Cassazione Civile, Sez. Lav., 08 gennaio 2019, n. 195 - Richiesta di risarcimento danni per malattia professionale derivante dal sollevamento dei degenti di un ricovero anziani. Mancanza di prova del nesso causale


 

 

... La Corte di appello ha ritenuto che le allegazioni della ricorrente escludessero il nesso causale tra le mansioni e la patologia; ha infatti osservato che era trascorso del tempo (alcuni anni) tra il momento del mutamento delle mansioni con il passaggio ad una movimentazione solo occasionale del pazienti non autosufficienti (anno 1988) e riscontro della patologia lombare (1991) per cui erano carenti le allegazioni (di merito) per ritenere sussistente tale nesso. Ha poi ritenuto che la genericità delle allegazioni circa l'asserita insalubrità dell'ambiente lavorativo e circa l'uso dei detergenti non consentiva di ritenere sussistente il nesso causale tra mansioni e la patologia oculare. Ha pure ritenuto ugualmente carenti le indicazioni offerte in ordine alla ripetitività delle mansioni per ritenere riconducibile ad esse la sindrome del tunnel carpale.

Alla stregua di tale ricostruzione, non occorreva alcun ulteriore accertamento in quanto, ai fini della tutela ex art. 2087 cod. civ., parte ricorrente non aveva allegato i presupposti costitutivi del diritto azionato".


 

 

Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: BLASUTTO DANIELA Data pubblicazione: 08/01/2019

 

 

 

Fatto

 


1. La Corte di appello di Venezia ha rigettato l'appello proposto da I.C. e ha confermato, con diversa motivazione, la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Treviso, che aveva dichiarato inammissibile la domanda proposta dalla predetta lavoratrice nei confronti dell'Istituto per Servizi di Ricovero e Assistenza agli Anziani (I.S.R.A.A.), diretta all'accertamento del diritto al risarcimento dei danni conseguenti a malattia professionale e all'accertamento della illegittimità del licenziamento intimato dall'Istituto data 5 maggio 2004.
2. Il Giudice di primo grado aveva affermato, quanto alla domanda risarcitoria, che la ricorrente non aveva allegato l'esistenza di un danno differenziale eccedente le prestazioni erogabili dall'INAIL; quanto al licenziamento del 5 maggio 2004, che tale atto di recesso era stato revocato e sostituito con altro licenziamento del 5 ottobre 2005, il quale era stato impugnato tardivamente, con memoria integrativa nel corso del giudizio di primo grado, da cui l'inammissibilità della relativa domanda.
3. Tale sentenza era stata impugnata dalla I.C., la quale aveva dedotto: a) quanto alla domanda risarcitoria, che il d.lgs. 38/2000 non aveva ridotto le tutele assicurate dalla disciplina previgente, per cui alla tutela indennitaria dell'INAIL si aggiunge quella risarcitoria a carico del datore di lavoro per violazione dell'art. 2087 cod. civ., per cui il Giudice di primo grado avrebbe dovuto dapprima determinare l'indennizzo spettante (mediante accertamento incidentale) e poi determinare il danno differenziale secondo i criteri civilistici, restando a carico del datore di lavoro i danni non coperti dall'indennizzo previdenziale; che il datore di lavoro si era reso responsabile della patologia degenerativa rachidea per avere adibito la ricorrente al sollevamento manuale dei degenti non autosufficienti presenti nell'Istituto, nonché del danno oculistico conseguente al contatto con detergenti utilizzati nell'espletamento dell'attività lavorativa e della sindrome del tunnel carpale; b) quanto alla risoluzione del rapporto di lavoro, che il licenziamento del 28 aprile 2004 era illegittimo in quanto emesso in violazione dell'art. 21 CCNL e mediante il computo nel periodo di comporto di periodi riferibili ad assenze per malattia professionale.
4. Nel respingere tali censure, la Corte di appello ha osservato, quanto alla richiesta di risarcimento dei danni asseritamente indotti dalle modalità di svolgimento delle mansioni, che: a) sin dalle allegazioni introduttive risultava che a partire dal 1988 la ricorrente aveva svolto in maniera solo occasionale la movimentazione manuale dei pazienti non autosufficienti, mentre la patologia lombare si era manifestata a distanza di tre anni, nel 1991; b) generiche e valutative erano le allegazioni circa lo svolgimento delle mansioni di pulizia, la composizione dei detergenti e la nocività dell'ambiente di lavoro; c) con riguardo alla sindrome del tunnel carpale, i capitoli di prova non offrivano elementi per affermare la natura ripetitiva delle mansioni, non essendone descritte le modalità di svolgimento.
Ha dunque ritenuto di confermare la sentenza di primo grado con una motivazione diversa, atteso che nel sistema vigente continua a permanere la responsabilità del datore di lavoro relativamente ai danni, come quello morale, non coperto dall'indennizzo dell'INAIL e, quanto al danno biologico, per la differenza tra quanto erogabile dall'INAIL a ristoro della compromissione del diritto alla salute e quanto di spettanza del lavoratore in base ai criteri di determinazione del danno.
4.1. Quanto all'impugnativa dei due atti di recesso, ha confermato che costituiva una inammissibile mutatio libelli l'impugnazione del licenziamento del 5 ottobre 2005, mentre l'atto di recesso del 9 maggio 2004 era da considerarsi implicitamente revocato alla luce del comportamento tenuto dal datore di lavoro che, accogliendo l'istanza della lavoratrice formulata anteriormente, aveva disposto un accertamento sanitario in data 11 maggio 2005 con il riconoscimento di un ulteriore periodo di assenza non retribuita ex art. 21 CCNL per il periodo dal 9 maggio 2004 all' 11 maggio 2005, disponendo in data 5 ottobre 2005 la risoluzione del rapporto di lavoro per inidoneità assoluta a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, ai sensi del comma 4 dello stesso art. 21 CCNL.
In altri termini, il datore di lavoro aveva aderito alla richiesta della lavoratrice successiva alla delibera del licenziamento del 28 aprile 2004 e la lavoratrice, a sua volta, aveva aderito alla disposizione dell'Istituto di accertamento della idoneità al lavoro. Si era in presenza di comportamenti incompatibili con la volontà di mantenere ferma l'efficacia del primo licenziamento e che esprimevano la volontà comune delle parti di proseguire, senza soluzione di continuità, il rapporto in essere. 
5. Per la cassazione di tale sentenza I.C. propone ricorso affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria ex art. 378 cod. proc. civ.. Resiste con controricorso l'I.S.R.A.A. che, a sua volta, propone ricorso incidentale condizionato, affidato ad un motivo.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo del ricorso principale la lavoratrice denuncia "omesso esame dei motivi di appello secondo, terzo, quarto e quinto - omesso ed insufficiente esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in riferimento all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ.". Lamenta che, quanto alla responsabilità ex art. 2087 cod. civ., il giudice di merito aveva omesso di esaminare la "copiosa documentazione" comprovante la grave patologia degenerativa e il nesso causale con l'attività professionale svolta alle dipendenze dell'Istituto con riferimento, in particolare, alla movimentazione dei pazienti anche dopo il 1988. Del pari la sentenza aveva omesso di considerare che le mansioni erano state dettagliatamente descritte nel ricorso introduttivo.
2. Con il secondo motivo del ricorso principale denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2087 cod. civ., 1218 cod. civ. per avere la sentenza addossato alla lavoratrice l'onere di provare la colpa del datore di lavoro per non avere osservato gli obblighi derivanti dalla norma generale di cui all'art. 2087 cod. civ., mentre, trattandosi di responsabilità contrattuale, la ricorrente aveva solo onere di provare il danno e il nesso causale con l'attività lavorativa, spettando al datore l'onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie per evitare che il danno si verificasse.
3. Con il terzo motivo la ricorrente principale censura la sentenza per "omesso esame del sesto motivo d'appello - omesso ed insufficiente esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in riferimento all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. - violazione e falsa applicazione dell'art. 18 legge n. 300/70". Assume l'erroneità dell'interpretazione del comportamento delle parti. Rileva di avere formulato istanza di aspettativa per motivi di salute e di avere chiesto di essere sottoposta a visita di idoneità in data 3 maggio 2004 e che a fronte di tale richiesta l'Istituto era rimasto inerte, per poi intimare il licenziamento in data 5 maggio 2004.
Inoltre, la sottopostone a visita medico-legale era avvenuta rii maggio 2005 distanza di un anno e il licenziamento a distanza di un anno e mezzo dal precedente; la sequenza dei fatti non poteva avvalorare l'ipotesi della revoca del primo licenziamento, né della accettazione della stessa da parte della ricorrente.
4. Il ricorso è infondato.
5. Innanzitutto, è contraddittoria la denuncia contestuale di omesso esame di motivi di appello e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio. La differenza fra l'omessa pronuncia di cui all'art. 112 cod. proc. civ. e l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio di cui al n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. si coglie, nel senso che nella prima l'omesso esame concerne direttamente una domanda od un'eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d'appello uno dei fatti costitutivi della "domanda" di appello), mentre nel caso dell'omessa motivazione l'attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l'eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un'eccezione (Cass. 14 marzo 2006 n. 5444; conf. Cass. 25714 del 2014, n. 1539 del 2018; v. pure Cass. 7268 del 2012). Alla stregua di tale principio, il motivo dev'essere considerato inammissibile, poiché non può al contempo prospettarsi che il giudice di appello abbia omesso di pronunciare su uno o più motivi di appello e contestarsi la congruità del giudizio espresso da quel giudice che, entrando nell'esame di quel motivo, l'abbia respinto.
5.1. Per altro verso, anche a voler distinguere all'interno del primo motivo la denuncia dei vizi di natura processuale da quelli relativi all'apprezzamento dei fatti, deve rilevarsi, quanto ai primi, che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali resta condizionato, a pena di inammissibilità, all'adempimento da parte del ricorrente - per il principio di indicazione e allegazione di cui all'art. 366 nn. 3 e 6 cod. proc. civ., che non consente il rinvio per relationem agli atti della fase di merito - dell'onere di parte ricorrente di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (ex plurimis, Cass. n. 15367 del 2014). Nel caso in esame, i motivi di appello asseritamente omessi non sono stati riportati nel ricorso per cassazione, da cui il rilievo preliminare di inammissibilità del motivo. 
5.2. In ordine alla presunta violazione dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., le Sezioni Unite hanno chiarito, con la sentenza n. 8053 del 2014, con riguardo ai limiti della denuncia di omesso esame di una quaestio facti, che il nuovo testo dell'art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. consente tale denuncia nei limiti dell'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In proposito, è stato, altresì, affermato che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Nella specie, il ricorso si limita a denunciare l'erroneità della sentenza per avere escluso il nesso causale tra la patologia degenerativa rachidea e l'attività professionale, lamentando l'inadeguato o erroneo esame della documentazione prodotta dalla ricorrente. Del pari, il motivo rinvia agli atti per supportare la riconducibilità delle altre due patologie lamentate all'ambiente lavorativo e alle condizioni di svolgimento delle mansioni. La denuncia non risponde ai requisiti sopra indicati; il motivo tende nel suo complesso a contestare l'interpretazione della domanda giudiziale in ordine al contenuto più o meno generico delle allegazioni e a proporre una diversa valutazione del materiale istruttorio rispetto al suo apprezzamento giudiziale. La censura di omesso esame di un fatto decisivo si risolve, nella sostanza, in una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito della causa.
6. Infondato è il secondo motivo.
Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, il lavoratore che agisca, nei confronti del datore di lavoro, per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento ed il danno, ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione ex art. 1218 cod. civ. (ex plurimis, tra le più recenti, Cass. n. 10319 del 2017, 9817 del 2008).
La Corte di appello ha ritenuto che le allegazioni della ricorrente escludessero il nesso causale tra le mansioni e la patologia; ha infatti osservato che era trascorso del tempo (alcuni anni) tra il momento del mutamento delle mansioni con il passaggio ad una movimentazione solo occasionale del pazienti non autosufficienti (anno 1988) e riscontro della patologia lombare (1991) per cui erano carenti le allegazioni (di merito) per ritenere sussistente tale nesso. Ha poi ritenuto che la genericità delle allegazioni circa l'asserita insalubrità dell'ambiente lavorativo e circa l'uso dei detergenti non consentiva di ritenere sussistente il nesso causale tra mansioni e la patologia oculare. Ha pure ritenuto ugualmente carenti le indicazioni offerte in ordine alla ripetitività delle mansioni per ritenere riconducibile ad esse la sindrome del tunnel carpale. Alla stregua di tale ricostruzione, non occorreva alcun ulteriore accertamento in quanto, ai fini della tutela ex art. 2087 cod. civ., parte ricorrente non aveva allegato i presupposti costitutivi del diritto azionato, nel senso sopra chiarito.
7. Quanto al terzo motivo, che denuncia promiscuamente omesso esame di un motivo di appello (art. 360 n. 4 cod. proc. civ. in relazione all'art. 112 cod. proc. civ.) e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), valgono le medesime considerazioni già svolte con riguardo al primo motivo. In particolare, il dedotto error in procedendo, confliggente con il denunciato vizio di motivazione, non è neppure supportato dalla trascrizione del motivo di appello asseritamente omesso.
In ogni caso, vi è un accertamento di fatto - contenuto della sentenza impugnata e neppure contestato - secondo il quale la delibera del primo licenziamento risaliva al 28 aprile 2004 ed era dunque anteriore alla richiesta della lavoratrice del 3 maggio 2004.
In tale contesto non è errato in punto di fatto, né illogico quanto ritenuto dalla Corte territoriale circa la rilevanza - ai fini interpretativi - del comportamento datoriale che, seppure realizzatosi mediante un nuovo accertamento medico avvenuto a distanza di un anno - ha riconosciuto con effetto retroattivo il diritto della ricorrente ad un periodo di aspettativa idoneo a coprire l'intero arco di tempo trascorso tra il licenziamento del maggio 2004 e il momento del nuovo accertamento medico, in applicazione del CCNL (art. 21). Non è neppure illogica l'interpretazione del comportamento tenuto dalla ricorrente che, sottoponendosi alla visita medico-legale, ebbe così a riconoscere implicitamente la sussistenza in atto del rapporto di lavoro. Difatti, l'uno e l'altro comportamento, di parte datoriale e della dipendente, costituivano manifestazioni di volontà compatibili solo con un rapporto sinallagmatico in atto.
8. Con il ricorso incidentale, espressamente qualificato come condizionato, l'Istituto resistente impugna il capo della sentenza di appello con cui è stata parzialmente riformata la sentenza di primo grado relativamente alla declaratoria di inammissibilità della domanda. Assume che la sentenza di appello, diversamente da quella del primo Giudice, ha ritenuto non risolutiva, ai fini dell'accertamento della responsabilità datoriale per violazione dell'art. 2087 cod. civ., la circostanza della mancata presentazione di richiesta di indennizzo all'INAIL ex d.lgs. 38 del 2001. Ritiene l'erroneità di tale statuizione per violazione dell'art. 13 d.lgs. 38 del 2000 e dell'art. 10 d.p.r. n. 1124 del 1965 per essere la presentazione di tale richiesta prodromica all'accertamento del c.d. danno differenziale e condizione di proponibilità della relativa domanda giudiziale nei confronti di parte datoriale.
8.1. In ricorso incidentale resta assorbito, in quanto condizionato all'accoglimento del ricorso principale.
9. Il ricorso principale va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell'art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
10. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l'incidentale condizionato; condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 4.000,00 per compensi e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del commal-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2018