Cassazione Civile, Sez. Lav., 30 gennaio 2019, n. 2682 - Danno patrimoniale da perdita di capacità di lavoro. Revocazione


 

 

 

Presidente: DI CERBO VINCENZO Relatore: BOGHETICH ELENA Data pubblicazione: 30/01/2019

 

Fatto

 


1. Con sentenza n. 69 depositata il 22.4.2016 la Corte di appello di Trieste rigettava il ricorso per revocazione della sentenza n. 44 del 29.4.2014 emessa dalla stessa Corte di appello che, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Gorizia, riteneva totalmente risarcito tramite indennizzo erogato dall'INAIL il danno patrimoniale per perdita della capacità di lavoro specifica subito da S.P. nell'infortunio del 30.7.2003 presso il datore di lavoro Vopachel s.r.l., liquidava a L.G., madre del lavoratore infortunato, un danno biologico riflesso pari a euro 15.000,00 e dichiarava esente da responsabilità la società A&S Ambiente e Sviluppo F.V.G. in quanto società di consulenza esterna al responsabile del servizio prevenzione del datore di lavoro.
2. La Corte distrettuale rilevava che la sentenza oggetto di revocazione aveva, con particolare riguardo al danno patrimoniale lamentato dal lavoratore, applicato un coefficiente di capitalizzazione diverso da quello considerato dal giudice di primo grado, pervenendo, peraltro, al medesimo risultato di completo assorbimento del danno da parte dell'indennizzo erogato dall'INAIL; rilevava che la doppia sottrazione dei danni liquidati dall'INAIL era frutto di valutazione congetturale del ricorrente con conseguente insussistenza di una svista materiale da parte del giudice di appello.
3. Avverso la detta sentenza S.P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrato da memoria. La società Cattolica Assicurazione coop. a r.l. resiste con controricorso. Le società Vopachel s.r.l. e A&S Ambiente e Sviluppo F.V.G. sono rimaste intimate.
 

 

Diritto

 


1. Con i due motivi di ricorso si denunzia nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 cod.proc.civ. nonché violazione e/o falsa applicazione dell'art. 395, primo comma, n. 4 cod.proc.civ. (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, adottato un'interpretazione riduttiva dell'istituto della revocazione, trascurando che l'ipotizzata doppia sottrazione (dell'indennità erogata dall'INAIL) era la sola spiegazione razionale dell'errore percettivo commesso dal giudice di appello, errore di tipo matematico, in quanto non poteva ottenersi lo stesso risultato a fronte dell'uso (rispettivamente del Tribunale e del giudice di appello) di coefficienti di capitalizzazione tra loro quasi incommensurabili (rispettivamente 9,49 e 25,9828). 
2. Il ricorso non è fondato.
L'errore rilevante ex art. 395 n.4 cod. proc. civ. consiste nella erronea percezione del fatti di causa che abbia indotto la supposizione della esistenza o della inesistenza di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa, a condizione che il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito. Muovendo da detta premessa questa Corte ha evidenziato che: l'errore non può riguardare la attività interpretativa e valutativa; deve avere i caratteri della assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo nel senso che tra la percezione erronea e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l'errore la pronuncia sarebbe stata sicuramente diversa ( Cass. 5.7.2004 n.12283; Cass. 20.2.2006 n. 3652; Cass. 9.5.2007 n. 10637; Cass. 26.2.2008 n. 5075; Cass. 29.10.2010 n. 22171; Cass. 15.12.2011 n.27094).
La Corte distrettuale si è conformata ai suddetti principi rilevando che non ricorrevano, nella fattispecie esaminata, i requisiti di cui all'art. 395, primo comma, n. 4, cod.proc.civ. La sentenza impugnata per revocazione, quanto alla quantificazione del danno patrimoniale, non appare fondata su un presupposto di fatto erroneo, avendo il giudice di appello proceduto applicando una formula matematica e calcolando il valore attuale della rendita inserendo dati pacifici e non contestati (quali il reddito annuo, l'età del lavoratore infortunato, il tasso di invalidità specifica, il danno liquidato dall'INAIL, lo scarto fra vita fisica e vita lavorativa).
La Corte distrettuale ha correttamente ritenuto che non si evidenziava alcun errore di percezione su una circostanza di fatto che emergeva con evidenza dagli atti.
3. In conclusione il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il principio della soccombenza dettato dall'art. 91 cod.proc.civ.
6. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di consiglio del 28 novembre 2018.