria basata sulla rivalutazione di prove dichiarative decisive non oggetto di rinnovata assunzione da parte del giudice di appello,secondo il Collegio, non ha subito una radicale modifica ad opera della legge 103 del 2017.
La nuova disciplina, per vero circoscritta all'impugnazione del Pubblico ministero e non riferibile all'impugnazione della parte civile (diversamente da quanto affermato da Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267489), impone al giudice di secondo grado (con il ricorso al presente d'obbligo) la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa.
Deve peraltro ritenersi che il legislatore si sia implicitamente riferito a prove decisive, sia perché la relazione illustrativa dichiara espressamente l'intento di conformare il nostro ordinamento processuale alla Convenzione dei diritti dell'uomo, così come interpretata dalla Corte di Strasburgo, sia perché il criterio emeneutico del « legislatore consapevole» induce a presumere che la norma sia stata dettata nel solco dell'orientamento giurisprudenziale segnato dalla doppia recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Per altro verso, la tesi che l'obbligo di rinnovazione operi già in sede di emissione dei provvedimenti istruttori e debba estendersi a tutte le prove dichiarative assunte in primo grado o, perlomeno, a tutte quelle poste a sostegno della decisione di primo grado e oggetto dell'appello della pubblica accusa, a prescindere dal carattere decisivo della prova e dalla struttura motivazionale della sentenza di secondo grado, non appare logica e persuasiva.
Essa, inoltre, si pone in linea di collisione con i principi di ragionevolezza e buona amministrazione (poiché vorrebbe imporre la rinnovazione di prove del tutto inutili ai fini della decisione) e con lo stesso principio di eguaglianza fra le parti processuali: infatti la giustificazione che presiede alla rinnovazione delle prove in caso di appello del Pubblico Ministero avverso sentenza assolutoria di primo grado affonda le sue radici nell'esigenza di rafforzamento della sentenza di condanna, oltre ogni ragionevole dubbio, e non può quindi riguardare prove ininfluenti in tal prospettiva.
1.6. La giurisprudenza di questa Corte si è divisa sull'estensione dell'obbligo di rinnovazione per le dichiarazioni (decisive) di periti e consulenti; alcune sentenze hanno ritenuto che il giudice di appello, per riformare in peius una sentenza assolutoria, non possa basarsi sulla mera rivalutazione delle perizie e delle consulenze in atti, ma debba procedere al riascolto degli autori dei predetti elaborati già sentiti nel dibattimento di primo grado, altrimenti determinandosi una violazione del principio del giusto processo ai sensi dell’art. 6 CEDU, così come interpretato dalla sentenza Dan c. Moldavia del 5 luglio 2011 della Corte europea dei diritti dell'uomo (Sez. 4, n. 6366 del 06/12/2016 - dep. 2017, Maggi e altro, Rv. 2690350; Sez. 2, n. 34843 del 01/07/2015, Sagone, Rv. 264542); altre pronunce hanno invece ritenuto che in caso di riforma in appello della sentenza di assoluzione, non sussiste l'obbligo per il giudice di procedere alla rinnovazione dibattimentale della dichiarazione resa dal perito o dal consulente tecnico, non trattandosi di una prova dichiarativa decisiva assimilabile a quella del testimone (Sez. 3, n. 57863 del 18/10/2017, Colleoni, Rv. 271812; Sez. 5, n. 1691 del 14/09/2016 - dep. 2017, Abbruzzo e altri, Rv. 269529). 
In siffatto contesto la Sezione 2°, con ordinanza del 23/5/2018 (r.g. 24199/2017, imp. Pavan, al momento dell'udienza nota solo attraverso la "notizia di decisione" e poi depositata in data 26/9/2018) ha rimesso la questione alle Sezioni Unite. La questione non è però rilevante ai fini della presente decisione per le ragioni che verranno illustrate.
1.7. Secondo il Collegio, la Corte di appello non avrebbe dovuto, a fronte dell'impugnazione del Pubblico Ministero, risentire tutti i testi escussi in primo grado e non solo quelli relativi alla sola «dinamica dell'infortunio», se il loro contributo non fosse stato ritenuto decisivo per la costruzione del verdetto di colpevolezza in riforma della sentenza assolutoria di primo grado.
1.8. Le conclusioni non muterebbero neppure prescindendo dall'art.603, comma 3 bis, cod.proc.pen. e ragionando esclusivamente nella prospettiva disegnata dalla giurisprudenza di legittimità in tema di rinnovazione dell'istruttoria in caso di ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado.
La sentenza di primo grado aveva riassunto analiticamente le deposizioni della persona offesa A.M., dei testi P., B., M. (dipendenti Roplast), Z. (funzionario ASL), S. (Ufficiale di P.G.), P. (responsabile esterno del servizio di prevenzione e protezione) e del consulente di parte A.G..
La motivazione assolutoria della sentenza di primo grado si è basata, da un lato, sulle caratteristiche di scarsa infiammabilità del prodotto Frekote, sulla adeguatezza della valutazione del rischio correlativo e sulla mancanza di prova di una sufficiente e adeguata attività di formazione preventiva al proposito, essenzialmente con riferimento alle informazioni fornite dai tecnici P. e A.G. (sentenza di primo grado, pag.7); dall'altro, sulla mancanza di una prova sufficiente della dinamica dell'incidente, che impediva l'accertamento del rapporto eziologico fra l'evento e la concreta condotta ascritta all'imputato, determinata, in positivo, sul complesso di deposizioni raccolte, e, in negativo, alla luce del contrasto fra la ricostruzione offerta in primo grado dalla persona offesa e gli accertamenti riferiti dal Consulente di parte A.G. (sentenza di primo grado, pag.8).
L'appello dispiegato dal Procuratore generale faceva leva sulle deposizioni dei testi P. e B. al fine di ricostruire le normali condizioni operative all'interno dello stabilimento e le informazioni a disposizione del A.M.; sulle dichiarazioni del consulente A.G. sulle caratteristiche di infiammabilità del prodotto solvente; sulle dichiarazioni dell'ing. P., responsabile esterno del servizio di prevenzione e protezione Roplast, sulle caratteristiche del sovente e la valutazione dei rischi; su di una severa critica delle valutazioni tecniche del consulente A.G.. 
1.8. La sentenza di appello ha ricostruito l'infortunio, nelle sue linee essenziali sulla base del fatto, pacifico, che le scintille prodotte dalla smerigliatrice avevano raggiunto il cotone imbevuto di solvente posato sopra il bidone, privo di tappo ed esalante vapori, nei pressi del lavoratore, e della deposizione rinnovata della persona offesa, ritenuta comunque caratterizzata da varianti solo modeste rispetto alla versione fornita in primo grado (circa il posizionamento relativo di scala, carrello porta stampi e bidone e circa la sua posizione di lavoro inginocchiata, e non ritta, sotto il carrello porta stampo).
Al proposito la Corte territoriale ha ritenuto che non vi fossero valide ragioni per ricostruire l'accaduto in modo difforme da quanto dichiarato dal A.M., che trovava riscontro anche nella bruciacchiatura di due batuffoli di cotone posti sul piano di lavoro del bancone più arretrato e ha mostrato di non ritenere viceversa attendibile la tesi accreditata dalla deposizione del teste M. e basata su presunte confidenze ricevute dal A.M., reputate scarsamente verosimili alla luce dei rapporti di costui con l'infortunato e del suo interesse, quale preposto, ad avallare una versione dei fatti assolutoria per l'azienda, circa un calcio sferrato da A.M. al bidone del solvente.
E tuttavia, pur non ritenendo provata la versione alternativa, la Corte di appello ha ritenuto che quand'anche le cose fossero andate come ipotizzato dalla difesa e che, come sostenuto dal M. il A.M., spaventato dalle fiamme che stavano sprigionandosi dalla latta, avesse dato un calcio al bidone (non caduto semplicemente per un urto involontario dal bancone su cui si trovava), la sua condotta non avrebbe eliminato il nesso causale fra l'incidente e i comportamenti colposi dell'imprenditore, che aveva consentito che il lavoratore operasse con strumenti idonei a provocare scintille in vicinanza di una latta di solvente infiammabile.
In altri termini, la Corte di appello, pur accreditando la ricostruzione dei fatti basata sulla deposizione della persona offesa, ha ritenuto che l'area di incertezza determinata dall'ipotesi del calcio alla latta di solvente ovvero dalle obiezioni tecniche del consulente di parte A.G. che avevano paralizzato il Giudice di primo grado, fosse del tutto ininfluente, poiché le modeste e non significative varianti si riferivano comunque a una situazione operativa in cui al lavoratore era stato permesso di operare con la macchina smerigliatrice negli immediati pressi del bidone, aperto, di solvente, precedentemente utilizzato, ossia in una situazione oggettivamente pericolosa, rispetto alla quale non risultava apprestata dall'Impresa alcuna cautela organizzativa preventiva.
In ogni caso, secondo la Corte di appello, il bidone era in prossimità del lavoratore in un luogo in cui si sprigionavano scintille e aleggiavano vapori del solvente, non a distanza di sicurezza, come del resto confermava l'incendio sviluppatosi.
Per altro verso, quand'anche vi fosse stata una reazione anomala e scomposta del lavoratore spaventato dalle fiamme in uno spazio angusto, tale condotta non avrebbe comunque reciso il nesso causale con la condotta colposa dell'imprenditore.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta colposa del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603); infatti, non integra il «comportamento abnorme» idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento lesivo o mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di quest'ultimo di un'operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013 - dep. 2014, Rovaldi, Rv. 259313).
Poiché l'incidente si era verificato a causa del fatto che al lavoratore era stato consentito di operare con strumento idoneo a produrre scintille in prossimità di un bidone contente sostanze infiammabili, il residuo margine di incertezza della ricostruzione in fato, oscillante fra varianti sostanzialmente ininfluenti, è stato ritenuto irrilevante.
Ciò spiega perché non assumeva rilievo, per di più decisivo, il contributo dichiarativo del consulente A.G., che verteva su critiche tecniche alle dichiarazioni della persona offesa, che comunque non erano idonee a sovvertire i due punti fondamentali sulla base dei quali la Corte territoriale si era indotta al giudizio riformatore nel senso della colpevolezza (infiammabilità e vicinanza del bidone).
1.9. La questione dell'infiammabilità del solvente, ritenuta scarsa dal Tribunale, è stata classificata dalla Corte di appello come meramente terminologica, perché quale che fosse l'etichettatura impressa dal produttore, il solvente era soggetto ad infiammarsi, come era in concreto pacificamente avvenuto nel caso di specie e come, del resto, risultava fosse accaduto in altre occasioni nei pressi dei lavoratori intenti all'utilizzo del flessibile; secondo la Corte di appello, per evitare l'incidente, sarebbe stato sufficiente che il datore di lavoro, valutata correttamente l'esistenza del pericolo di incendio, avesse adottato misure organizzative e procedurali per vietare l'uso dell'agente chimico in prossimità della zona di lavoro in cui veniva utilizzata la smerigliatrice (ad esempio, l'allontanamento del bidone del solvente, dopo il suo utilizzo, e prima del ricorso alla smerigliatrice).
Per altro verso, la Corte territoriale ha rilevato che il lavoratore non era stato affatto reso edotto circa la caratteristiche del prodotto e i rischi a questo connessi, con la conseguente integrazione di uno dei profili colposi contestati.
1.10. In sintesi, la Corte territoriale non ha affatto motivato la propria decisione nel senso della colpevolezza, così ribaltando la decisione assolutoria di primo grado, sulla base di una riconsiderazione del contributo dichiarativo dei testi escussi in primo grado e neppure di quello del consulente, ma ha modificato il giudizio di diritto applicato al risultato della ricostruzione, pur sempre basato sulle risultanze istruttorie di primo grado, integrate, comunque in modo non decisivo, dalla riaudizione della persona offesa e del M..
Il primo motivo di ricorso deve pertanto essere rigettato.
2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta manifesta illogicità in riferimento all'accertamento di responsabilità penale quanto all'accertamento del fatto.
2.1. In primo luogo, secondo il ricorrente, la Corte territoriale non aveva proceduto alla ricostruzione del fatto, se non in termini eventuali e possibilistici, considerando anche l'ipotesi del calcio sferrato alla latta da parte della persona offesa e confermando anche per tale ipotesi la responsabilità penale dell'imputato sulla scorta di un viziato ragionamento circolare, secondo cui la violazione della norma cautelare da parte dell'imputato rendeva irrilevante il collegamento causale dell'infortunio a una condotta colposa del lavoratore.
La doglianza è infondata.
Come sopra già illustrato, la Corte ha accertato la violazione della norma cautelare e ha ravvisato la sussistenza del nesso causale fra tale violazione e l'evento lesivo, ritenendo ininfluenti i modesti margini di incertezza circa non significative varianti dell'accadimento, ed escludendo motivatamente la rilevanza interruttiva dell'ipotizzata condotta colposa del lavoratore (comunque in principalità ritenuta indimostrata)
2.2. In secondo luogo, il ricorrente lamenta manifesta illogicità della motivazione rispetto alle testimonianze P. e B., poiché, a suo dire, la Corte aveva ritenuto non correttamente che il fatto storico oggetto di esame dovesse essere ristretto solo all'evento finale e non estendersi alla complessiva situazione spazio-temporale, comprensiva della posizione della latta di solvente, prima e dopo l'infortunio. 
Il ricorrente, così argomentando, non tiene in conto le ragioni esposte dalla Corte, da un lato, per collocare la posizione della latta di solvente nella posizione indicata dal A.M., così sollecitando dalla Corte di legittimità una rivalutazione diretta del contenuto delle prove e una rivisitazione del fatto, dall'altro e soprattutto, ignorando le specifiche ragioni addotte dalla Corte bresciana per motivare l'irrilevanza causale della esatta posizione del bidone del solvente soggetto ad infiammarsi, comunque pericolosamente vicino al teatro di utilizzo della smerigliatrice.
Le due deposizioni citate non sono poi comunque state riconsiderate dalla Corte di appello nella loro valenza dichiarativa.
2.3. In terzo luogo, il ricorrente lamenta manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione rispetto alla diversa ricostruzione dei fatti svolta dalla persona offesa nel corso del processo di appello (in ordine alla posizione relativa della scala e del carrello porta stampi e all'individuazione del tavolo o bancone ove sarebbe stata posizionata la latta, e alla propria collocazione nell'utilizzo del flessibile), effettuata ignorando le valutazioni del consulente di parte e le dichiarazioni del teste P. circa la posizione finale della latta di solvente.
Si è già detto che la Corte territoriale ha ritenuto attendibile le dichiarazioni della persona offesa, non costituita parte civile e già risarcita dall'Inail.
In punto di diritto e con riferimento alla deposizione della persona offesa, occorre tener presente il consolidato orientamento di questa Corte che trova espressione nella pronuncia delle Sezioni Unite, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214. Al proposito, le regole dettate dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto; tale verifica, peraltro, deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, anche se, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi.
Per altro verso, la Corte ha motivato circa l'ininfluenza del luogo di esatta collocazione della latta di solvente, al cui riguardo comunque le dichiarazioni del teste citato non appaiono affatto risolutive, sia perché egli, non presente al momento dell'incidente, si era riferito alla posizione in cui si trovava la latta al momento del suo intervento, sia perché (come risulta dalla sentenza di primo grado) egli aveva pur sempre ammesso che le latte di solvente venivano tenute nei pressi delle postazioni di lavoro.
2.4. In quarto luogo, il ricorrente lamenta mancanza di motivazione in ordine al profilo di colpa specifica di cui alla lettera A) del capo di imputazione, specie con riferimento alle valutazioni espresse dai testi P. e A.G. circa la scarsa infiammabilità del Frekote, la cui etichetta riporta solo la menzione di «prodotto irritante» e la cui pericolosità era stata desunta ex post solo dal fatto che i vapori del solvente avevano preso fuoco.
La Corte territoriale non ha affatto rimesso in discussione le dichiarazioni dei due tecnici e il contenuto dell'etichetta apposta sulla confezione di prodotto, ma ha proceduto ad una autonoma valutazione, basata su nozioni di comune esperienza liberamente utilizzabili e soprattutto fondata sul fatto oggettivo e innegabile che il solvente si era effettivamente infiammato a contatto con le scintille sprigionate dall'suo della smerigliatrice.
2.5. In quinto luogo, il ricorrente lamenta travisamento della prova in ordine al profilo di colpa specifica di cui alla lettera B) del capo di imputazione (inadempimento degli obblighi di informazione, formazione e addestramento circa il rischio specifico di incendio provocato dall'utilizzo di sostanze infiammabili), con particolare riferimento alle dichiarazioni rese dal teste Z. all'udienza del 15/2/2015 e al verbale di contravvenzione -prescrizione n.25/11 della ASL di Bergamo.
Il ricorrente chiede alla Corte di Cassazione di riconsiderare l'attendibilità dei testi, senza dimostrare contraddittorietà o manifesta illogicità del ragionamento dei Giudici di merito e senza dedurre in modo corretto i presupposti di un travisamento della prova.
Ai fini della configurabilità del vizio di travisamento della prova dichiarativa, è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 - dep. 2018, Grancini, Rv. 272406; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017 - dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012 - dep. 2013, Maggio, Rv. 255087); si tratta dell'errore cosiddetto «revocatorio», che cadendo sul significante e non sul significato della prova si traduce nell'utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall'atto istruttorio (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168).
In forza della regola della autosufficienza del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l'onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l'effettivo apprezzamento del vizio dedotto (Sez. 1, n. 25834 del 04/05/2012, P.G. in proc. Massaro, Rv. 253017; Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv. 241023; Sez. 1, n. 20344 del 18/05/2006, Salaj, Rv. 234115; Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Sez. F, n. 37368 del 13/09/2007, Torino, Rv. 237302).
Nella specie, tuttavia, la deduzione del travisamento della prova è del tutto fuor di luogo, sia perché la Corte territoriale non si è affatto riferita ai fini della sua valutazione al contenuto delle dichiarazioni dello Z. e del verbale di contravvenzione, sia perché, evidentemente, ben poteva la Corte territoriale ravvisare la violazione anche sotto il concorrente profilo di colpa specifica, quand'anche le autorità amministrative fossero state di diverso avviso.
La Corte di appello si è invece basata sul fatto accertato che nel corso impartito al A.M. non era stato affrontato il tema dei profili di rischio connessi all'uso del solvente in questione e su questo accertamento ha eretto la propria valutazione in termini di colpa di tale omissione dell'imprenditore.
3. Il ricorso deve pertanto essere rigettato; ne consegue la condanna del ricorrente ai sensi dell'art.616 cod.proc.pen. al pagamento delle spese del procedimento.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso il 21 agosto 2018