Cassazione Penale, Sez. Fer., 13 novembre 2018, n. 51374 - Pressa automatica rotativa priva di schermi fissi di protezione. Infortunio e responsabilità del datore di lavoro


Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: ACETO ALDO Data Udienza: 21/08/2018

 

Fatto

 


1.Il sig. L.D. ricorre per l'annullamento della sentenza del 19/01/2018 della Corte di appello di Bologna che, rigettando la sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena di 2.000 euro di ammenda inflitta con sentenza del 12/10/2015 del Tribunale di Reggio Emilia per il reato di cui all'art. 590, commi primo, secondo e terzo, cod. pen., a lui ascritto perché, quale socio amministratore della società in nome collettivo «PAVIMENTI L.D.», datore di lavoro e responsabile del Servizio di prevenzione e protezione ambientale, aveva cagionato per colpa al dipendente A.M. lesioni personali gravi, consistite nella frattura del braccio destro, dalle quali era derivata al predetto l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per oltre quaranta giorni; colpa consistita nell'aver messo a disposizione dei lavoratori dipendenti una pressa automatica rotativa ad otto stazioni dalla quale erano stati rimossi gli schermi fissi di protezione atti ad impedire l'accesso dei lavoratori stessi alle zone pericolose, mantenendone solo uno, di ridotte dimensioni, nella parte terminale della tramoggia di scarico del calcestruzzo, così che il A.M., per rimuovere del ghiaino dalla tavola porta stampi in rotazione, aveva allungato la mano sotto lo schermo rimasto e rimaneva intrappolato con l'avambraccio nella rotazione della tavola. Il fatto è contestato come commesso in Poviglio l'8 marzo 2011.
1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui, non considerando le emergenze istruttorie, sostiene che il macchinario "fosse sprovvisto di barriere" di protezione e che non fossero "evidentemente attive le cellule fotoelettriche".
Deduce che: a) tutte le funzioni di controllo del macchinario erano eseguibili rimanendo in sicurezza alla consolle di comando; b) le parti rotative erano perfettamente segregate; c) l'operatore disponeva del potere di arresto macchina rimanendo alla consolle che si trovava a distanza dall'area di movimento della macchina stessa; d) quest'ultima era munita di dispositivi antinfortunistici meccanici (barriere metalliche di protezione, fisse e mobili, che segregavano le parti in movimento) ed elettrici (cellule fotoelettriche che arrestavano la macchina non appena qualcosa o qualcuno si fosse ingerito nel suo perimetro); e) i testimoni della difesa avevano confermato che il macchinario lavorava sempre con tutte le barriere in opera, anche al momento dell'infortunio; f) il fatto che l'ispettore del lavoro l'avesse rinvenuto privo di alcune parti delle barriere in sede di ispezione effettuata subito dopo l'infortunio non prova il contrario, ma si spiega con la necessità di agevolare le operazioni di soccorso; g) l'ispettore, del resto, non aveva nemmeno controllato se le cellule fotoelettriche fossero esistenti e funzionanti; h) la testimonianza della parte civile è assolutamente falsa allorquando sostiene che l'infortunio si era verificato perché la cazzuola era rimasta incastrata proprio sotto la barriera di protezione, peraltro, contraddittoriamente ammettendo l'esistenza delle barriere al momento dell'infortunio e comunque l'esistenza delle cellule fotoelettriche.
1.2. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in punto di ricostruzione della dinamica dell'evento.
Deduce al riguardo l'illegittima disapplicazione della testimonianza di W.D., benché presente ai fatti. Questi aveva riferito del comportamento abnorme, imprevedibile e non necessario tenuto dal lavoratore che, pur potendo rimanere alla consolle di comando per governare la macchina, si era avvicinato a quest'ultima e, senza arrestarla, aveva volontariamente infilato il braccio sotto la barriera di sicurezza. Dunque, conclude, il lavoratore - che pure era stato addestrato ed istruito - ha serbato un comportamento abnorme che è causa immediata e diretta dell'Infortunio. Dalle stesse parole di quest'ultimo, del resto, si evince che: a) la barriera era alta fino alle sue spalle; b) la cazzuola non poteva passare sotto la feritoia esistente tra il bordo inferiore della barriera e la macchina; c) non vi era necessità di rimuovere il ghiaietto perché la macchina si autopuliva; d) egli stesso aveva ammesso che doveva rimanere fermo alla consolle e non doveva avvicinarsi alla macchina in movimento. Il macchinario, dunque, era conforme alle regole di sicurezza e prevenzione infortuni e il lavoratore era stato addestrato e istruito e dotato dei dispositivi individuali di protezione.
 

 

Diritto

 


2. Il ricorso è inammissibile perché proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimità.
3.1 due motivi deducono il vizio di motivazione in ordine alla ricostruzione della dinamica dell'infortunio. E' necessario, pertanto, ricordare i principi più volte affermati da questa Corte secondo i quali:
3.1.l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794);
3.2. è possibile estendere l'indagine di legittimità a <<specifici atti del processo>> quando ne sia eccepito il travisamento, configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'Intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499).
3.3. Ne consegue che: a) il vizio di motivazione non può essere utilizzato per spingere l'indagine di legittimità oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando ciò sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici del ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata; b) l'esame può avere ad oggetto direttamente la prova solo quando se ne denunci il travisamento, purché l'atto processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali; c) altrimenti il fatto oggetto di cognizione della Corte di cassazione resta esclusivamente quello desumibile dalla lettura della sentenza.
3.4.Il ricorrente non eccepisce il travisamento delle prove e tuttavia interloquisce con la Corte di cassazione illustrandone i contenuti, dando per scontato che il Collegio possa avere accesso agli atti, leggere i verbali delle prove dichiarative, esaminare la documentazione prodotta, formarsi un proprio convincimento basato non già sulla sola sentenza/documento, bensì sul confronto con le prove assunte nel corso del giudizio. In ultima analisi, il ricorrente sollecita un giudizio tipico dell'impugnazione di merito. Il che denota l'intrinseca debolezza del costrutto difensivo che per supportare le proprie eccezioni è costretto ad attingere a piene mani ad elementi estranei al testo della sentenza, non conoscibili da questa Corte.
3.5.Occorre dunque rimanere al testo della sentenza impugnata dal quale risulta che: a) la macchina alla quale era addetto il lavoratore infortunato era stata privata dei presidi atti a impedire il possibile inserimento del braccio nei meccanismi in movimento e non erano attive nemmeno le cellule fotoelettriche di arresto delle piastre rotanti; b) che la vittima era stata incaricata di effettuare la rimozione del ghiaino in corso di lavorazione e che alcun comportamento anomalo o imprevedibile può esserle addebitato; c) che l'infortunio è causalmente ricollegabile proprio alla rimozione dei presidi. 
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 2.000,00. Alla detta declaratoria segue anche la liquidazione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile A.M. in questo giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 21/08/2018.