Cassazione Penale, Sez. 4, 27 dicembre 2018, n. 58272 - Omessa valutazione del rischio connesso all'uso di bancali di appoggio dei vetri e mancanza di idoneo bancale di deposito. Quando viene interrotto il nesso di causalità


 

 

"Si può cogliere nella giurisprudenza di legittimità la tendenza a considerare interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore non solo quando essa si collochi in qualche modo al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso ma anche quando, pur collocandosi nell'area di rischio, sia esorbitante dalle precise direttive ricevute ed, in sostanza, consapevolmente idonea a neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in essere dal datore di lavoro; cionondimeno, quest'ultimo, dal canto suo, deve aver previsto il rischio ed adottato le misure prevenzionistiche esigibili in relazione alle particolarità del lavoro."


 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: SERRAO EUGENIA Data Udienza: 05/12/2018

 

 

 

Fatto

 


1. La Corte di Appello di Lecce - Sezione Distaccata di Taranto, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Taranto nei confronti di B.R., in relazione al reato di cui all'art.590, commi 1,2,3 e 4, cod. pen. commesso in Agro di Laterza il 26 gennaio 2012. All'imputato si era contestato, in qualità di Amministratore Delegato della CURVET Manufacturing, di aver cagionato ai lavoratori C.V. e I.C. lesioni personali per imprudenza, negligenza e imperizia e in violazione degli artt.28, comma 2 lett.a), e 71, comma 1, d. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 per aver omesso di valutare nel D.U.V.R.I. il rischio connesso all'uso dei bancali di appoggio dei vetri e per non aver messo a disposizione dei lavoratori un bancale idoneo al deposito dei vetri lavorati.
2. Il fatto è stato così ricostruito nelle fasi di merito: C.V., unitamente ad altri colleghi, aveva posizionato due vetri già lavorati su un bancale non idoneo al deposito dei vetri curvi in lavorazione, in quanto non permetteva l'appoggio in sicurezza della lastra, una volta modificatane la forma; I.C. si era avvicinata alla zona lavorazione per parlare con il C.V., ma erano stati entrambi investiti dai vetri curvi e dal bancale sul quale erano appoggiati, rimanendo schiacciati tra vetro e macchina e, successivamente, trascinati per terra.
3. B.R. ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata, con unico motivo, per vizio di motivazione.
Secondo il ricorrente, difetta l'indicazione della ragione per cui, in particolar modo il C.V., addetto in quanto rappresentante sindacale aziendale alla sicurezza sui luoghi di lavoro, avesse utilizzato per lo stoccaggio e per l'imballaggio dei vetri curvi un bancale non idoneo, nonché l'indicazione delle ragioni per cui I.C., che era in cassa integrazione, si fosse recata in azienda in orario di lavoro per parlare con il C.V. delle sorti dell'azienda. La dinamica dell'infortunio, avvenuto allorché i dipendenti non erano attenti alla delicata fase di lavorazione, evidenziava la loro responsabilità. La sentenza di appello non ha indicato i passaggi salienti ai fini di un'esauriente ricostruzione dei fatti, limitandosi a prendere atto dell'iter seguito dal primo giudice. I giudici di appello hanno desunto dalle dichiarazioni del teste M. che non fosse disponibile un bancale con base di appoggio più larga, laddove il teste si era limitato a riferire che normalmente per i vetri curvi veniva utilizzato un bancale diverso, da ciò potendosi desumere che tale bancale fosse disponibile ma, per ragioni sconosciute, non era stato utilizzato.
4. All'odierna udienza il difensore della parte civile C.V. ha concluso per il rigetto del ricorso.
 

 

Diritto

 


l. Il ricorso è infondato.
1.1. Lungi dal confrontarsi con la congrua motivazione offerta dalla Corte territoriale in replica ad analoghe deduzioni difensive, il motivo di ricorso è meramente reiterativo di queste ultime. Ma la Corte territoriale aveva fornito esplicita replica, indicando quali fossero i dati fattuali dai quali fosse desumibile la colposa omissione ascrivibile al datore di lavoro con particolare riferimento alle misure prevenzionistiche dettate dall'art.71 d. lgs. n.81/2008 con riguardo alle attrezzature di lavoro.
1.2. Si deve, a tal fine, ricordare che, in una recente sentenza di questa Sezione (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Lovison, Rv. 25409401), sono state richiamate le pronunce della Corte nelle quali si è ritenuto che il comportamento del lavoratore avesse interrotto il nesso di causalità tra l'azione o l'omissione del datore di lavoro e l'evento e, in dettaglio, le seguenti:
a) un dipendente di un albergo in una località termale, terminato il turno di lavoro, si era diretto verso l'auto parcheggiata nei pressi e, per guadagnare tempo, invece di percorrere la strada normale, si era introdotto abusivamente in un'area di pertinenza di un attiguo albergo ed aveva percorso un marciapiede posto a margine di una vasca con fango termale alla temperatura di circa 80 gradi. L'area era protetta da ringhiere metalliche ed il passaggio era sbarrato da due catenelle, mentre non esisteva alcuna protezione all'interno dell'area stessa, sui passaggi che fiancheggiavano le vasche. In prossimità dell'area si trovavano segnali di pericolo. L'uomo, che conosceva molto bene la zona, aveva scavalcato le catenelle e si era incamminato lungo i marciapiedi, ma aveva messo un piede in fallo cadendo nella vasca e perdendovi la vita (Sez. 4, n. 11311 del 07/05/1985, Bernardi, Rv. 17121501). La pronunzia assolutoria, confermata dal giudice di legittimità, era motivata dal fatto che il lavoratore conosceva benissimo i luoghi e fosse ben consapevole dei pericoli derivanti dal fango ad alta temperatura, dai vapori che ne emanavano e dal buio;
b) un operaio addetto ad una pala meccanica che si era improvvisamente bloccata era sceso dal mezzo senza spegnere il motore e, sdraiatosi sotto di essa tra i cingoli, aveva sbloccato a mano la frizione difettosa sicché il veicolo, muovendosi, lo aveva travolto. La Corte ha, in tale occasione, affermato il principio che la responsabilità dell'imprenditore deve essere esclusa allorché l'infortunio si sia verificato a causa di una condotta del lavoratore inopinabile ed esorbitante dal procedimento di lavoro cui è addetto, oppure a causa di inosservanza di precise disposizioni antinfortunistiche (Sez.4, n.3510 del 10/11/1989, dep.1990, Addesso, Rv.18363301);
c) un lavoratore, addetto ad una macchina dotata di fresatrice, con il compito di introdurvi manualmente degli elementi di legno, aveva inserito la mano all'Interno dell'apparato, «eseguendo una manovra tanto spontanea quanto imprudente», per rimuovere residui di lavorazione, subendone l'amputazione. L'imputazione riguardava il reato di cui all'art. 590 cod. pen. in relazione all'art. 68 d.P.R. n.547/55 per la mancata adozione di idonei dispositivi di sicurezza. La Corte d'appello aveva affermato la responsabilità del titolare della ditta e del preposto ai lavori. La Corte di Cassazione ha, invece, annullato con rinvio ai giudice di merito perché verificasse se l'incongruo intervento del lavoratore fosse stato richiesto da particolari esigenze tecniche, osservando che l'operazione compiuta era rigorosamente vietata; che la macchina era dotata di idoneo strumento aspiratore; che il lavoratore era perfettamente consapevole che la fresatrice fosse in movimento; che qualunque accorgimento tecnico volto ad obbligare l'operatore a tenere ambo le mani impegnate per far andare la macchina avrebbe dovuto fare i conti con il tipo di lavorazione, nel quale la manualità dell'operatore era totalmente assorbita nell'introduzione del legno nell'apparato (Sez.4, n. 10733 del 25/09/1995, Dal Pont, Rv. 20322301).
1.3. La condotta colposa del lavoratore è stata, in altra pronuncia, ritenuta idonea ad escludere la responsabilità dell'imprenditore, dei dirigenti e dei preposti in quanto esorbitante dal procedimento di lavoro al quale egli era addetto oppure concretantesi nella inosservanza di precise norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 1484 del 08/11/1989, dep.1990, Dell'Oro, Rv. 18319901). In alcune sentenze il principio è stato ribadito, e si è altresì sottolineato che la condotta esorbitante deve essere incompatibile con il sistema di lavorazione o, pur rientrandovi, deve consistere in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro, tali non essendo i comportamenti tipici del lavoratore abituato al lavoro di routine (Sez. 4, n. 40164 del 03/06/2004, Giustiniani, Rv.229564; Sez. 4, n. 9568 del 11/02/1991, Lapi, Rv. 18820201); in altre si è sostenuto che l’inopinabilità può essere desunta o dalla estraneità al processo produttivo o dall'estraneità alle mansioni attribuite (Sez.4, n. 12115 del 03/06/1999, Grande, Rv.21499801; Sez.4, n. 8676 del 14/06/1996, Ieritano, Rv. 20601201), o dal carattere del tutto anomalo della condotta del lavoratore (Sez.4, n. 2172 del 13/11/1984, dep.1986, Accettura, Rv. 17216001).
1.4. Se, dunque, da un lato, è stato posto l'accento sulle mansioni del lavoratore, quale criterio idoneo a discriminare il comportamento anomalo da quello che non lo è, nel concetto di esorbitanza si è ritenuto di includere anche l'inosservanza di precise norme antinfortunistiche, ovvero la condotta del lavoratore contraria a precise direttive organizzative ricevute, a condizione che l’infortunio non risulti determinato da assenza o inidoneità delle misure di sicurezza adottate dal datore di lavoro (Sez.4, n.3455 del 03/11/2004, dep. 2005, Volpi, Rv.23077001).
1.5. In sintesi, si può cogliere nella giurisprudenza di legittimità la tendenza a considerare interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore non solo quando essa si collochi in qualche modo al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso ma anche quando, pur collocandosi nell'area di rischio, sia esorbitante dalle precise direttive ricevute ed, in sostanza, consapevolmente idonea a neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in essere dal datore di lavoro; cionondimeno, quest'ultimo, dal canto suo, deve aver previsto il rischio ed adottato le misure prevenzionistiche esigibili in relazione alle particolarità del lavoro.
1.6. La motivazione offerta si presenta, dunque, coerente con le emergenze istruttorie ed con i principi interpretativi affermati dalla giurisprudenza di legittimità a proposito del dovere che grava sul datore di lavoro di dominare ed evitare l’instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 10265 del 17/01/2017, Meda, Rv. 26925501; Sez.4, n. 23292 del 28/04/2011, Millo, Rv. 25071001).
2. Con specifico riguardo al dedotto travisamento delle dichiarazioni del teste M. il ricorso si rivela inammissibile perché generico.
2.1. Giova premettere che il vizio di travisamento della prova, nel caso in cui i giudici delle due fasi di merito siano pervenuti a decisione conforme, può essere dedotto solo nel caso in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep.2014, Nicoli, Rv. 25843201) ovvero qualora entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forme di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili (ossia in assenza di alcun discrezionale apprezzamento di merito), il riscontro della persistente infedeltà delle motivazioni dettate in entrambe le decisioni di merito (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 25683701).
2.2. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen. intenda far valere il vizio di «travisamento della prova» (consistente nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nell'omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di Inammissibilità (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 24903501):
(a) identificare specificamente l'atto processuale sul quale fonda la doglianza;
(b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asserltamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
(c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché dell'effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l'atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale «Incompatibilità» all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
2.3. La generica asserzione contenuta nel ricorso, priva dei suindicati elementi specificativi, non supera il vaglio di ammissibilità.
3. Il ricorso deve, dunque, rigettarsi. Al rigetto del ricorso consegue a norma dell'art.616 cod.proc.pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al rimborso delle spese alla costituita parte civile C.V., liquidate come in dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile C.V., liquidate in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori di legge.