Cassazione Penale, Sez. 4, 21 gennaio 2019, n. 2590 - Caduta mortale dall'alto. Responsabilità di un coordinatore per la progettazione e l'esecuzione dei lavori


 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: DI SALVO EMANUELE Data Udienza: 03/10/2018

 

Fatto

 


1. D'A.F. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all'art. 589 cod.pen. perché, in qualità di coordinatore per la progettazione e l'esecuzione dei lavori, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e in violazione delle normative di prevenzione degli infortuni sul lavoro, non predisponendo misure di sicurezza idonee a prevenire la caduta dall'alto, cagionava la morte di C.C., il quale, mentre era intento alla posa in opera di lastre di marmo sulla parete esterna del vano scala di un fabbricato in costruzione, senza alcuna impalcatura, ponteggio o altra cautela, rovinava al suolo da un'altezza di circa 4-5 m.
2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché né il funzionario della ASL di Caserta né i Carabinieri, giunti circa tre ore dopo l'infortunio, sono riusciti ad accertare l'esatta dinamica dei fatti. Secondo l'ipotesi accusatoria, vi era un cavalletto sul quale lavorava il C.C. ma questo cavalletto non è mai stato trovato e inoltre si assume che i fatti siano avvenuti in un luogo diverso da quello in cui la persona offesa stava, in realtà, lavorando. Né è possibile stabilire con precisione l'attività svolta dal C.C. la mattina in cui si è verificato l'infortunio, poiché non era possibile che qualcuno avesse ordinato al C.C. di incollare i marmi, in quanto la consegna di questi ultimi sarebbe avvenuta a dicembre. Si è trattato, pertanto, di un comportamento abnorme e imprevedibile da parte della persona offesa, che si è posto al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dell'imputato.
2.1. Ingiustificatamente è stata negata la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante e la pena non è stata quantificata nei minimi edittali, nonostante l'imputato non sia gravato da precedenti penali e da carichi pendenti e le parti lese siano state ampiamente risarcite.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.
 

 

Diritto

 


l. Il primo motivo di ricorso esula dal novero delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni, a preferenza di altre (Sez. U., 13-12-1995, Clarke, Rv. 203428).
2. Nel caso di specie, il giudice a quo ha evidenziato che le lesioni riportate dalla persona offesa sono state giudicate compatibili con una precipitazione di media altezza e cioè da meno di 10 m: altezza compatibile con quella di una nicchia che iniziava dal piano di calpestio del secondo piano, ad oltre 3 m da terra, e che finiva due piani più in alto, ad oltre 6 m, a cui si deve aggiungere l'altezza raggiunta con i cavalletti sui quali il C.C. stava verosimilmente lavorando. La caduta del C.C., con conseguente impatto violento al suolo, ha costituito la causa dell'evento- morte dell'Infortunato. Sull'imputato, che rivestiva qualità di coordinatore per la progettazione e l'esecuzione dei lavori, gravavano gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza dei lavoratori, di talché la sua condotta omissiva ha costituito condicio sine qua non dell'evento- morte, non avendo egli predisposto alcuna opera provvisionale né attrezzature adeguate a prevenire la caduta dall'alto del C.C.. Dalle cadenze motivazionali della sentenza d'appello è dunque enucleabile una attenta analisi della regiudicanda, poiché la Corte territoriale ha preso in esame tutte le deduzioni difensive ed è pervenuta alle proprie conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. Trattasi dunque di apparato esplicativo puntuale, coerente, privo di discrasie concettuali, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sull'attendibilità delle acquisizioni probatorie, giacché questa prerogativa è attribuita al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da quest'ultimo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze agli atti, si sottraggono al sindacato di legittimità ( Sez. U. 25-11-1995 , Facchini , Rv. 203767).
3. Infondato è anche l'asserto secondo cui è da ravvisarsi abnormità del comportamento del lavoratore. Quest'ultimo può, infatti, essere ritenuto abnorme allorquando sia consistito in una condotta radicalmente, ontologicamente, lontana dalle ipotizzabili, e quindi prevedibili, scelte, anche imprudenti, del lavoratore, nell'esecuzione del lavoro (Cass., Sez. 4, n. 7267 del 10-11-2009, Rv. 246695). È dunque abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. Tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro assegnatogli ( Cass., Sez. 4, n. 23292 del 28-4-2011, Rv. 250710) o che abbia espletato un incombente che, anche se inutile ed imprudente, non risulti eccentrico rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate, nell'ambito del ciclo produttivo ( Cass., Sez. 4, n. 7985 del 10-10-2013, Rv. 259313) .
3.1.Nel caso in esame, il giudice a quo ha evidenziato che il lavoratore stava ponendo in opera le lastre di marmo di rivestimento della nicchia: dunque un'operazione rientrante appieno nelle sue mansioni. Non può quindi ravvisarsi abnormità del comportamento del lavoratore. Ciò è del tutto conforme al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui compito del titolare della posizione di garanzia è evitare che si verifichino eventi lesivi dell'incolumità fisica intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, anche nell'ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni dei lavoratori subordinati, la cui incolumità deve essere protetta con appropriate cautele. Il garante non può, infatti, invocare, a propria scusa, il principio di affidamento, assumendo che il comportamento del lavoratore era imprevedibile, poiché tale principio non opera nelle situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia (Cass., Sez. 4., 22-10-1999, Grande, Rv. 214497). Il garante, dunque, ove abbia negligentemente omesso di attivarsi per impedire l'evento, non può invocare, quale causa di esenzione dalla colpa, l'errore sulla legittima aspettativa in ordine all'assenza di condotte imprudenti, negligenti o imperite da parte dei lavoratori, poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti dalle sue stesse imprudenze e negligenze o dai suoi stessi errori, purché connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa (Cass., Sez. 4, n. 18998 del 27-3-2009, Rv. 244005). Ne deriva che il titolare della posizione di garanzia è tenuto a valutare i rischi e a prevenirli e la sua condotta non è scriminata, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, da eventuali responsabilità dei lavoratori (Cass., Sez. 4, n. 22622 del 29-4-2008, Rv. 240161). Da ciò consegue che non può essere ravvisata, nel caso di specie, interruzione del nesso causale. L'operatività dell'art. 41, comma 2, cod. pen. è infatti circoscritta ai casi in cui la causa sopravvenuta inneschi un rischio nuovo e del tutto incongruo rispetto al rischio originario, attivato dalla prima condotta (Cass., Sez. 4, n. 25689 del 3-5-2016, Rv. 267374; Sez. 4, n. 15493 del 10-3-2016, Pietramala, Rv. 266786; n. 43168 del 2013, Rv. 258085). Non può, pertanto, ritenersi causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, il comportamento imprudente di un soggetto, nella specie il lavoratore, che si riconnetta ad una condotta colposa altrui, nella specie a quella del datore di lavoro (Cass., Sez. 4, n. 18800 del 13-4-2016, Rv. 267255; n. 17804 del 2015, Rv. 263581; n. 10626 del 2013, Rv. 256391). L'interruzione del nesso causale è infatti ravvisabile esclusivamente qualora il lavoratore ponga in essere una condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative alle quali è addetto ed incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero non osservi precise disposizioni antinfortunistiche. In questi casi, è configurabile la colpa dell'infortunato nella produzione dell'evento, con esclusione della responsabilità penale del titolare della posizione di garanzia (Cass., Sez. 4, 27-2-1984, Monti, Rv. 164645; Sez. 4, 11-2-1991, Lapi, Rv. 188202) . Ma abbiamo visto come, nel caso in disamina, l'operazione che stava effettuando il lavoratore rientrasse appieno nelle sue attribuzioni. Si esula pertanto dall'ambito applicativo dell'art. 41, comma 2, cod. pen.
5. In ordine all'ultimo motivo di ricorso occorre osservare come le determinazioni del giudice di merito in ordine al trattamento sanzionatorio siano insindacabili in cassazione ove sorrette da motivazione esente da vizi logico-giuridici. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata è senz'altro da ritenersi adeguata, avendo la Corte territoriale fatto riferimento alla gravità della condotta omissiva tenuta dall'imputato, al quale comunque erano state concesse, già in primo grado, le attenuanti generiche, e alla drammaticità delle conseguenze derivatene, da cui è scaturita la morte del lavoratore.
5. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila, determinata secondo equità , in favore della Cassa delle ammende.
 

 

P.Q.M.
 

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
così deciso in Roma il 3.10.2018