Cassazione Penale, Sez. 4, 01 febbraio 2019, n. 4994 - Caduta di un pesante cancello su due lavoratori. Responsabilità in caso di locazione immobiliare


 

Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 05/10/2018

 

 

 

Fatto

 

1. In data 24/11/2016, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma per Y.C. della sentenza del Tribunale di Firenze, ha dichiarato - in ordine ai reati di cui ai capi a) e b) - prevalenti sulle aggravanti contestate le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, per l'effetto riducendo la pena allo stesso inflitta (con il beneficio della sospensione condizionale subordinato al pagamento della statuita provvisionale) a mesi 8 di reclusione, confermando nel resto.
1.2. Ha invece integralmente confermato la sentenza con cui il medesimo Tribunale condannava E.G. di anni 2 e mesi 2 di reclusione.
2. Entrambi gli imputati sono stati condannati, in solido tra loro e con il responsabile civile ASA ELETTROMECCANICA s.r.l, limitatamente al danno in favore delle parti civili che l'hanno convenuta in giudizio, al risarcimento dei danni.
3. Il fatto, per come ricostruito dal Giudice di primo grado, può essere riassunto nei termini seguenti. Il 25/09/2009 W.G. e L.D. stavano chiudendo il portone d'accesso al capannone posto in Sesto Fiorentino, via del Pontelungo-via Lungo Gavine, di proprietà di A.S.A. ELETTROMECCANICA s.r.l., di cui era legale rappresentante E.G. e concesso in locazione, con contratto stipulato il 16/09/2009, alla EMMEEMME di Y.C. & C. s.a.s, il cui legale rappresentante, Y.C., lo aveva sublocato il 24/09/2009, ossia il giorno prima dell'infortunio, alla ditta individuale Pelletteria Teresa, la cui rappresentante legale era la coimputata H.Q.Z. (non ricorrente). Poiché il menzionato cancello scorreva nelle guide con difficoltà, i due lavoratori (L.D. dipendente di Y.C. e W.G. dipendente di H.Q.Z.) ne avevano forzato il movimento quando questo, all'Improvviso, usciva dalle guide e precipitava a terra colpendo mortalmente W.G. e procurando gravi lesioni a L.D.. Il Giudice di primo grado, sulla base delle verifiche svolte dalla ASL e della consulenza disposta dal pubblico ministero, reputava accertate le cause della caduta rinvenibili in più fattori: il cattivo stato di manutenzione del cancello - che presentava molta ruggine anche in corrispondenza dei perni delle ruote di scorrimento a terra - la scarsa lubrificazione di tali ruote ma anche errori di costruzione a seguito dei quali era stato lasciato un gioco di circa tre centimetri tra la guida inferiore e quella superiore che aveva fatto sì che le spinte impresse da lavoratori per forzare lo scorrimento del cancello lo avessero fatto fuoriuscire dalle guide con conseguente caduta. Secondo il consulente della parte civile, l'evento avrebbe potuto essere evitato se sul cancello fosse stato montato un dispositivo anticaduta, che era invece assente. Anche il consulente dell'imputato E.G. dava atto che mancavano sistemi di trattenuta sulla guida superiore. Era risultato che anche semplice manovre di scuotimento potevano aver provocato un sollevamento del cancello sufficiente per farlo "deragliare" e che la ridotta presa delle olive della guida superiore, che mantenevano in piombo il cancello ma che erano fortemente usurate, aveva impedito che esso rimanesse comunque trattenuto dalla guida superiore anche in caso di sbilanciamento. Ricostruite così le cause materiali del sinistro, i Giudici del merito avevano ritenuto responsabili dei reati, per quanto concerne gli odierni ricorrenti, il E.G. che, nella predetta sua qualità, aveva ai sensi dell'art. 2015 cod. civ. un obbligo di vigilanza sul bene immobile anche dopo la sua locazione atteso che i vizi del cancello erano anche strutturali e costruttivi e Y.C. che, avendo condotto in locazione il medesimo immobile sino al giorno precedente l'evento, era a conoscenza (o doveva esserlo) di detti vizi strutturali del cancello che era tenuto ad eliminare prima di sublocare alla H.Q.Z..
4. Avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze entrambi gli imputati, con due atti distinti, hanno proposto ricorso per cassazione.
5. Il ricorso di Y.C. articola due motivi. Con il primo, deduce mancanza della motivazione. L'impugnata sentenza non ha fornito una motivazione adeguata in ordine allo stato di manutenzione del manufatto, alla ruggine la cui precisa entità non è stato dato di conoscere e la cui formazione potrebbe essere stata successiva al crollo del cancello, secondo quanto asserito da alcuni consulenti. Con il secondo motivo, eccepisce illogicità e/o travisamento dei fatti sulle cause e sul momento della caduta. Ricorda che lo stesso consulente del pubblico ministero non aveva escluso, tra le cause concorrenti, quella legata all'errata manovra dei due lavoratori; rileva divergenze tra le dichiarazioni dell'infortunato L.D. - teste interessato anche perché costituitosi parte civile - e dì un altro lavoratore, H.Z.F., sentito a sommarie informazioni. Propone una ricostruzione diversa dei fatti come l'unica logicamente possibile. Ciò dicasi anche con riferimento a quanto affermato dalla difesa sul contributo causale degli aghi di pino presenti nelle rotaie. Appare inspiegabile il percorso logico seguito dalla Corte di merito sulla conoscenza da parte dei ricorrente dei vizi del cancello, anche alla luce della dichiarazione dei proprietario della fabbrica di fronte al capannone in questione che ne ha attestato il buon funzionamento per trent'anni.
6. E.G., a mezzo del suo difensore il quale assiste anche il responsabile civile A.S.A. ELETTROMECCANICA s.r.L, solleva quattro motivi di ricorso.
Con il primo, deduce violazione di legge in relazione ali'art. 83 cod. proc. pen. e vizio di motivazione. Ripropone l'eccezione di nullità della citazione in giudizio del responsabile civile, privo dell'obbligatoria indicazione della domanda con conseguente impossibilità per il responsabile civile dell'esercizio dei propri diritti. Sono, pertanto, illegittimi la pronuncia resa in danno della predetta società e il disposto sequestro conservativo.
Con il secondo, censura violazione di legge in relazione all'art. 113 cod. pen. e vizio di motivazione. L'imputazione da cui sì fa discendere il fumus cautelare non rientra tra le specifiche ipotesi legislative di responsabilità per fatto altrui. A.S.A. ELETTROMECCANICA s.r.l. ha, infatti, stipulato un contratto di locazione commerciale con soggetto poi imputato dell'omissione e/o violazione di cautele dallo stesso soltanto esigibili come causa dell'evento. Non si comprende in che modo la contestata cooperazione colposa del E.G. trovi attuazione. Non certo nel rispetto dei presidi antinfortunistici ma neppure nella compartecipazione alla violazione dell'obbligo proprio del locatore Y.C. rispetto al bene da costui locato a H.Q.Z.. La motivazione non spiega come nel percorso causativo dell'evento s'innesti il fatto che qualifichi la cooperazione colposa del ricorrente E.G., Non sussiste, invero, alcun legame psicologico tra le condotte dei coimputati e quella ascritta al E.G.. Attribuendo il contratto di locazione al conduttore ampia autonomia per la conservazione e manutenzione dei bene, non vi è alcuna responsabilità del ricorrente e, conseguentemente, del responsabile civile.
Con il terzo motivo, si lamenta violazione dell'alt. 589 cod. pen. e vizio di motivazione. La raccolta dei dati istruttori è stata parziale e disarticolata essendosi sostanzialmente fondata sul racconto della persona offesa sopravvissuta. Dalle risultanze processuali il ricorrente deduce, elencandole, conclusioni diverse rispetto a quelle a cui è giunta la Corte di appello di Firenze.
Il quarto motivo attiene al vizio di motivazione e alla violazione di legge in ordine agii arti. 185 cod. pen., 2043 cod. civ. e 538, 539 cod. proc. pen. Non è dato conoscere, dalla lettura dell'impugnata sentenza, quale fosse la somma adeguata all'entità del dolore patito dai congiunti della vittima, in ciò concretandosi un ulteriore vizio di motivazione. Non vi è alcun richiamo al criterio interpretativo per il quale, nella determinazione dell'entità del risarcimento, debba tenersi conto della realtà socio-economica in cui vive il danneggiato in relazione al diverso potere di acquisto della moneta.
Con il quinto e ultimo motivo, infine, si denuncia vizio di motivazione e violazione di legge in ordine all'alt. 52-bis cod. pen.
 

 

Diritto

 


1. Entrambi i ricorsi sono inammissibili perché, per gran parte, non rientranti tra quelli consentiti nel giudizio di legittimità risolvendosi in asserzioni e considerazioni di merito che risultano generiche e manifestamente infondate sia nella parte in cui contestano il valore probatorio degli elementi utilizzati dalla Corte di appello per pervenire al convincimento di responsabilità, sia laddove non tengono conto degli argomenti e delle indicazioni probatorie contenuti nella motivazione della sentenza impugnata.
2. Ricorso di Y.C..
2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ricorda che la ricostruzione dell'infortunio, così come effettuata dal primo Giudice, si è fondata sui sopralluogo effettuato nell'immediatezza del fatto dai Carabinieri e dai tecnici della ASL, sulle testimonianze degli altri due lavoratori presenti e sulle successive valutazioni del consulente del pubblico ministero le quali non sono risultate fondatamente contrastate dalle obiezioni degli imputati, in particolare quanto alle anomalie del cancello da lui riscontrate, consistenti in un'usura rilevante delle olive di scorrimento nella guida superiore e nel notevole gioco tra la guida superiore e quella inferiore. Sin dai primi sopralluoghi la polizia giudiziaria aveva sottolineato che il cancello era in cattive condizioni di manutenzione, in particolare perché rugginoso; le guide contenevano aghi di pino mai spazzati via che si erano anche insinuati in almeno una delle ruote poste sul lato inferiore del portone, riducendone sicuramente la capacità di scorrimento entro quella guida. I due testi presenti al fatto, la vittima sopravvissuta, L.D. e Y.Z., il cui verbale di sommarie informazioni era stato acquisito in dibattimento, hanno concordemente riferito che il cancello si chiudeva con difficoltà e che, per questo, dovettero spingerlo in tre persone, riuscendo a chiuderlo quasi completamente, e che, proprio in quel momento, esso cadde verso l'esterno schiacciando con il suo peso i due lavoratori che si trovavano su quel lato. Si tratta, sostiene il Giudice di appello, dì testimonianze concordi, una delle quali - quella di H.Z.F. - proveniente da soggetto privo di alcun particolare interesse, in quanto non rimasto ferito nell'incidente e non coinvolto in alcun modo nel presente procedimento.
Quanto alla presenza di ruggine, la sentenza di appello osserva che la stessa era stata rilevata dagli operatori della ASL intervenuti nell'immediatezza del fatto, fotografata e descritta nel verbale di accertamenti urgenti.
2.2. In ordine al secondo motivo, la sentenza ricorda che il consulente del pubblico ministero aveva ricondotto le cause dell'Infortunio a tre fattori concomitanti: errore dì montaggio del cancello le cui guide avevano un gioco sufficiente a permettere il soqquadro e la relativa fuoriuscita; carenze di manutenzione che impedivano il fluido e corretto scorrimento del portone sulle guide; errata manovra delle persone che avevano tentato con forza di farlo scorrere provocando sollecitazioni anomale tali da farlo fuoriuscire dalle guide. Ma dette sollecitazioni non rappresentano, sostiene l'impugnata sentenza, la causa ultima e di fatto unica della caduta del cancello perché proprio la cattiva manutenzione, all'origine della difficoltà di scorrimento, ha costretto gli operai a forzarne la chiusura; e gli errori costruttivi, lasciando un gioco eccessivo tra le guide, hanno fatto sì che le manovre anomale provocassero la fuoriuscita da esse.
Delle tre succitate cause, l'effettuazione da parte degli operai di manovre anomale per forzare la chiusura era condotta assolutamente necessitata nonché prevedibile e non ascrivibile ad alcuno di loro a titolo di colpa penalmente rilevante: essi, in quel momento, dovevano chiudere l'accesso al capannone perché era appena stato stivato al suo interno un carico di merce che doveva essere custodito, non potevano conoscere gli errori di costruzione all'origina della scarsa stabilità del cancello, non avevano il compito di provvedere alla sua pulizia e manutenzione né avevano possibilità di procedere in modo diverso da come hanno fatto per chiuderlo.
Alla stessa stregua, la Corte fiorentina, sulla base della precisa testimonianza dell'operaio rimasto incolume, H.Z.F., ha con certezza escluso l'utilizzo, da parte dei tre operai di alcuna leva così mancando alcuna prova che gli stessi abbiano compiuto azioni incongrue e pericolose, costituendo il loro spingere il cancello con la sola forza delle braccia una manovra del tutto corretta, naturale e prevedibile. 
Alla luce delle pregresse considerazioni, la sentenza di appello ha ravvisato la responsabilità di Y.C. per aver egli violato l'art. 64 d. lgs. n. 81/2008 avendo inviato i propri dipendenti a svolgere un'attività a loro specificamente ordinata in un luogo di lavoro di cui egli conosceva o doveva conoscere la pericolosità, avendolo lui stesso condotto in locazione sino al giorno precedente l'infortunio, risultando anche per lui evidente la totale carenza di manutenzione del cancello. La responsabilità del ricorrente va valutata anche alla stregua dell'art. 1575 cod. civ. che gli conferiva una specifica posizione di garanzia, stante che egli aveva sublocato alla H.Q.Z. il capannone che aveva l'obbligo di consegnare in buono stato dì manutenzione.
Il secondo motivo è, dunque, manifestamente infondato; quanto alla diversa ricostruzione del fatto propugnata dal ricorrente la stessa si risolve in una censura in fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali non consentita in questa sede di legittimità.
 

 

3. Ricorso di E.G..
3.1. Il primo motivo è inammissibile per tardività dell'eccezione. Sul punto, la Corte di appello correttamente ricorda che, non essendo stata fatta valere la nullità della citazione del responsabile civile per l'udienza preliminare dell7/04/2012 - data fissata dal Gup per la sua costituzione e regolarmente comunicata alla A.S.A. ELETTROMECCANICA s.r.l, con atto notificato a mezzo posta il 26/01/2012 - la stessa è stata sanata ai sensi dell'art. 184 cod. proc. pen., dovendosi ritenere che la società abbia volontariamente rinunciato a comparire a quell'udienza in cui avrebbe potuto e dovuto eccepire il vizio dell'atto di costituzione.
3.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo sulla responsabilità del E.G. la quale discende, come esattamente spiega la Corte del merito, dal fatto che egli - nella sua qualità di legale rappresentante della società che aveva locato il capannone di cui era proprietaria - rivestiva la posizione di garanzia conseguente all'obbligo stabilito dall'art. 1575 cod. civ. a carico del locatore. Il subentro del conduttore e della subconduttrice, con il rispettivo onere di manutenzione della cosa locata, non ha fatto venir meno l'obbligo del proprietario di consegnare la cosa in buono stato di manutenzione, per cui le carenze e i vizi da omessa manutenzione sopra menzionati, sicuramente risalenti ad epoca precedente la consegna del bene allo Y.C.M., avrebbero dovuto essere eliminati proprio dal E.G.. Come si è detto, il cancello presentava un errore di montaggio causalmente connesso con la sua caduta, cioè l'eccessivo gioco tra le guide, sufficiente a permetterne il soqquadro e la successiva fuoriuscita anche solo attraverso manovre di spinta quali quelli compiute manualmente dai tre operai. La cattiva manutenzione del cancello rendeva dunque necessario al proprietario intervenire anche predisponendo dei sistemi anticaduta, cautele che, invece, non sono state apposte.
Corretto è altresì il richiamo, operato dai Giudici del merito, alla responsabilità concorrente di cui all'art. 113 cod. pen. atteso che ai fini del riconoscimento della cooperazione nel reato colposo non è necessaria la consapevolezza della natura colposa dell'altrui condotta, né la conoscenza dell'Identità delle persone che cooperano, ma è sufficiente la coscienza dell'altrui partecipazione nello stesso reato, intesa come consapevolezza del coinvoigimento di altri soggetti in una determinata attività, fermo restando che la condotta cooperativa dell'agente deve, in ogni caso, fornire un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell'evento non voluto da parte dei soggetti tenuti al rispetto delle norme cautelari (Sez. F., sent. n. 41158 dei 25/08/2015, P.G. in proc. E e altri, Rv. 264885 - 01).
3.3. Il terzo motivo, volto a confutare la ricostruzione operata dai Giudici di merito e ad ipotizzare ricostruzioni alternative dell'accaduto, si risolve in una censura in fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali non consentita in questa sede di legittimità, ed è comunque manifestamente infondato, per quanto più sopra detto.
3.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato, oltre che ripetitivo di analoga doglianza già congruamente respinta dalla Corte di appello di Firenze. Questa ha reputato corretta la liquidazione degli importi a titolo di provvisionale disposti dal primo Giudice che aveva applicato le tabelle del Tribunale di Milano quanto alle singole voci di calcolo e aveva tenuto conto del grado di parentela, dell'assenza di convivenza, nonché dell'età della vittima e dei vari familiari.
Con motivazione incensurabile, il Giudice di appello afferma che l'applicazione delle anzidette tabelle è corretta essendosi i danni verificati in Italia e a carico di soggetti che qui vivevano e lavoravano; irrilevante essendo il fatto che alcune tra le parti civili risiedano in un paese in cui la moneta ha un potere di acquisto diverso e inferiore, perché l'ammontare del risarcimento deve essere calcolato con riguardo alla rilevanza economica del danno nel momento e nel luogo del suo verificarsi.
Deve osservarsi che il criterio della realtà socioeconomica in cui vive il danneggiato non è fondato in diritto. Richiamando i tre elementi essenziali dell’illecito aquiliano - costituiti da condotta illecita colposa o dolosa, danno e nesso di causalità — la Cassazione civile (n. 7932 del 2012) ha osservato che sono soltanto questi i fattori suscettibili di incidere sulla determinazione del danno; mentre il luogo dove il danneggiato abitualmente vive, e presumibilmente spenderà od investirà il risarcimento a lui spettante, è invece un elemento esterno e successivo alla fattispecie dell’illecito, un posterius, come tale ininfluente sulla misura del risarcimento del danno. Appaiono decisive, al riguardo, le seguenti osservazioni. Innanzitutto, una valutazione differenziata risulterebbe in evidente contrasto con l’art. 3 Cost. Come la Corte costituzionale ha più volte insegnato, le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute rientrano tra quelle che, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall'appartenenza a determinate entità politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato (v. la sentenza n. 306 del 2008, nonché, in relazione al diritto inviolabile alla salute, la sentenza n. 252 del 2001).
La Corte di cassazione, sulla scia di quanto indicato dal Giudice delle leggi, ha riconosciuto (sent. 11 gennaio 2011, n.450) che «allo straniero, indipendentemente dalla condizione dì reciprocità, compete il risarcimento dell'intero danno non patrimoniale, di cui all'art. 2059 cod. civ., allorché esso sia liquidato non come ipotesi espressamente prevista dalla legge (nella formulazione letterale ed originaria della norma), ma quale risarcimento della lesione di un valore della persona umana, costituzionalmente garantito». In altre parole non si vede, alla luce della giurisprudenza costituzionale nonché della semplice logica giuridica, per quale ragione un medesimo evento dannoso possa determinare conseguenze diverse a seconda della nazionalità dei soggetti aventi diritto al risarcimento. La Cassazione civile, d'altra parte, ha in numerose e ben note sentenze ribadito che il risarcimento del danno deve avere come obiettivo fondamentale il ripristino del valore-uomo nella sua insostituibile unicità (v., tra le altre, le sentenze 20 novembre 2012, n. 20292, 22 agosto 2013, n. 19402, e 14 gennaio 2014, n. 531);
ora, anche se la morte rende impossibile tale ripristino, pur tuttavia il risarcimento che ne consegue non può differenziarsi per il fatto che il denaro erogato a tale titolo è destinato ad essere speso in un Paese nel quale il costo della vita è diverso da quello dell'Italia.
Nel caso specifico, poi, è fuori discussione che la vittima dell’incidente, come ricorda la Corte di appello, si trovava in Italia per motivi di lavoro, sicché il denaro che egli stava guadagnando costituiva il corrispettivo di una prestazione svolta nel nostro Paese.
Le conclusioni raggiunte traggono ulteriore conferma da altri orientamenti che la Cassazione civile è andata maturando negli ultimi anni nella materia risarcitoria.
Va richiamata, al riguardo, la sentenza 7 giugno 2011, n. 12408, ribadita da altre più recenti, nella quale si è riconosciuta l’importanza di una uniformità, per quanto possibile, delle tecniche di risarcimento del danno, sottolineando la necessità di fare ricorso alle tabelle adottate dal Tribunale di Milano allo scopo di evitare che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché esaminati da differenti Uffici giudiziari. Tale pronuncia è evidentemente il segno della necessità, che questa Corte avverte, di ridurre il più possibile le diversità e le oscillazioni nella liquidazione del danno; sicché la decisione odierna si inserisce in modo coerente in questo filone dì giurisprudenza, poiché evidenzia l’insostenibilità del riferimento alle diverse realtà socio-economiche in sede di risarcimento del danno non patrimoniale (Cass. Civ., Sez. 3, sent. n. 24201 del 2014).
Il motivo è, pertanto, inammissibile.
3.5. Quanto al quinto motivo del ricorso, concernente il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il ricorrente pretende che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
L'esercizio di detto potere deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva dei reato ed alla personalità del reo. Ciò detto, il Collegio osserva che vi è adeguata motivazione: la Corte fiorentina ha reputato il E.G. non meritevole per aver consapevolmente consegnato al locatario un capannone il cui cancello versava in pessimo stato di conservazione, per aver omesso per anni qualsiasi manutenzione ed omesso di effettuare, prima della consegna, ogni controllo sul medesimo, sulla sua funzionalità e sulla sua sicurezza, pur sapendo di locare un luogo di lavoro, nel quale quindi poteva quotidianamente accedere una pluralità di persone; né risulta che egli abbia mai fornito alcun tipo di collaborazione al riguardo. Anche questo motivo non può, dunque, trovare accoglimento.
4. In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
All'inammissibilìtà segue, ex lege, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili OMISSIS, liquidate per ciascuno in euro 4.000,00, oltre spese generali nella misura del 15%, cpa e iva.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibili ì ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili Omissis che liquida per ciascuno in euro 4000,00, oltre spese generali nella misura del 15%, cpa e iva.
Così deciso il 5 ottobre 2018