Conclusioni dell'Avvocato generale, 31 gennaio 2019, n. 55 - C-55/18 - L’obbligo della misurazione dell’orario di lavoro giornaliero svolge una funzione essenziale allo scopo di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro


 

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 31 gennaio 2019(1)



Causa C‑55/18


Federación de Servicios de Comisiones Obreras (CCOO)

contro

Deutsche Bank SAE,

con l’intervento di:

Federación Estatal de Servicios de la Unión General de Trabajadores (FES-UGT),

Confederación General del Trabajo (CGT),

Confederación Solidaridad de Trabajadores Vascos (ELA),

Confederación Intersindical Galega (CIG)

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Audiencia Nacional (Corte centrale, Spagna)]

 

 

 

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori – Organizzazione dell’orario di lavoro – Direttiva 2003/88/CE – Riposo giornaliero – Riposo settimanale – Durata massima della settimana lavorativa – Articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali – Direttiva 89/391/CEE – Sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo di lavoro – Obbligo per le imprese di instaurare un sistema di misurazione dell’orario giornaliero di lavoro»

Fonte: Sito web InfoCuria

 




1. Per assicurare la piena effettività della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro, obiettivi perseguiti dalla direttiva 2003/88/CE (2) attraverso, tra l’altro, la fissazione di limiti massimi ai tempi di lavoro, è necessario che gli Stati membri prevedano l’obbligo per il datore di lavoro di introdurre strumenti di misurazione dell’effettiva durata della giornata e della settimana lavorativa?

2. Questa è, in sostanza, la questione sollevata dalla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte di giustizia dall’Audiencia Nacional (Corte centrale, Spagna) oggetto del presente giudizio. Tale domanda è sorta nell’ambito di una controversia collettiva introdotta da alcuni sindacati dei lavoratori con l’obiettivo di accertare e far dichiarare l’obbligo in capo alla convenuta, la Deutsche Bank SAE (in prosieguo: la «Deutsche Bank»), di istituire un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero effettivo realizzato che consenta di verificare l’adeguato rispetto degli orari fissati dalle disposizione di legge e dai contratti collettivi.

3. Nelle presenti conclusioni illustrerò le ragioni per le quali ritengo che dal diritto dell’Unione discenda per gli Stati membri l’obbligo di introdurre una disciplina dei tempi di lavoro che, pur con i margini di discrezionalità garantiti agli Stati membri in ragione della funzione di armonizzazione minima della direttiva 2003/88, assicuri l’effettivo rispetto delle regole sui limiti dei tempi di lavoro, mediante l’introduzione di sistemi di misurazione del lavoro effettivamente prestato. L’assenza di simili meccanismi nell’ordinamento di uno Stato membro pregiudica, infatti, a mio avviso, l’effetto utile della citata direttiva.

4. Ritengo, pertanto, che la direttiva 2003/88 osti ad una legislazione nazionale che non imponga espressamente ai datori di lavoro alcuna forma di misurazione o controllo del tempo di lavoro ordinario dei lavoratori in generale.

I. Quadro giuridico

A. Diritto dell’Unione


5. Il considerando 4 della direttiva 2003/88 enuncia quanto segue:

«(4) Il miglioramento della sicurezza, dell’igiene e della salute dei lavoratori durante il lavoro rappresenta un obiettivo che non può dipendere da considerazioni di carattere puramente economico».

6. L’articolo 3 della direttiva 2003/88, rubricato «Riposo giornaliero» dispone:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive».

7. Ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2003/88, rubricato «Riposo settimanale»:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, per ogni periodo di 7 giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore a cui si sommano le 11 ore di riposo giornaliero previste all’articolo 3. Se condizioni oggettive, tecniche o di organizzazione del lavoro lo giustificano, potrà essere fissato un periodo minimo di riposo di 24 ore».

8. L’articolo 6 della direttiva 2003/88, rubricato «Durata massima settimanale del lavoro» dispone:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori:

a) la durata settimanale del lavoro sia limitata mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative oppure contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali;

b) la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario».

9. L’articolo 22 della direttiva 2003/88, rubricato «Disposizioni varie» dispone:

«Gli Stati membri hanno facoltà di non applicare l’articolo 6, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, a condizione che assicurino, mediante le necessarie misure a tale scopo, che:

a) nessun datore di lavoro chieda a un lavoratore di lavorare più di 48 ore nel corso di un periodo di 7 giorni, calcolato come media del periodo di riferimento di cui all’articolo 16, lettera b), a meno che non abbia ottenuto il consenso del lavoratore all’esecuzione di tale lavoro;

b) nessun lavoratore possa subire un danno per il fatto che non è disposto ad accettare di effettuare tale lavoro;

c) il datore di lavoro tenga registri aggiornati di tutti i lavoratori che effettuano tale lavoro;

d) i registri siano messi a disposizione delle autorità competenti che possono vietare o limitare, per ragioni di sicurezza e/o di salute dei lavoratori, la possibilità di superare la durata massima settimanale del lavoro;

e) il datore di lavoro, su richiesta delle autorità competenti, dia loro informazioni sui consensi dati dai lavoratori all’esecuzione di un lavoro che superi le 48 ore nel corso di un periodo di 7 giorni, calcolato come media del periodo di riferimento di cui all’articolo 16, lettera b).

(…)

3. Quando si avvalgono delle facoltà di cui al presente articolo, gli Stati membri ne informano immediatamente la Commissione».

10. L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (3) dispone:

«Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie per garantire che i datori di lavoro, i lavoratori e i rappresentanti dei lavoratori siano sottoposti alle disposizioni giuridiche necessarie per l’attuazione della presente direttiva».

11. L’articolo 11, paragrafo 3, della direttiva 89/391 enuncia:

«I rappresentanti dei lavoratori i quali hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori hanno il diritto di chiedere al datore di lavoro di prendere misure adeguate e di presentargli proposte in tal senso, per ridurre qualsiasi rischio per i lavoratori e/o eliminare le cause di pericolo».

B. Diritto spagnolo

12. L’articolo 34 de l’Estatuto de los Trabajadores, nella sua versione risultante dal Real decreto legislativo (Regio decreto legislativo) 2/2015, che ha approvato il testo riformato dello Statuto dei lavoratori, del 23 ottobre 2015 (4) (in prosieguo: lo «Statuto dei lavoratori»), dispone quanto segue:

«1. La durata dell’orario di lavoro è quella stabilita nei contratti collettivi o nei contratti individuali. La durata massima dell’orario di lavoro ordinario è di 40 ore a settimana di lavoro effettivo calcolato sulla media dell’anno. (…)

3. Devono trascorrere almeno dodici ore tra la fine di un periodo di lavoro e l’inizio del periodo seguente. Il numero di ore ordinarie di lavoro effettive non può superare le nove ore al giorno, a meno che un accordo collettivo o, in mancanza di questo, un accordo concluso tra l’impresa e i rappresentanti dei lavoratori non preveda un’altra ripartizione dell’orario di lavoro giornaliero; il riposo tra i periodi di lavoro deve in ogni caso essere rispettato. (…)».

13. L’articolo 35 dello Statuto dei lavoratori, rubricato «Lavoro straordinario», così dispone:

«1. Costituiscono ore di lavoro straordinario le ore di lavoro prestate oltre la durata massima dell’orario di lavoro ordinario stabilito in conformità all’articolo che precede. (…)

2. Il numero di ore di lavoro straordinario non può eccedere le 80 ore all’anno. (…).

4. La prestazione di ore di lavoro straordinario è volontaria, salvo che sia stato stabilito in un accordo collettivo o in un contratto individuale di lavoro, nei limiti previsti nel paragrafo 2.

5. Ai fini del calcolo delle ore di lavoro straordinario, l’orario di lavoro di ciascun lavoratore è registrato di giorno in giorno e sommato al momento fissato per il pagamento della remunerazione, consegnando al lavoratore una copia del prospetto nel giustificativo del versamento corrispondente».

14. La terza disposizione addizionale del Real Decreto 1561/1995, de 21 de septiembre 1995, sobre jornadas especiales de trabajo (regio decreto 1561/1995, del 21 settembre 1995, relativo agli orari speciali di lavoro) (5), rubricato «Competenze dei rappresentanti dei lavoratori in materia di orario di lavoro», enuncia:

«Senza pregiudizio delle competenze riconosciute ai rappresentanti dei lavoratori in materia di orario di lavoro nello statuto dei lavoratori e nel presente regio decreto, quei rappresentanti hanno il diritto (…):

a) (…)

b) di essere informati ogni mese dal datore di lavoro sulle ore di lavoro straordinario effettuate dai lavoratori, quale che sia la forma di compensazione adottata; essi ricevono a questo fine una copia del prospetto di cui all’articolo 35, paragrafo 5, dello statuto dei lavoratori».

II. Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali

15. In data 26 luglio 2017, la Federación de Servicios de Comisiones Obreras (CCOO), un sindacato di lavoratori che fa parte dell’organizzazione sindacale più rappresentativa a livello statale in Spagna, ha presentato un ricorso collettivo dinanzi alla Audiencia Nacional (Corte centrale) contro la Deutsche Bank, chiedendo la pronuncia di una sentenza che dichiarasse l’obbligo a carico di quest’ultima di istituire un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero effettivo svolto dal personale dipendente.

16. Tale sistema dovrebbe consentire la verifica, da un lato, del rispetto dell’orario di lavoro stabilito e, dall’altro, dell’obbligo di trasmettere ai rappresentanti sindacali le informazioni relative al lavoro straordinario effettuato mensilmente, in osservanza dell’articolo 35, comma 5, dello statuto dei lavoratori e della terza disposizione addizionale del regio decreto 1561/1995.

17. Nel giudizio sono intervenute, a supporto della posizione della CCOO, quattro altre organizzazioni sindacali: la Federación Estatal de Servicios de la Unión General de Trabajadores (FES-UGT), la Confederación General del Trabajo (CGT), la Confederación Solidaridad de Trabajadores Vascos (ELA), la Confederación Intersindacal Galega (CIG).

18. Ad avviso dei ricorrenti l’obbligo di stabilire un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero discende dall’interpretazione degli articoli 34 e 35 dello Statuto dei lavoratori, letti in combinato disposto con l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali e con gli articoli 3, 5, 6, 8 e 22 della direttiva 2003/88. La Deutsche Bank sostiene, invece, che dalle sentenze del Tribunal Supremo (Corte suprema) del 23 marzo e del 20 aprile 2017 discende che il diritto spagnolo non prevede un tale obbligo generale.

19. L’Audiencia Nacional (Corte centrale) ha constatato che, benché l’impresa convenuta sia vincolata a diverse regole sui tempi di lavoro, derivanti da una pluralità di accordi collettivi nazionali di settore e aziendali, essa non utilizza alcun tipo di registrazione dell’orario di lavoro effettivo svolto dal personale che consenta di verificare il rispetto delle regole sui tempi di lavoro stabilite dalle disposizioni di legge e dagli accordi collettivi nonché l’eventuale svolgimento di ore di lavoro straordinario. L’impresa convenuta utilizza un’applicazione informatica (Absences Calendar) la quale permette di registrare esclusivamente le assenze per un giorno intero (ferie, permessi, assenze per malattia, etc.).

20. La Inspección de Trabajo y Seguridad Social (Ispettorato del Lavoro e della Previdenza sociale) delle Province di Madrid e Navarra ha chiesto alla convenuta di istituire un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero e, di fronte all’inosservanza di tali richieste, ha redatto un verbale di accertamento con proposta di sanzione. La sanzione non è stata applicata in ragione della sentenza del Tribunal Supremo (Corte suprema) del 23 marzo 2017.

21. Il giudice del rinvio espone che, in tale sentenza, resa in assemblea plenaria ma con alcune opinioni dissenzienti, il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha escluso l’esistenza nel diritto spagnolo di un obbligo generale di registrare l’orario di lavoro ordinario. In particolare, il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha sottolineato che l’articolo 35, comma 5, dello Statuto dei lavoratori obbliga unicamente alla tenuta di un registro delle ore di lavoro straordinario effettuate e a comunicare alla fine di ogni mese il numero delle ore eventualmente svolte dai lavoratori ai loro rappresentanti sindacali.

22. A fondamento della suddetta decisione il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha articolato, in sostanza, i seguenti motivi: l’obbligo della tenuta del registro è contenuta nell’articolo 35 dello Statuto dei lavoratori, relativo alle ore di lavoro straordinario e non nell’articolo 34, relativo all’orario di lavoro; quando il legislatore spagnolo ha voluto imporre un tale registro lo ha fatto in modo specifico come per i lavoratori a tempo parziale e i lavoratori mobili, marittimi o ferroviari; l’articolo 22 della direttiva 2003/88 impone, come il diritto spagnolo, l’obbligo di tenere un registro dell’orario di lavoro speciale e non dell’orario di lavoro normale che non ecceda la durata massima prevista; la tenuta di un tale registro implicherebbe il trattamento di dati personali del lavoratore con i rischi di un’ingerenza ingiustificata dell’impresa nella vita privata del lavoratore; la mancata tenuta di un tale registro non è qualificata come una violazione chiara e manifesta delle regole relative alle infrazioni e alle sanzioni in materia sociale; una tale interpretazione non lederebbe il diritto di difesa in giudizio del lavoratore dal momento che, ai sensi delle norme procedurali spagnole, non è impedito al lavoratore di provare con altri mezzi l’eventuale svolgimento di ore di lavoro straordinario.

23. Il giudice del rinvio esprime dubbi sulla conformità della posizione del Tribunal Supremo (Corte suprema) al diritto dell’Unione. A tal riguardo osserva, anzitutto, che un’inchiesta sulla forza lavoro in Spagna del 2016 ha rivelato che il 53,7% delle ore di lavoro straordinario non sono registrate. Inoltre, due rapporti (del 31 luglio 2014 e del 1° marzo 2016) della Direzione generale del lavoro del Ministero del lavoro e della sicurezza sociale spagnolo hanno affermato che, al fine di accertare se sono state svolte ore di lavoro straordinario, è necessario conoscere con esattezza il numero di ore di lavoro svolte; ciò spiega perché gli Ispettori del lavoro hanno chiesto l’introduzione di un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero, considerato l’unico mezzo in grado di verificare eventuali superamenti dei limiti massimi previsti nel periodo di riferimento. Il giudice del rinvio rileva altresì che l’interpretazione del diritto spagnolo adottata dal Tribunal Supremo (Corte suprema) avrebbe come conseguenza, nella pratica, che i lavoratori non disporrebbero di un mezzo di prova essenziale per dimostrare una prestazione eccedente le ore di lavoro ordinarie e i loro rappresentanti non avrebbero a disposizione un mezzo necessario per verificare il rispetto delle regole, con la conseguenza ulteriore che il controllo del rispetto dell’orario di lavoro e dei periodi di riposo sarebbe lasciato al mero arbitrio del datore di lavoro.

24. Secondo il giudice del rinvio, in tale situazione, il diritto nazionale non sarebbe in grado di garantire l’effettività del rispetto degli obblighi relativi alla gestione dei tempi di lavoro previsti dalla direttiva 2003/88 e, per quanto attiene ai diritti dei rappresentanti dei lavoratori, dalla direttiva 89/391.

25. In tale contesto, l’Audiencia Nacional (Corte centrale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se il Regno di Spagna, con gli articoli 34 e 35 dello Statuto dei lavoratori, quali progressivamente interpretati dalla giurisprudenza, abbia adottato le misure necessarie per garantire l’effettività dei limiti di durata dell’orario di lavoro e del riposo settimanale e giornaliero stabiliti dagli articoli 3, 5 e 6 della direttiva 2003/88 (…), per i lavoratori a tempo pieno che non si siano impegnati in forma espressa, individualmente o collettivamente, a effettuare ore di lavoro straordinario e che non presentino la qualifica di lavoratori mobili, della marina mercantile o ferroviari.

2) Se l’articolo 31, paragrafo 2 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea e gli articoli 3, 5, 6, 16 e 22 della direttiva 2003/88 (…), in relazione agli articoli 4, paragrafo 1, 11, paragrafo 3 e 16, paragrafo 3 della direttiva 89/391 (…), debbano interpretarsi nel senso che ostano ad una normativa nazionale interna, quali gli articoli 34 e 35 dello Statuto dei lavoratori, da cui, come posto in rilievo da giurisprudenza consolidata, non si può dedurre l’obbligo per le imprese di instaurare un sistema di registrazione dell’orario giornaliero di lavoro effettivo per i lavoratori a tempo pieno che non si siano impegnati in forma espressa, individualmente o collettivamente, a effettuare ore di lavoro straordinario e che non presentino la qualifica di lavoratori mobili, della marina mercantile o ferroviari.

3) Se l’ingiunzione perentoria agli Stati membri, di cui all’articolo 31, paragrafo 2 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, e agli articoli 3, 5, 6, 16 e 22 della direttiva 2003/88 (…), in relazione agli articoli 4, paragrafo 1, 11, paragrafo 3 e 16, paragrafo 3, della direttiva 89/391 (…), di limitare la durata dell’orario di lavoro di tutti i lavoratori in generale, sia garantita per i lavoratori comuni con la normativa di diritto interno, contenuta negli articoli 34 e 35 dello Statuto dei lavoratori dai quali, come posto in rilievo da giurisprudenza consolidata, non si può dedurre l’obbligo per le imprese di instaurare un sistema di registrazione dell’orario giornaliero di lavoro effettivo per i lavoratori a tempo pieno che non si siano impegnati in forma espressa, individualmente o collettivamente, a effettuare ore di lavoro straordinario, a differenza dei lavoratori mobili, della marina mercantile o ferroviari».

III. Analisi giuridica

A. Osservazioni preliminari


26. A titolo preliminare occorre, a mio avviso, rilevare che, come messo in evidenza dalla Commissione nelle sue osservazioni, le tre questioni pregiudiziali poste dal giudice del rinvio, sono connesse tra loro e si sovrappongono per diversi aspetti.

27. In effetti, risulta alla loro lettura che la risposta alla prima questione consegue alla risposta alla seconda e alla terza questione pregiudiziale le quali, tra loro, sono sovrapponibili nei contenuti.

28. In sostanza, con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede alla Corte se disposizioni di diritto nazionale, quali gli articoli 34 e 35 dello Statuto dei lavoratori come interpretati dal Tribunal Supremo (Corte suprema), consentano un’effettiva tutela del lavoratore in materia di durata della giornata e della settimana lavorativa e di riposi giornalieri e settimanali, quale prevista in attuazione del diritto dell’Unione, pur non imponendo la tenuta di un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero.

29. In tale contesto, ritengo pertanto opportuno esaminare congiuntamente le tre questioni pregiudiziali poste dal giudice del rinvio, riformulandole nei termini seguenti: l’articolo 31, paragrafo 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e gli articoli 3, 5, 6, 16 e 22 della direttiva 2003/88, in relazione agli articoli 4, paragrafo 1, 11, paragrafo 3, e 16, paragrafo 3, della direttiva 89/391, disposizioni che attraverso l’imposizione di limiti di durata all’orario di lavoro perseguono l’obiettivo di un’effettiva tutela della salute e della sicurezza del lavoratore sui luoghi di lavoro, ostano a una normativa nazionale, come quella contenuta negli articoli 34 e 35 dello Statuto dei lavoratori spagnolo quali interpretati nella giurisprudenza spagnola, da cui non si può dedurre l’obbligo per le imprese di instaurare un sistema di registrazione dell’orario giornaliero di lavoro effettivo per i lavoratori a tempo pieno che non abbiano espressamente accettato, individualmente o collettivamente, di svolgere ore di lavoro straordinario e che non rivestano la qualifica di lavoratori mobili, della marina mercantile o ferroviari?

30. A tale riguardo, rilevo che dinanzi alla Corte si sono contrapposte, seppure con differenti sfumature, due tesi di fondo.

31. La prima, fatta propria dal giudice del rinvio, dalla Commissione e dalle federazioni di sindacati ricorrenti, ritiene che il diritto dell’Unione implichi senz’altro un obbligo strumentale di misurazione dell’orario di lavoro a carico del datore di lavoro con la conseguenza che tale diritto osterebbe ad una normativa nazionale come quella spagnola che, nell’interpretazione del Tribunal Supremo (Corte suprema), esclude la sussistenza di un tale obbligo.

32. La seconda tesi, fatta propria dalla banca convenuta in via principale, dal Regno di Spagna e dagli altri Stati membri intervenuti dinanzi alla Corte, ossia il Regno Unito e la Repubblica ceca, ritiene che, in assenza di una specifica previsione nella direttiva 2003/88, non si possa imporre alle imprese un obbligo generalizzato di misurazione dell’orario di lavoro.

33. Per rispondere alle questioni poste dal giudice del rinvio ritengo necessario chiarire, anzitutto, la portata della direttiva 2003/88 nel sistema del diritto sociale dell’Unione alla luce dei principi giurisprudenziali sviluppati dalla Corte in materia, per poi determinare, sulla base di tale analisi, se il diritto dell’Unione e, in particolare, tale direttiva prevedano l’esistenza di un obbligo generalizzato di misurazione dell’orario di lavoro.

B. Obiettivi e contenuto della direttiva 2003/88

34. La direttiva 2003/88 ha come obiettivo quello di fissare prescrizioni minime destinate a migliorare la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, obiettivo che viene raggiunto, tra l’altro, mediante il ravvicinamento delle disposizioni nazionali riguardanti l’orario di lavoro (6).

35. Ai fini del raggiungimento dei predetti obiettivi, le disposizioni della direttiva 2003/88 fissano periodi minimi di riposo giornaliero (undici ore consecutive nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore, ai sensi dell’articolo 3) e settimanale [ventiquattro ore per ogni periodo di sette giorni, ai sensi dell’articolo 5), nonché un tetto di quarantotto ore per la durata media della settimana lavorativa, comprese le ore di lavoro straordinario (ai sensi dell’articolo 6, lettera b)].

36. Attraverso le suddette previsioni è attuato l’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali, che, dopo avere riconosciuto, al suo paragrafo 1, che «ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose», dispone, al paragrafo 2, che «ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie retribuite». Tale diritto si collega direttamente al rispetto della dignità umana tutelata in modo più ampio nel titolo I della Carta (7).

37. Il diritto alla limitazione della durata massima del lavoro e il diritto a periodi di riposo giornalieri e settimanale costituiscono, peraltro, espressione delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, come risulta dal testo di numerose Costituzioni nazionali (8).

38. È in tale quadro sistematico che la Corte ha affermato, che le regole enunciate dalla direttiva 2003/88 costituiscono disposizioni della normativa sociale dell’Unione che rivestono importanza particolare e di cui ogni lavoratore deve poter beneficiare quali prescrizioni minime necessarie per garantire la tutela della sua sicurezza e della sua salute (9), tutela, quest’ultima che non rientra solo nell’interesse individuale del lavoratore, ma anche in quello del datore di lavoro e nell’interesse generale (10).

39. Una prima conseguenza che, a mio avviso, può essere tratta dal nesso di strumentalità tra la direttiva 2003/88 e i diritti sociali fondamentali riconosciuti dalla Carta è che l’interpretazione della direttiva 2003/88 e la determinazione del suo campo di applicazione devono essere idonee a consentire il pieno ed effettivo godimento delle posizioni soggettive da essa riconosciute ai lavoratori, eliminando ogni ostacolo che di fatto ne possa limitare o pregiudicare il suddetto godimento.

40. A tal fine, nell’interpretare e nell’attuare la direttiva 2003/88 va tenuto presente che, come più volte sottolineato dalla Corte, il lavoratore dev’essere considerato come la parte debole nel contratto di lavoro, sicché è necessario impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti (11).

41. Di conseguenza, ogni azione o omissione di un datore di lavoro, avente un effetto potenzialmente dissuasivo sull’esercizio dei suoi diritti, deve ritenersi incompatibile con le finalità della direttiva (12).

42. Inoltre, sempre secondo la Corte, tenuto conto di tale situazione di debolezza, va considerato che il lavoratore potrebbe essere dissuaso dal far valere espressamente i suoi diritti nei confronti del suo datore di lavoro, dal momento che la relativa rivendicazione potrebbe esporlo a misure adottate da quest’ultimo in grado di incidere sul rapporto di lavoro in danno di detto lavoratore (13).

43. Alla luce di tali premesse, un’interpretazione della direttiva 2003/88 che permetta la coerente realizzazione dei suoi obiettivi e la piena ed effettiva tutela dei diritti che essa attribuisce ai lavoratori, dovrebbe implicare l’individuazione di specifici obblighi in capo ai soggetti coinvolti nella sua attuazione che siano idonei a evitare che il disequilibrio strutturale nella relazione economica tra datore di lavoro e lavoratore pregiudichi l’effettivo godimento dei diritti attribuiti dalla direttiva stessa.

C. Sulla necessità di garantire l’effetto utile della direttiva 2003/88


44. Il quadro sistematico sopra descritto permette di precisare in maniera migliore il contenuto degli obblighi che la direttiva 2003/88 pone in capo ai diversi soggetti cui essa si applica.

45. Innanzitutto gli Stati membri sono tenuti, nell’attuazione della direttiva, a «prendere le misure necessarie» per far si che il lavoratore benefici dei diritti garantiti dalla direttiva stessa (riposo giornaliero, settimanale, durata della settimana lavorativa, etc.).

46. L’incipitdi tutti gli articoli contenenti le prescrizioni minime in materia di limiti ai tempi di lavoro (articoli 3, 4, 5 e 6 per quel che interessa in questa sede) «[g]li Stati membri prendono le misure necessarie affinché …» ha, a mio parere, una duplice valenza.

47. Da un lato, esso conferma l’importanza del momento attuativo all’interno delle legislazioni nazionali, con ampie, ma funzionalizzate possibilità di deroga.

48. Dall’altro, alla luce del quadro sistematico descritto nel precedente capitolo, tale incipit rafforza la responsabilità degli Stati membri ad assicurare il risultato dell’effettiva tutela della salute e della sicurezza del lavoratore, la cui protezione rientra tra gli obiettivi fondamentali perseguiti dalla direttiva 2003/88, come risulta espressamente, tra gli altri, dal considerando 4 della direttiva stessa.

49. La formula linguistica reiterativamente utilizzata sembra pertanto comportare che, se gli Stati membri sono liberi di scegliere le forme e i modi con cui attuare la direttiva 2003/88, essi devono comunque adottare misure che possano assicurare l’effettivo godimento dei diritti garantiti dalla direttiva stessa, attraverso una disciplina normativa nazionale che sia in concreto idonea a conseguire il risultato della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori tramite l’effettivo rispetto dei limiti sui tempi di lavoro.

50. Si aggiunga che, risulta da costante giurisprudenza, che, relativamente al recepimento di una direttiva nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, è indispensabile che l’ordinamento nazionale di cui trattasi garantisca effettivamente la piena applicazione della direttiva, che la situazione giuridica scaturente da tale ordinamento sia sufficientemente precisa e chiara e che i destinatari siano posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti (14).

51. In particolare, l’obbligo degli Stati membri di adottare le «misure necessarie» dovrebbe articolarsi, oltre che nella trasposizione nell’ordinamento nazionale delle regole sui tempi di lavoro, nell’introduzione di tutto quanto sia necessario alla realizzazione dei diritti fondamentali sanciti dall’articolo 31 della Carta, eliminando ogni ostacolo che, di fatto, pregiudichi o limiti il godimento delle posizioni soggettive riconosciute a tal fine dalla direttiva 2003/88 la quale, come osservato al precedente paragrafo 36, costituisce un’attuazione dell’articolo 31 della Carta.

52. Risulta del resto dalla giurisprudenza che gli Stati membri sono, in ogni caso, vincolati a un’obbligazione di risultato precisa e incondizionata quanto all’applicazione delle regole enunciate nella direttiva 2003/88 (15), dovendo adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo (16) e evitare che sia pregiudicato, anche attraverso le omissioni del legislatore nazionale (17), l’effetto utile della direttiva stessa.

53. Con riferimento specificamente alla disciplina del diritto dell’Unione in materia di orario di lavoro, la Corte ha avuto modo di precisare che occorre che l’efficacia dei diritti riconosciuti ai lavoratori venga integralmente assicurata, il che implica necessariamente l’obbligo per gli Stati membri di garantire il rispetto delle singole prescrizioni minime stabilite dalla direttiva stessa. Tale interpretazione, infatti, è l’unica conforme all’obiettivo di detta direttiva di garantire una tutela efficace della sicurezza e della salute dei lavoratori (18).

54. La normativa di uno Stato membro deve cioè garantire integralmente l’effetto utile dei diritti conferiti ai lavoratori dalla direttiva 2003/88 ai fini della protezione effettiva della salute e della sicurezza di questi ultimi (19).

55. A tali obblighi degli Stati membri in sede di attuazione della direttiva, per garantire l’effetto utile, corrisponde una responsabilità particolare del datore di lavoro (20) che, a sua volta, ha l’obbligo di adottare le misure adeguate per consentire ai lavoratori di esercitare senza ostacolo i diritti ad essi garantiti dalla direttiva 2003/88.

D. Misurazione dell’orario di lavoro e effettività della tutela dei diritti del lavoratore


56. È nell’ambito del contesto giuridico fin qui esposto che, al fine di rispondere ai quesiti posti dal giudice del rinvio, occorre verificare se l’assenza di un sistema di misurazione della durata e della collocazione della prestazione oraria del lavoratore priverebbe di sostanza i diritti riconosciuti dalla direttiva 2003/88, vanificando l’effetto utile delle disposizioni ivi previste e la protezione dei diritti che quelle disposizioni conferiscono ai lavoratori nell’Unione.

57. A tale riguardo, occorre osservare, in primo luogo, che, in mancanza di un tale sistema, non vi è alcuna garanzia che i limiti temporali stabiliti dalla direttiva 2003/88 siano effettivamente rispettati e pertanto che i diritti che la direttiva stessa attribuisce ai lavoratori possano essere esercitati senza ostacoli.

58. In effetti, in assenza di un sistema di misurazione dei tempi di lavoro non c’è modo di stabilire con oggettività e certezza la quantità di lavoro effettivamente svolta e la sua collocazione nel tempo. Senza un tale sistema non è possibile, inoltre, distinguere tra ore prestate a titolo di lavoro ordinario o di lavoro straordinario e, quindi, verificare, in modo agevole e certo, se i limiti introdotti dalla direttiva 2003/88 siano o meno in concreto rispettati.

59. Per supplire all’assenza di garanzie di effettiva tutela dei diritti connessi al rispetto dei tempi di lavoro non possono, peraltro, essere sufficienti i poteri attribuiti agli organi di controllo quali gli ispettori del lavoro. Infatti, anche l’autorità pubblica preposta al controllo del rispetto del sistema di sicurezza sul lavoro, in assenza di un sistema di misurazione dell’orario, è privata della concreta possibilità di accertare e contestare eventuali inadempienze agli obblighi.

60. A tale riguardo rileva osservare che le difficoltà di accertamento, in assenza di un sistema affidabile di misurazione dell’orario di lavoro, delle ore di lavoro effettivamente prestate sono, del resto, state messe in evidenza dinanzi al giudice del rinvio nei due rapporti, citati al precedente paragrafo 23, della Direzione generale del lavoro del Ministero del lavoro e della sicurezza sociale, autorità cui la legge spagnola delega le funzioni di controllo in materia di salute e sicurezza sul lavoro (21).

61. A tale proposito, rilevo, inoltre, che la Corte ha già messo in evidenza l’importanza dell’esistenza di un sistema di misurazione dell’orario di lavoro per garantire l’effetto utile della normativa dell’Unione in materia di limiti all’orario di lavoro. Nella sentenza Worten (sentenza del 30 maggio 2013, C‑342/12, EU:C:2013:355), infatti, la Corte ha precisato che l’obbligo per il datore di lavoro di fornire alle autorità preposte un accesso immediato al registro dell’orario di lavoro può risultare necessario se contribuisce a un’applicazione più efficace della normativa in materia di condizioni di lavoro (22).

62. Orbene, se l’immediatezza dell’esibizione del registro delle presenze può essere necessaria per garantire l’effettività delle disposizioni in materia di orario di lavoro a tutela del lavoratore, a fortiori l’assenza di un qualsivoglia strumento di misurazione dell’orario di lavoro priva i soggetti preposti ai controlli di un elemento essenziale per la verifica del rispetto delle regole.

63. In secondo luogo, l’assenza di un sistema efficace di rilevazione dell’orario di lavoro non solo non permette l’accertamento effettivo del lavoro svolto, ma rende altresì molto più difficile per il lavoratore tutelare in giudizio i diritti che la direttiva 2003/88 gli conferisce. In effetti, in assenza di un tale sistema, qualora il datore di lavoro imponesse prestazioni lavorative in violazione dei limiti dell’orario di lavoro previsti dalla succitata direttiva, risulterebbe estremamente difficile azionare rimedi efficaci contro tali comportamenti illegittimi.

64. Al riguardo non sembra sufficiente affermare, come ha fatto il Regno di Spagna durante l’udienza, che il lavoratore potrebbe far valere in giudizio i suoi diritti. Senza un idoneo sistema di misurazione del normale orario di lavoro, il lavoratore è, infatti, tenuto a un onere probatorio maggiormente gravoso nel caso in cui egli agisca in giudizio contro il datore di lavoro nei casi di violazione degli obblighi previsti dalla direttiva 2003/88.

65. Se è vero, infatti, che il lavoratore può ricorrere ad altri mezzi per dimostrare in giudizio l’inadempimento del datore di lavoro a obblighi derivanti dalla disciplina dell’orario di lavoro, come ad esempio testimoni o altri indizi quali mail o messaggi ricevuti o inviati, è altrettanto vero che la mancanza di elementi oggettivi sulla durata della propria giornata lavorativa lo priva di una prima traccia probatoria essenziale.

66. Inoltre, l’efficacia in giudizio della prova testimoniale, sconta la debolezza del lavoratore nel rapporto di lavoro e dunque la possibile reticenza di colleghi a testimoniare contro il datore di lavoro per timore di ritorsioni.

67. A tale riguardo, va richiamata la giurisprudenza menzionata ai precedenti paragrafi da 40 a 42, in cui la Corte ha sottolineato come la situazione di debolezza del lavoratore all’interno del rapporto di lavoro possa di fatto dissuadere il lavoratore stesso dal far valere espressamente i suoi diritti nei confronti del suo datore di lavoro.

68. Tale forza dissuasiva, intrinsecamente legata alla posizione contrattuale del datore di lavoro, aumenta considerevolmente quando il sistema è privo di strumenti di misurazione dell’orario di lavoro e quindi rende l’eventuale prova in giudizio particolarmente difficile.

69. Risulta dalle considerazioni che precedono che l’assenza di un meccanismo di rilevazione dell’orario di lavoro indebolisce notevolmente l’effettività dei diritti che la direttiva 2003/88 garantisce ai lavoratori, che sono, in sostanza, rimessi all’arbitrio del datore di lavoro.

70. Si aggiunga che, anche se un tale obbligo non è espressamente previsto dalla direttiva 2003/88, risulta dalle considerazioni che precedono che esso è strumentale ed essenziale per il raggiungimento degli obiettivi da questa previsti e per il godimento delle posizioni soggettive da essa riconosciute.

71. Peraltro, l’assenza di un sistema di misurazione dell’orario di lavoro depotenzia, altresì, in modo significativo i diritti di informazione e la connessa funzione di controllo dei rappresentanti sindacali dei lavoratori, a loro espressamente riconosciuti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori, dagli articoli 4, paragrafi 1 e 11, paragrafo 3 della direttiva 89/391, coerentemente con quanto stabilito dall’articolo 27 della Carta dei diritti fondamentali (23).

72. In sintesi, le considerazioni che precedono mostrano che l’obbligo della misurazione dell’orario di lavoro giornaliero svolge una funzione essenziale a supporto del rispetto di tutti gli altri obblighi previsti dalla direttiva 2003/88 quali i limiti alla durata della giornata lavorativa, il riposo giornaliero, i limiti alla durata della settimana lavorativa, il riposo settimanale e l’eventuale svolgimento di lavoro straordinario. Tali obblighi sono connessi non soltanto al diritto del lavoratore e dei suoi rappresentanti di poter controllare periodicamente la quantità di lavoro svolto a fini retributivi, ma soprattutto al fine della tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro.

73. L’interpretazione effettuata ai paragrafi precedenti non può essere, a mio avviso, rimessa in discussione dalle diverse argomentazioni offerte a sostegno della tesi contraria dalle parti intervenute dinanzi alla Corte.

74. A tale riguardo, in primo luogo, ritengo non decisivo l’argomento che, al fine di escludere l’esistenza di un obbligo generale di introdurre qualche meccanismo di misurazione dei tempi effettivi del lavoro prestato, fa leva sulla mancata espressa previsione da parte della disciplina dell’Unione di un sistema di misurazione dei tempi di lavoro, laddove, invece, il diritto dell’Unione prevede l’obbligo di registrazione dell’orario di lavoro in casi speciali (24).

75. Tale argomento, riconducibile al noto argomento dell’interpretazione giuridica espresso nel brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, è tuttavia contraddetto dai risultati dell’interpretazione sistematica e teleologica della direttiva 2003/88 svolti ai paragrafi precedenti che hanno mostrato la necessità dell’esistenza di un sistema di misurazione dei tempi effettivi del lavoro prestato al fine di assicurare l’effetto utile delle disposizioni di diritto dell’Unione riguardanti la limitazione massima dell’orario di lavoro.

76. D’altro canto, l’esistenza di un obbligo espresso di registrazione dell’orario di lavoro per taluni casi speciali non è in alcun modo in contraddizione con l’interpretazione da me proposta. Alcune categorie di lavoratori e i lavoratori di alcuni specifici settori, infatti, necessitano di una particolare protezione – per le intrinseche caratteristiche della prestazione come ad esempio i lavoratori a tempo parziale o i lavoratori mobili – e per essi il diritto dell’Unione prevede sistemi di controllo particolarmente rigorosi e completi.

77. Per i lavoratori «ordinari», non rientranti in tali specifiche categorie, la direttiva 2003/88 presuppone, invece, l’esistenza di un mezzo di rilevazione dell’orario di lavoro che può essere un semplice registro cartaceo, elettronico o uno strumento diverso, purché idoneo allo scopo.

78. Per quanto attiene, in secondo luogo, alla pretesa lesione di diritti fondamentali relativi al trattamento dei dati personali attraverso l’introduzione di sistemi di misurazione dell’orario di lavoro, la Corte, ha già avuto modo di precisare che, pur potendo rientrare il contenuto di un registro dell’orario di lavoro nella nozione di «dati personali» ai sensi del diritto dell’Unione, quest’ultimo non osta a una normativa nazionale che imponga la messa a disposizione dell’autorità nazionale competente in materia di vigilanza sulle condizioni di lavoro del medesimo registro dell’orario di lavoro al fine di consentirne la consultazione immediata (25).

79. Naturalmente il datore di lavoro dovrà fare un uso legittimo dei dati disponibili nel registro, consentendone l’accesso solo a soggetti che abbiano un interesse qualificato.

80. Quanto, in terzo luogo, all’argomento secondo cui il diritto spagnolo avrebbe recepito le prescrizioni della direttiva 2003/88 in modo addirittura più favorevole al lavoratore (riducendo, ad esempio, il numero massimo di ore settimanali), esso sconta l’equivoco di confondere la diversa valenza rivestita dagli obblighi sostanziali (le prescrizioni minime della direttiva) e da quelli invece strumentali (sistemi di controllo dell’effettivo rispetto dei primi).

81. Nel giudizio odierno non è in discussione la corretta attuazione degli obblighi espressamente imposti agli Stati membri dalla direttiva 2003/88 (durata minima del riposo giornaliero e settimanale, durata massima della settimana lavorativa, etc.), ma il fatto che al fine del corretto rispetto di quegli obblighi sia o meno necessario prevedere anche uno strumento di controllo idoneo.

82. Neppure mi sembra, in quarto luogo, possibile fare riferimento, al fine di contestare la tesi a favore dell’esistenza di un obbligo giuridico di prevedere un sistema di misurazione dei tempi di lavoro, alla tutela che il sistema giuridico dell’Unione accorda alla libertà di impresa, che comporta il diritto alla scelta dei modelli organizzativi ritenuti più idonei per lo svolgimento della specifica attività.

83. A tale riguardo occorre ricordare che il quarto considerando della direttiva 2003/88 afferma chiaramente che «[i]l miglioramento della sicurezza, dell’igiene e della salute dei lavoratori durante il lavoro rappresenta un obiettivo che non può dipendere da considerazioni di carattere puramente economico».

84. Del resto, in udienza i rappresentanti della parte convenuta in via principale non hanno indicato quali siano gli effettivi ostacoli pratici all’adozione di un sistema di misurazione dell’orario di lavoro all’interno dell’impresa.

85. Peraltro se, come si dirà nel prossimo capitolo, gli Stati membri godono di significativi margini di apprezzamento nell’adozione delle discipline nazionali riguardanti l’orario di lavoro, dovrebbe rientrare nella loro discrezionalità anche la previsione di sistemi differenziati in ragione della complessità organizzativa e delle caratteristiche di ciascuna impresa.

E. Autonomia degli Stati membri nella determinazione del sistema di misurazione

86. Se dall’interpretazione da me proposta ai paragrafi precedenti risulta la sussistenza di un obbligo di introdurre un sistema di rilevazione dell’orario di lavoro, in ragione della finalità di armonizzazione minima della direttiva 2003/88 e conformemente a quanto affermato al precedente paragrafo 49, ritengo peraltro che sia rimessa alla discrezionalità degli Stati membri la determinazione delle forme e dei modi di attuazione di tale obbligo (26), nonché la definizione delle modalità concrete che consentono un agevole controllo del rispetto delle regole sui limiti dei tempi di lavoro.

87. A questo proposito va sottolineato, che la tecnologia attuale consente i più svariati sistemi di rilevazione dell’orario di lavoro (27) (registri cartacei, applicazioni informatiche, badge elettronici), sistemi che potrebbero anche essere differenziati a seconda delle caratteristiche e delle esigenze delle singole imprese.

88. Pur gli Stati membri disponendo di un margine di discrezionalità importante nella scelta delle forme e dei modi di attuazione dell’obbligo di introdurre un sistema di rilevazione dell’orario di lavoro, risulta dal ragionamento svolto ai paragrafi precedenti, ed in particolare dall’obbligo a carico degli Stati membri messo in evidenza ai precedenti paragrafi 45 e seguenti di garantire l’effetto utile della direttiva 2003/88 e l’effettività dei diritti da questa riconosciuti ai lavoratori, che un tale sistema di rilevazione deve essere idoneo a raggiungere tali obiettivi (28).

F. Sulle questioni pregiudiziali

89. Risulta da tutte le considerazioni che precedono che, a mio avviso, non è compatibile con il diritto dell’Unione una normativa nazionale che non ritiene sussistente l’obbligo per le imprese di introdurre un sistema di rilevazione dell’orario di lavoro giornaliero effettuato da tutti i lavoratori. Resta comunque affidato al giudice del rinvio verificare se la normativa discussa nel procedimento principale possa essere interpretata conformemente ai citati articoli della direttiva 2003/88 e all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta.

90. Al riguardo, occorre rammentare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, i giudici nazionali, quando applicano il diritto interno, sono tenuti a interpretarlo per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva in questione in modo tale da conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’articolo 288 TFUE (29).

91. Ai fini della soluzione del caso in esame nel procedimento principale, va rammentato che il medesimo obbligo d’interpretazione conforme include l’obbligo per i giudici nazionali di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una direttiva. Di conseguenza, un giudice nazionale non può validamente ritenere di trovarsi nell’impossibilità di interpretare una disposizione nazionale conformemente al diritto dell’Unione per il solo fatto che detta disposizione è stata costantemente interpretata in un senso che è incompatibile con tale diritto (30).

92. Pertanto, spetta al giudice del rinvio verificare se, utilizzando gli strumenti di interpretazione conosciuti nel diritto spagnolo, sia possibile interpretare lo Statuto dei lavoratori in modo tale da ritenere che esso preveda l’obbligo per l’impresa di introdurre un sistema di misurazione delle presenze giornaliere dei lavoratori a tempo pieno.

93. Ove l’interpretazione conforme non fosse possibile, non essendo consentito applicare direttamente la direttiva 2003/88 nei rapporti orizzontali tra soggetti privati, andrebbe verificato se per imporre all’impresa l’obbligo di tenere un sistema di misurazione delle presenze giornaliere possa essere applicato l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta.

94. La Corte si è già pronunciata riconoscendo l’effetto diretto nei rapporti orizzontali tra soggetti privati dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta con riguardo al diritto alle ferie (31). Poiché la struttura del diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo (giornaliero e settimanale) è la medesima del diritto alle ferie e visto che si tratta di diritti strettamente connessi, finalizzati entrambi alla tutela di condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose, e che sono previsti dalla medesima disposizione della Carta, la giurisprudenza della Corte sull’effetto diretto nei rapporti orizzontali dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta può, a mio avviso, trovare applicazione anche con riguardo ai diritti a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi al riposo del lavoratore.

95. Questi diritti, dunque, possono essere fatti valere direttamente nei confronti del datore di lavoro, a condizione che si tratti di una situazione ricadente nel campo di applicazione del diritto dell’Unione (32), circostanza che ricorre nel caso in esame visto che la normativa nazionale in causa costituisce attuazione della direttiva 2003/88, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro.

96. A tale riguardo, ritengo che il contenuto dei diritti a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi al riposo del lavoratore garantiti dall’articolo 31, paragrafo 2, della Carta e dei corrispondenti obblighi del datore di lavoro si estenda fino a comprendere anche l’adozione di un sistema di misurazione dei tempi di lavoro.

97. A sostegno di tale interpretazione estensiva dei diritti alla limitazione della durata massima del lavoro e al riposo può osservarsi, in via preliminare, che trattandosi di un «diritto sociale» è nella natura di questo tipo di diritti la pretesa del titolare a prestazioni positive da parte dello Stato o di altri soggetti obbligati. Questo tipo di diritti non può essere garantito se non attraverso delle prestazioni positive da parte del soggetto obbligato, la cui assenza o insufficienza priva di effettività il diritto.

98. Le osservazioni precedentemente svolte in ordine all’interpretazione della direttiva 2003/88, che hanno evidenziato come l’effettività del diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo dipenda dalla possibilità che esista un metodo certo e oggettivo che permetta di verificare le ore di lavoro realmente prestate, depongono del resto a favore di un’interpretazione dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta da cui si deduce l’esistenza di un obbligo per l’impresa di adottare un simile meccanismo di controllo, restando essa comunque libera di scegliere le tecniche che riterrà più opportune in relazione alle proprie specifiche esigenze legate all’organizzazione di impresa.

IV. Conclusioni

99. Alla luce delle suesposte considerazioni propongo alla Corte di rispondere alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte dall’Audiencia Nacional (Corte centrale, Spagna) nei termini seguenti:

1) L’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e gli articoli 3, 5, 6, 16 e 22 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento e del Consiglio, del 4 novembre 2003 devono essere interpretati nel senso che impongono l’obbligo per le imprese di instaurare un sistema di misurazione dell’orario giornaliero di lavoro effettivo per i lavoratori a tempo pieno che non abbiano espressamente accettato, individualmente o collettivamente, di svolgere ore di lavoro straordinario e che non rivestano la qualifica di lavoratori mobili, della marina mercantile o ferroviari e ostano ad una normativa nazionale, da cui non si può dedurre l’esistenza di un tale obbligo.

2) Gli Stati membri sono liberi di prevedere la forma di rilevazione dell’orario giornaliero effettivo più idonea al raggiungimento dell’effetto utile delle disposizioni del diritto dell’Unione sopracitate.

3) Il giudice del rinvio è, comunque, tenuto a verificare, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo complesso e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, se gli sia possibile pervenire a un’interpretazione di tale diritto che sia in grado di garantire la piena effettività del diritto dell’Unione. Qualora sia impossibile interpretare una normativa nazionale come quella discussa nel procedimento principale in modo da garantirne la conformità alla direttiva 2003/88 e all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, deriva da quest’ultima disposizione che il giudice del rinvio deve disapplicare tale normativa nazionale e assicurarsi che sia rispettato l’obbligo per l’impresa di dotarsi di un sistema idoneo alla misurazione dell’orario effettivo di lavoro.
 

 

 


 


1 Lingua originale: l’italiano.

2 Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003, 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU 2003, L 299, pag. 9).

3 GU 1989, L 183, pag. 1.

4 BOE n. 255, del 24 ottobre 2015.

5 BOE n. 230, del 26 settembre 1995.

6 V., in tal senso, sentenze del 9 novembre 2017, Maio Marques da Rosa (C‑306/16, EU:C:2017:844, punto 45); del 10 settembre 2015, Federación de Servicios Privados del sindicato Comisiones obreras (C‑266/14, EU:C:2015:578, punto 23).

7 V., in tal senso, anche le conclusioni dell’avvocato generale Tanchev nella causa King (C‑214/16, EU:C:2017:439, paragrafo 36).

8 Si vedano, al riguardo, le conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Schultz-Hoff (C‑520/06, EU:C:2008:38, paragrafo 53 e nota 22), dove, pur ragionando sul diritto alle ferie, si passano in rassegna diversi testi costituzionali di Paesi membri, concludendo che l’articolo 31, n. 2, della Carta ha numerosi modelli nelle costituzioni di diversi Stati membri.

9 Sentenze del 10 settembre 2015, Federación de Servicios Privados del sindicato Comisiones Obreras (C‑266/14, EU:C:2015:578, punto 24); del 1° dicembre 2005, Dellas e a. (C‑14/04, EU:C:2005:728, punto 49) e giurisprudenza ivi citata; ordinanza del 4 marzo 2011, Grigore (C‑258/10, non pubblicata, EU:C:2011:122, punto 41).

10 V. le conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (C‑684/16, EU:C:2018:338, punto 52).

11 V., sentenza del 25 novembre 2010, Fuß (C‑429/09, EU:C:2010:717, punto 80 e giurisprudenza ivi citata). V. anche sentenza del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (C‑684/16, EU:C:2018:874, punto 41).

12 Con riferimento al diritto alle ferie riconosciuto dall’articolo 7 della direttiva 2003/88, v. sentenza del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (C‑684/16, EU:C:2018:874, punto 42).

13 Con riferimento al diritto alle ferie riconosciuto dall’articolo 7 della direttiva2003/88, v. sentenza del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (C‑684/16, EU:C:2018:874, punti 41 e 42).

14 Sentenza del 12 giugno 2003, Commissione/Lussemburgo (C‑97/01, EU:C:2003:336, punto 32).

15 Sentenza del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (C‑397/01 – C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 104).

16 V. sentenze del 26 giugno 2001, BECTU (C‑173/99, EU:C:2001:356), punto 55; del 25 novembre 2010, Fuß (C‑429/09, EU:C:2010:717), punto 39; conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nelle cause riunite Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2003:245, paragrafo 23).

17 In questo senso, v. le conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Schultz-Hoff (C‑350/06, EU:C:2008:37, paragrafo 45 e giurisprudenza citata alla nota 31).

18 Sentenza del 7 settembre 2006, Commissione/Regno Unito (C‑484/04, EU:C:2006:526, punto 40); sentenza del 1° dicembre 2005, Dellas e a. (C‑14/04, EU:C:2005:728, punti 45 e 53); sentenza del 14 ottobre 2010, Fuß (C‑243/09, EU:C:2010:609, punto 64).

19 Ordinanza dell’11 gennaio 2007, Vorel (C‑437/05, EU:C:2007:23, punto 36); al riguardo, si vedano anche le conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Hälvä e a. (C‑175/16, EU:C:2017:285, paragrafo 44).

20 Di responsabilità particolare si parla nelle conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (C‑684/16, EU:C:2018:338, paragrafo 35), con riferimento al diritto alle ferie.

21 Risulta da tali rapporti che un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero è considerato l’unico mezzo in grado di verificare eventuali superamenti dei limiti massimi previsti nel periodo di riferimento.

22 V. punto 37 della sentenza.

23 Tale disposizione riconosce ai lavoratori e ai loro rappresentanti il diritto all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa.

24 Come, ad esempio, nel caso dei lavoratori part time o dei lavoratori mobili. Al riguardo v. articolo 9, lettera b), della direttiva 2002/15/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2002 relativa all’organizzazione dell’orario di lavoro delle persone che svolgono attività mobile di trasporto su strada (GU 2002, L 80, pag. 35), articolo 4, comma 1, della direttiva 1999/63/CE del Consiglio, del 21 giugno 1999, concernente l’accordo relativo all’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare (GU 1999, L 167, pag. 33), e la clausola 12 dell’allegato alla direttiva 2014/112/UE del Consiglio, del 19 dicembre 2014, che dispone l’applicazione dell’accordo europeo concernente alcuni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro nel settore della navigazione interna (GU 2014, L 367, pag. 86).

25 Sentenza del 30 maggio 2013, Worten (C‑342/12, EU:C:2013:355, punti 27 e 28).

26 V. al riguardo, la sentenza del 20 gennaio 2009, Schultz-Hoff e a. (C‑350/06 e C‑520/06, EU:C:2009:18, punto 47); con riferimento al diritto alle ferie, da ultimo, si vedano anche le conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (C‑684/16, EU:C:2018:338, paragrafo 25), ma già, con riferimento al dovere per gli Stati membri di determinare condizioni di esercizio e di attuazione del diritto, conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Schultz-Hoff (C‑520/06, EU:C:2008:38, paragrafi 45, 55 e 56).

27 Nelle sue osservazioni presentate dinanzi alla Corte la Commissione ha messo in risalto questo aspetto.

28 A tale riguardo, sulla base delle informazioni di cui dispone la Corte nel fascicolo e delle affermazioni all’udienza, sembrerebbe, prima facie, che il sistema adottato dalla convenuta nel procedimento principale, menzionato al precedente paragrafo 19, non soddisfi le esigenze di idoneità sopra descritte. Spetta, in ogni caso, al giudice del rinvio determinare se ciò è il caso o meno.

29 V. sentenze del 24 gennaio 2012, Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 24 e giurisprudenza ivi citata) e del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (C‑684/16, EU:C:2018:874, punto 58).

30 V. sentenze del 24 gennaio 2012, Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33), punto 27 e giurisprudenza ivi citata) e del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (C‑684/16, EU:C:2018:874, punto 60).

31 Sentenza del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (C‑684/16, EU:C:2018:874, punti da 49 a 51 e da 69 a 79).

32 V. articolo 51, paragrafo 1, della Carta.

 


 

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