Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 14 novembre 2018, n. 29373 - Menomazione ad una mano conseguente ad infortunio. Danno non patrimoniale


 

Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: ARIENZO ROSA Data pubblicazione: 14/11/2018

 

 

 

Fatto

 


1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 15.10.2013, respingeva il gravame proposto da A.S. avverso la pronuncia del Tribunale di Piacenza che, in relazione alle conseguenze di infortunio sul lavoro occorso al predetto in data 6.12.2004, dal quale era derivata la perdita anatomica di due falangi distali del II dito, della falange ungueale del III dito e la perdita dell'intero anulare della mano sinistra in soggetto destrimane, aveva condannato la società Iniziative Industriali a r. l. a corrispondere all'infortunato l'importo residuo di euro 9.597,26, a seguito di detrazione dall'importo determinato complessivamente di euro 85.450,32 già corrisposti dall'INAIL, oltre euro 1190,16 a titolo di danno patrimoniale per spese documentate
2. La Corte rilevava che l'appellante non aveva contestato l'utilizzo delle tabelle milanesi quanto alla liquidazione del danno non patrimoniale e che il Tribunale aveva fatto corretta applicazione dei criteri di liquidazione, con riferimento all'età dell'infortunato ed alla personalizzazione del danno in relazione all'entità della menomazione subita, non potendo ritenersi che il danno morale costituisse una voce ontologicamente distinta, per essere le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano riferite anche alla liquidazione del danno non patrimoniale in termini di danno morale, come comprovato dal procedimento di liquidazione seguito.
3. Non erano state avanzate critiche specifiche che fossero fondate su ragioni non apodittiche in termini di mero dissenso al modo di procedere del giudice di primo grado se non con riferimento all'insufficienza della determinazione del danno non patrimoniale. Quanto al danno esistenziale, mancava già in primo grado una sia pur sintetica allegazione fattuale in ordine alla sua esistenza e, con riguardo al danno patrimoniale da incapacità di lavoro specifica, ugualmente andava respinta la censura allo stesso riferita, posto il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui tale danno era connesso ad una effettiva riduzione della capacità di guadagno, mantenuta nella specie inalterata dall'A.S.. La sua risarcibilità sotto il profilo del lucro cessante era consentita solo in presenza di prova, anche presuntiva, a carico del danneggiato e con riferimento a concrete prospettive di miglioramento della carriera professionale.
Di tale decisione domanda la cassazione l'A.S. con due motivi, cui resiste, con controricorso, la società.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo sono denunziate violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., in relazione all'art. 112 c.p.c., e violazione ed errata applicazione di norme di diritto sostanziale e processuale anche per omesso esame di fatti decisivi enunciati specificamente ed oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente concorda sull'applicazione dei parametri tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano e sulla liquidazione complessiva del danno biologico da invalidità permanente, comprensivo di tutte le componenti anche non patrimoniali, tuttavia osserva che il giudice, in presenza di specifiche circostanze di fatto, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle dette previsioni tabellari, possa procedere alla personalizzazione del danno entro le percentuali massime di aumento previste nelle stesse tabelle, dando adeguatamente conto nella motivazione della sussistenza di peculiari ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente (più ricca, e dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari.
2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione degli artt. 2043 e 2056 c.c., nonché dell'art. 115 c.p.c. con riferimento al contenuto della c.t.u., in cui era affermato che la grave menomazione alla mano avrebbe reso quasi impossibile la ricollocazione lavorativa dell'A.S. nella medesima posizione reddituale precedente l'infortunio e, comunque, estremamente difficoltoso il reperimento di qualsivoglia impiego stabile, circostanza che avrebbe dovuto indurre il giudice del merito a liquidare un danno da inabilità lavorativa specifica anche con riferimento a parametri equitativi.
4. Quanto al primo motivo, è sufficiente il richiamo a sentenza n. 11754 del 15/05/2018 di questa Corte, peraltro riportata nei suoi precisi termini nello stesso ricorso dell'A.S., che, tuttavia, vorrebbe fare discendere dall'applicazione dei principi in essa enunciati conseguenze difformi da quelle che motivatamente e condivisibilmente ne ha tratto il giudice del gravame. Ed invero, il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile "esistenziale", e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l'illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) integrano componenti autonome dell'unitario danno non patrimoniale, le quali, pur valutate nello loro differenza ontologica, devono sempre dar luogo ad una valutazione globale. Ne consegue che, ove s'impugni la sentenza per la mancata liquidazione del cosiddetto danno morale, non ci si può limitare ad insistere sulla separata liquidazione di tale voce di danno, ma è necessario articolare chiaramente la doglianza come erronea esclusione, dal totale liquidato, nella specie, in applicazione delle cosiddette "tabelle di Milano", delle componenti di danno diverse da quella originariamente descritta come "danno biologico", risultando, in difetto, inammissibile la censura, atteso il carattere tendenzialmente onnicomprensivo delle previsioni delle predette tabelle (così Cass. 31.10.2017 n. 25817).
4. Il giudice del gravame ha dato conto in modo argomentato dell'esattezza del procedimento di liquidazione operato nella sentenza oggetto di appello, evidenziando come fosse stata effettuata anche un' adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale, tenuto conto della entità della menomazione subita ed ha osservato come le tabelle applicate operassero la liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di cd. danno biologico "standard" e personalizzato e di cd. danno morale. Al cospetto di tale articolata e convincente motivazione l'A.S. non ha riportato le censure in sede di gravame miranti a contestare l'utilizzo delle tabelle milanesi sotto il profilo evidenziato e non solo la concreta liquidazione di ciascuna voce di danno, confluita neN'importo complessivamente determinato e non suscettibile di diversa valutazione. Quest'ultima invero compete al giudice del merito e non è sindacabile nella presente sede, ove il ricorrente si limita a contestare l'entità della quantificazione in termini monetari, che vorrebbe "arricchita" in forza di asserita maggiore incidenza della lesione nella sfera non patrimoniale.
5. La censura di omesso esame non contiene, poi, adeguata critica alla stregua dell'attuale formulazione del n. 5 dell'art. 360 c.p.c., applicabile ratione temporis, secondo l'interpretazione fornitane da Cass., s.u., 7.4.2014 n. 8053, ma si risolve in una generica critica al modo di operare del giudice del merito, incompatibile con l'esigenza di indicare la decisività dei fatti asseritamente non valutati.
6. Con riguardo al secondo motivo, oltre a non censurarsi nello stesso la ritenuta mancanza di allegazione della perdita della capacità lavorativa evidenziata nella sentenza impugnata, non si tiene conto dei principi validi in tema di liquidazione di tale posta di danno, secondo cui il danno patrimoniale inteso come conseguenza della riduzione della capacità di guadagno, e, a sua volta, della capacità lavorativa specificale non, dunque, della sola inabilità temporanea o dell'invalidità permanente) è risarcibile autonomamente dal danno biologico soltanto se vi sia la prova che il soggetto leso svolgeva - o presumibilmente in futuro avrebbe svolto - un'attività lavorativa produttiva di reddito, e che tale reddito (o parte di esso) non sia stato in concreto conseguito. (V. Cass. 25.8. 2006 n. 18489, Cass. 3.7.2014 n. 15238, Cass. 4.11.2014 n. 23468).
Tale prova è stata ritenuta inesistente e sul punto la critica svolta dal ricorrente non evidenzia allegazioni e deduzioni articolatamente proposte in sede di merito che ingiustificatamente siano state trascurate e disattese.
7. Alla stregua delle svolte considerazioni, il ricorso deve essere complessivamente respinto.
8. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate come da dispositivo.
9. sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 13, comma Ibis, del citato D.P.R..
Così deciso in Roma, in data 4 luglio 2018