Responsabilità di un datore di lavoro per infortunio occorso a lavoratrice intenta ad azionare un cavalletto per la produzione di c.d. poli di batteria che rimaneva col terzo dito della mano destra schiacciato nella macchina riportando lesioni personali - Sussiste.
L'imputato viene accusato di "non aver munito di dispositivi di sicurezza la macchina per la produzione degli stampi" e, in violazione del disposto del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, nel "non aver attuato le misure tecniche ed organizzative adeguate per ridurre al minimo i rischi connessi all'uso del suddetto macchinario da parte dei lavoratori..."
Ricorre in Cassazione - Inammissibile.
La Corte afferma innanzitutto che già in primo grado "è ... emerso che nessuna delega di funzione in materia di sicurezza il T. abbia effettuato in favore di altri soggetti da lui prescelti, sicchè a lui sono riconducibili i compiti e le responsabilità connessi alla sua posizione di garanzia preposta alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori".
"D'altra parte, una volta assodato e ritenuto che il ricorrente era, per quella predetta qualità, titolare della relativa posizione di garanzia, deve rilevarsi che, in tema di infortuni sul lavoro, l'obbligo del datore di lavoro, è articolato e comprende l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte, la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, la effettiva predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate o disapplicate, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione."
"Ai sensi della L. n. 547 del 1955, art. 4 il datore di lavoro è il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica contemplate in quel disposto normativo e negli altri che a quello fanno riferimento (e tra tali obblighi rientra certamente quello, fondamentale ed ineludibile, di fornire al lavoratore macchine ed attrezzature in regola con le prescrizioni antinfortunistiche).
Tale precipuo obbligo del datore di lavoro può essere ad altri delegato, ossia trasferito, con conseguente sostituzione e subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa originariamente capo al datore di lavoro.
Ma, tanto comportando una dismissione da parte del datore di lavoro - specifico e principale, ancorchè non esclusivo, destinatario della norma -, di tali obblighi assegnatigli dalla legge ed un loro contestuale trasferimento ad altri, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo, dovendo inoltre investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo restando l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive.
Deve, perciò, escludersi che una siffatta delega possa essere inespressa o implicita, presumendola solo dalla ripartizione interna all'azienda dei compiti assegnati ad altri dipendenti o dalle dimensioni dell'impresa stessa.."
"Per il resto, pure giova rilevare che le norme antinfortunistiche sono poste a tutela della salute e della integrità fisica dei lavoratori, anche nelle ipotesi di un loro comportamento incongruo, disattento, negligente; un comportamento anomalo del lavoratore, quindi, può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore; tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento, ancorchè avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell'attività lavorativa svolta, tale comportamento, in tal caso, non essendo affatto eccezionale ed imprevedibile."
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente -
Dott. MARZANO Francesco - rel. Consigliere -
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere -
Dott. GALBIATI Ruggiero - Consigliere -
Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
T.F. n. in (OMISSIS) il (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli in data 19.10.2006.
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal Consigliere Dott. MARZANO Francesco;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. DELEHAYE Enrico, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore del ricorrente, avv. RECCIA Alfonso, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
Osserva:
Fatto
1.0 Il 19 ottobre 2006 la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza in data 28 settembre 2005 del Tribunale di Nola, in composizione monocratica, con la quale T.F., riconosciutegli le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa nella sua esecuzione, di mesi dieci di reclusione.
1.1. Ricostruivano in fatto i giudici del merito che il 4 gennaio 2001 P.R., lavoratrice alle dipendenze della CGA s.p.a., mentre era intenta, nel reparto fonderia dello stabilimento, ad azionare un cavalletto per la produzione di c.d. poli di batteria, rimaneva col terzo dito della mano destra schiacciato nella macchina, riportando lesioni personali.
Quel reparto era dotato di numerose macchine per stampi (detti cavalletti) e la macchina in questione era composta da una parte fissa ed una mobile, quest'ultima mossa da un pistone azionato ad aria compressa; un sistema di due leve posizionato accanto allo stampo azionava il funzionamento dello stesso.
La procedura di lavoro prevedeva che per la chiusura dello stampo l'operaio dovesse azionare le due leve contemporaneamente con entrambe le mani; per l'apertura dello stampo, invece, non era previsto analogo dispositivo ed esso si azionava utilizzando una sola leva, mentre con l'altra mano l'operaio avrebbe dovuto reggere contemporaneamente un utensile di presa con cui rimuovere dallo stampo i poli appena realizzati.
In ottemperanza ad una disposizione aziendale a firma di D.L.D., risalente al 26 settembre 1997, anche il cavalletto sul quale lavorava la persona offesa era stato modificato in epoca antecedente al sinistro che occupa, mediante l'apposizione di un doppio comando per la chiusura dello stampo.
Alla data dell'infortunio, tuttavia, la macchina non era stata dotata di un meccanismo che consentisse l'apertura dello stampo agendo contemporaneamente su entrambe le leve, nè presentava gli organi lavoratori inaccessibili: solo in epoca successiva all'infortunio era stata predisposta la segregazione degli stessi a mezzo di un apposito schermo in lamiera.
Nell'occorso, la lavoratrice, dopo aver azionato con la mano destra la leva per l'apertura dello stampo, si era accinta, con la stessa mano e senza l'ausilio di alcun utensile, a prelevare il polo di batteria appena realizzato, ed era rimasta con il dito medio schiacciato all'interno della macchina, in corrispondenza degli organi lavoratori mobili.
1.2 Si contestava all'imputato di aver cagionato le lesioni patite dalla persona offesa, per colpa, oltre che generica, anche consistita nel "non aver munito di dispositivi di sicurezza la macchina per la produzione degli stampi", e, in violazione del disposto del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, nel "non aver attuato le misure tecniche ed organizzative adeguate per ridurre al minimo i rischi connessi all'uso del suddetto macchinario da parte dei lavoratori...".
2.0 Avverso la predetta sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso l'imputato, per mezzo del difensore, denunziando:
a) il vizio di violazione di legge, per avere i giudici del merito illegittimamente disatteso una eccezione di nullità della sentenza di primo grado sul presupposto che "il T. veniva condannato per il delitto di lesioni aggravate, senza che nel relativo capo della rubrica venissero specificamente enucleate le norme di legge che si intendevano violate";
b) vizi i violazione di legge e di motivazione, per non aver rilevato e ritenuto che "l'istruttoria dibattimentale ha posto in evidenza che all'interno dello stabilimento... vi era un responsabile della sicurezza nella persona di D.L.D., sentito quale semplice teste nel processo de qua", a nulla rilevando che la delega a questo conferita "fosse meramente verbale".
Soggiunge che se, come ritenuto, il compito di quest'ultimo "fosse solo quello di vigilare sul lavoro degli operai e di riferire al direttore, sorge un altro problema attinente alla interruzione del nesso causale tra la condotta del T. e l'evento lesivo in danno della lavoratrice.
Infatti, risulta pacifico che in strutture aziendali complesse vi possa essere una distribuzione dei compiti e delle mansioni tra i vari quadri e dirigenti, per cui il comportamento omissivo di questi non può automaticamente riverberarsi su chi si trova al vertice della struttura aziendale in mancanza di una sua concreta partecipazione al processo omissivo che produce l'evento dannoso".
Diritto
3.0 Il ricorso è inammissibile, essendo manifestamente infondati i motivi adotti a suo sostegno.
Quanto, invero, al primo profilo di doglianza, è consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte che, in tema di contestazione dell'accusa ed in riferimento ai requisiti del decreto di citazione a giudizio (art. 429 c.p.p., comma 1, lett. c); art. 552 c.p.p., comma 1, lett. c), si deve avere riguardo alla specificazione del fatto, più che alla indicazione delle norme di legge violate, sicchè la mancata specifica enunciazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina alcuna nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa (ex ceteris, Cass. Sez. 5^. n. 44707/2005; id., Sez. 1^, n. 18027/2004; id., Sez. 4^, n. 34289/2004; id., Sez. 3^, n. 6842/1991).
Sotto il profilo, poi, che il ricorrente deduce, della correlazione tra accusa contestata e sentenza, di cui all'art. 522 c.p.p., per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, si da pervenirsi ad una diversità o ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; e la relativa indagine in ordine alla correlazione fra imputazione contestata e sentenza non va esaurita nel pedissequo e mero confronto letterale fra contestazione e sentenza, giacchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (così, ex plurimis, Cass. Sez. Un., n. 16/1996).
Correttamente, perciò, i giudici del merito rilevano che, "anche se la rubrica non richiama dell'art. 590 c.p., comma 3, tuttavia chiaramente attribuisce la causazione dell'evento lesivo, oltre cha a colpa generica, anche alla violazione delle norme antinfortunistiche riportate ..."; e, quanto alla consistenza della malattia, il capo di imputazione (che indica gli artt. 590 e 583 c.p.) pure richiama la "certificazione medica agli atti, con conseguente incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a gg. 40 ...", sicchè, in riferimento a tali evocate circostanze fattuali, era assicurato in maniera piena ed incondizionata il diritto di difesa dell'imputato.
Quanto al secondo motivo di censura, la contestazione è stata mossa all'attuale ricorrente nella sua "qualità di datore di lavoro", titolare, quindi, della correlativa posizione di garanzia ( D.Lgs. n. 626 del 1994, art.2 lett. b), art. 4; D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4 e 5 ); e, gravatoriamente assumendosi, ora, che "all'interno dello stabilimento vi era un responsabile della sicurezza nella persona di D.L.D. ..." - sul quale, quindi, sarebbero venuti a gravare i compiti ed i doveri connessi alla precitata posizione di garanzia -, la sentenza impugnata da atto che "il teste ( D.L.) ha chiarito far capo al direttore la responsabilità in tema di prevenzione e protezione, mentre a lui toccava un compito di mera sorveglianza nella fase esecutiva e di segnalazione al direttore ...;
peraltro, chiarisce, non esistevano deleghe scritte"; e la integrativa sentenza di primo grado aveva, dal canto suo, già evidenziato che "è ... emerso che nessuna delega di funzione in materia di sicurezza il T. abbia effettuato in favore di altri soggetti da lui prescelti, sicchè a lui sono riconducibili i compiti e le responsabilità connessi alla sua posizione di garanzia preposta alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori".
D'altra parte, una volta assodato e ritenuto che il ricorrente era, per quella predetta qualità, titolare della relativa posizione di garanzia, deve rilevarsi che, in tema di infortuni sul lavoro, l'obbligo del datore di lavoro, è articolato e comprende l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte, la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, la effettiva predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate o disapplicate, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione (Cass. Sez. 4^, 10.2.2005, n. 13251, in CED Rv. 231156; id., Sez. 4^., 3.3.1995, n. 6486, in CED Rv. 201706; id., Sez. 4^, 12.12.1983, n. 3824, in CED Rv. 163868). Ai sensi della L. n. 547 del 1955, art. 4 , il datore di lavoro è il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica contemplate in quel disposto normativo e negli altri che a quello fanno riferimento (e tra tali obblighi rientra certamente quello, fondamentale ed ineludibile, di fornire al lavoratore macchine ed attrezzature in regola con le prescrizioni antinfortunistiche).
Tale precipuo obbligo del datore di lavoro può essere ad altri delegato, ossia trasferito, con conseguente sostituzione e subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa originariamente capo al datore di lavoro.
Ma, tanto comportando una dismissione da parte del datore di lavoro - specifico e principale, ancorchè non esclusivo, destinatario della norma -, di tali obblighi assegnatigli dalla legge ed un loro contestuale trasferimento ad altri, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo, dovendo inoltre investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo restando l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive.
Deve, perciò, escludersi che una siffatta delega possa essere inespressa o implicita, presumendola solo dalla ripartizione interna all'azienda dei compiti assegnati ad altri dipendenti o dalle dimensioni dell'impresa stessa..
Nella specie, i giudici del merito hanno escluso, come s'è detto, la sussistenza di una siffatta delega; ed il D.L. ha chiarito di aver avuto, egli, solo "compiti di mera sorveglianza ... e di segnalazione al direttore".
Assumendosi, poi, che "il giudice avrebbe dovuto procedere alla sua (del D.L.) escussione ricorrendo alle opportune garanzie di cui all'art. 63 c.p.p., atteso che trattasi di persona che sin dall'inizio avrebbe dovuto assumere la qualità di indagato", è sufficiente ricordare che i giudici del merito hanno escluso, come s'è visto, la sussistenza di deleghe in proposito e che il D.L. fosse titolare di una posizione di garanzia; e lo stesso ricorrente propone il suo rilievo sul presupposto "... se effettivamente il D. L. fosse responsabile della sicurezza ...".
Del tutto privo di fondamento è, infine, anche l'assunto del ricorrente, secondo cui "il silenzio ... serbato dal D.L. ... nei confronti del direttore di stabilimento circa il comportamento negligente osservato dai lavoratori si traduce sul piano giuridico in un elemento idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra l'evento lesivo e la condotta del T.".
I giudici del merito, difatti, hanno dato atto delle carenze strutturali della macchina in riferimento alle norma antinfortunistiche evocate; e di tale strutturale vizio, ab imis esistente, non aveva, o non avrebbe dovuto avere, necessità alcuna il ricorrente di essere informato da chicchessia, su di lui incombendo l'obbligo di verificare ed assicurare che le macchine predisposte per il lavoro da svolgersi dai lavoratori dipendenti fossero in regola con i presidi antinfortunistici che le norme impongono.
E, ciò posto, in tema di rapporto di causalità, non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte, confidando che altri rimuova quella situazione di pericolo o adotti comportamenti idonei a prevenirlo: in tal caso, difatti, l'omessa attivazione del terzo o la mancata attuazione di idonei comportamenti da parte del lavoratore tutelato dalla posizione di garanzia non si configurano affatto come fatto eccezionale ed imprevedibile, sopravvenuto, da solo sufficiente a produrre l'evento.
Per il resto, pure giova rilevare che le norme antinfortunistiche sono poste a tutela della salute e della integrità fisica dei lavoratori, anche nelle ipotesi di un loro comportamento incongruo, disattento, negligente; un comportamento anomalo del lavoratore, quindi, può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore; tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento, ancorchè avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell'attività lavorativa svolta, tale comportamento, in tal caso, non essendo affatto eccezionale ed imprevedibile.
4. Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente, come evidenziata dallo stesso vizio genetico rilevato (Corte Cost., sent. 7 - 13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento delle spese del procedimento e di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2008.
Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2008