Cassazione Civile, Sez. Lav., 08 ottobre 2018, n. 24752 - Attività di carpentiere e ipoacusia


Presidente: BERRINO UMBERTO Relatore: CALAFIORE DANIELA Data pubblicazione: 08/10/2018

 

 

 

Ritenuto che
Con sentenza n. 7741 del 2011, la Corte d'appello di Bari, riformando la decisione di primo grado sulla base dell'accertamento della insussistenza del nesso eziologico tra malattia e lavorazioni espletate, ha rigettato la domanda che N.P. aveva proposto nei confronti dell'Inail per ottenere la condanna dell'Istituto al risarcimento del danno biologico in base alla percentuale di inabilità che sarebbe stata accertata, avendo svolto attività tabéllate;
l'assicurato ricorre per cassazione con un unico articolato motivo, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c., con cui contesta vizi di motivazione e la violazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art.3, come modificato dal D.M. del 14 gennaio 2008, voce 75; rinail resiste con controricorso;

 


Considerato che
la sentenza d'appello ha ritenuto che l'assicurato avrebbe dovuto fornire la prova rigorosa della riconducibilità della patologia della ipoacusia da rumore all’attività di carpentiere svolta, senza potersi avvalere della previsione del punto 50 lett. n) del d.p.r. n. 336 del 1994 secondo cui l'ipoacusia è ritenuta presuntivamente di origine professionale solo per chi ha svolto attività di perforazione con martelli pneumatici ed avvitatura con avvitatori pneumatici a percussione, attività diverse da quelle proprie del carpentiere, come il CTU nominato in appello aveva evidenziato, contrapponendosi alla consulenza svoltasi nel corso del giudizio di primo grado, anche sulla base di accertamenti strumentali (curve audiometriche);
il ricorso, che afferma la violazione dei criteri normativi fissati dal d.P.R. n. 1124 del 1965, art. 3, e del decreto ministeriale relativo alle lavorazioni tabéllate ma in concreto si riferisce a vizi della motivazione laddove si addebita alla sentenza di non aver appurato- come aveva fatto il giudice di primo grado condividendo la relazione di consulenza ivi svolta- l'effettivo grado di rumorosità dell'ambiente di lavoro e la specifica capacità di resistenza dell'assicurato, è inammissibile;
il motivo è inammissibile giacché le censure mosse investono la ricostruzione del fatto storico effettuata dal giudice del merito in punto di verifica del rapporto di causalità tra la malattia certificata e l'attività lavorativa e sono deducibili in questa sede unicamente sotto il profilo del vizio della motivazione - ex art. 360 c.p.c., n. 5 - e non anche evocando la violazione delle norme di diritto;
il vizio di violazione di legge consiste nella denunzia di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa mentre la allegazione - come prospettata nella specie da parte del ricorrente - di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione delle norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione;
la censura, così come articolata, non risponde, invece, alle previsioni dall'art. 360 c.p.c., n. 5 - nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, applicabile ratione temporis - per il quale l'"omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione", va riferita ad "un fatto controverso e decisivo per il giudizio" (diversamente dal testo previgente, per il quale rilevava il vizio della motivazione su un "punto decisivo della controversia");
il termine "fatto" non può considerarsi equivalente a "questione" o "argomentazione", dovendo per fatto intendersi un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico, non assimilabile a "questioni" o "argomentazioni" che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate al riguardo (Cfr. Cassazione civile, sez. trib., 08/10/2014, n. 21152);
il ricorrente avrebbe dovuto evidenziare - nel rispetto degli oneri di specificità imposti dall'art. 366 c.p.c., n. 6 - gli elementi istruttori non esaminati dal giudice del merito, che avrebbero condotto, con giudizio di certezza, ad una diversa decisione ovvero l'obiettiva carenza, nel complesso della sentenza, del procedimento logico in ordine all'accertamento del rapporto di causalità;
con il motivo viene invece allegato un generico contrasto delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito rispetto agli elementi raccolti dal consulente tecnico incaricato in primo grado senza evidenziare alcuna specifica acquisizione (con indicazione dei tempi e modi della relativa acquisizione e con deposito dei relativi atti processuali, ex art. 369 c.p.c., n. 4) - decisiva in ordine all'origine professionale della malattia e trascurata dal giudice dell'appello;
la censura si risolve pertanto in un mero dissenso diagnostico rispetto alle valutazioni del ctu ed in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento della Corte di merito tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione;
il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile ed a tale pronuncia consegue la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2700,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 marzo 2018