Cassazione Civile, Sez. 6, 04 febbraio 2019, n. 3207 - Il fatto che la malattia denunciata rientri tra le malattie tabellate determina una presunzione legale di origine professionale non assoluta. Nel caso di specie il tabagismo è la causa esclusiva


 

La circostanza che la malattia denunciata rientri tra le malattia tabellate, ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 3, determina la esistenza di una presunzione legale di origine professionale qualora il lavoratore abbia provato l’adibizione ad una lavorazione tabellata - o l’esposizione ad un rischio ambientale provocato da quella lavorazione - e l’esistenza della malattia ed abbia effettuato la denuncia nel termine massimo di indennizzabilità.
Questa presunzione non è tuttavia assoluta ma è superabile con la prova - a carico dell’INAIL - che la malattia è stata determinata da cause extraprofessionali e non dal lavoro. Il che è accaduto nella fattispecie di causa in quanto il ctu ha individuato un diverso fattore - il tabagismo - avente rilevanza causale esclusiva nella determinazione della malattia.



Presidente Doronzo – Relatore Spena

Rilevato

che con sentenza del 19 ottobre 2016 numero 214 la Corte d’Appello di Ancona riformava la sentenza del Tribunale di Urbino e, per l’effetto, respingeva la domanda proposta da P.L. , vedova ed erede di C.E. , nei confronti dell’INAIL per la condanna dell’ente assicurativo alla corresponsione della rendita ai superstiti e dell’assegno funerario;
che a fondamento della decisione la Corte territoriale premetteva che - al fine di accertare l’origine professionale del cancro ai polmoni che aveva determinato il decesso del lavoratore (in relazione al lavoro svolto di installatore e manutentore di stampanti e fotocopiatrici) ed a fronte degli esiti opposti delle due consulenze svolte nel primo grado - era stato nominato un nuovo consulente d’ufficio nel grado di appello. Questi, dopo approfondita indagine, avvalendosi anche dell’aiuto di un tossicologo occupazionale, aveva escluso che l’attività lavorativa avesse avuto una qualche incidenza nella malattia contratta.
Le conclusioni del consulente, frutto di accurate indagini, dovevano essere recepite; da ciò derivava che l’attività lavorativa non aveva determinato - nemmeno quale concausa - la malattia e la morte del C. ;
che avverso la sentenza ha proposto ricorso P.L. , articolato in tre motivi, ai quale ha opposto difese l’INAIL con controricorso;
che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’udienza - ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;
che la parte ricorrente ha depositato memoria.

Considerato

che la parte ricorrente ha dedotto:
- con il primo motivo - ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, - violazione e falsa applicazione: del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 3 e del D.M. 9 aprile 2008, voce n. 33 della tabella, allegato n. 4; degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c..
Ha censurato la sentenza impugnata per non avere considerato che la patologia denunciata (tumore ai polmoni) rientrava tra quelle tabellate ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 3. La voce numero 33 della tabella delle malattie professionali nell’industria, allegata al D.P.R. n. 1124 del 1965 e richiamata dall’art. 3, prevedeva il tumore del polmone tra le malattie causate dall’esposizione ad idrocarburi policiclici aromatici. Egli era stato esposto agli idrocarburi policiclici aromatici, in quanto toner e devoloper di stampanti e fotocopiatrici contenevano una polvere chimica costituita principalmente da carbon black (o nero fumo).
Tale questione era stata sottoposta tanto al Tribunale (pagina 8 del ricorso di primo grado) che al giudice dell’appello (pagina 3 memoria autorizzata del 12.4.2016).
- con il secondo motivo - ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, - omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti. La ricorrente ha esposto di avere ampiamente argomentato sulla cancerogenità del carbon black (o nero fumo) e di altre sostanze chimiche contenute nel toner e nel developer (lo stirene, il nichel monossido, il butadiene). Il c.t.u. nominato nel grado di appello aveva escluso il nesso causale tra l’esposizione a carbon black ed il cancro al polmone; a tali conclusioni egli aveva opposto specifiche obiezioni con la memoria autorizzata del 12.4.2016, a fronte delle quali la Corte di merito non aveva spiegato in modo puntuale le ragioni della propria adesione alla consulenza d’ufficio;
- con il terzo motivo - ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, - violazione e falsa applicazione dell’art. 41 c.p., per avere la corte di merito escluso il nesso causale tra l’attività lavorativa svolta dal C. e la patologia contratta laddove attività lavorativa aveva avuto quanto meno il ruolo di concausa dell’insorgenza del cancro ai polmoni;
che ritiene il Collegio si debba respingere il ricorso;
che, invero i tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente per la loro connessione, non tengono conto dell’accertamento di fatto, compiuto dal giudice del merito in adesione alle conclusioni del ctu, secondo cui "la attività lavorativa non ha determinato neppure quale concausa, la malattia e la morte del lavoratore".
Alla luce di tale accertamento appare inammissibile la deduzione del vizio di violazione dell’art. 41 c.p., di cui al terzo motivo di ricorso. Come ripetutamente affermato da questa Corte, il vizio di violazione o falsa applicazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa mentre la allegazione - come prospettata nella specie da parte del ricorrente - di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione delle norme di legge ed impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo questi ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (in termini, Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonché Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).
La deduzione del vizio di motivazione articolata con il secondo motivo parimenti non si sottrae al rilievo di inammissibilità; parte ricorrente non allega alcun fatto storico, oggetto di discussione tra la parti e di rilievo decisivo, non esaminato dal giudice dell’appello, in quanto l’elaborato del ctu, le cui conclusioni venivano recepite nella sentenza impugnata, esaminava ed escludeva la possibile cancerogenicità del carbon black contenuto nel toner delle fotocopiatrici, individuando quale fattore causale esclusivo il tabagismo. Pertanto la censura si risolve nella mera contrapposizione al giudizio espresso dal giudice del merito di una diversa valutazione dei medesimi dati di fatto già esaminati, non consentita in questa sede di legittimità.
Il primo motivo è invece infondato; la circostanza che la malattia denunciata rientri tra le malattia tabellate, ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 3, determina la esistenza di una presunzione legale di origine professionale qualora il lavoratore abbia provato l’adibizione ad una lavorazione tabellata - o l’esposizione ad un rischio ambientale provocato da quella lavorazione - e l’esistenza della malattia ed abbia effettuato la denuncia nel termine massimo di indennizzabilità.
Questa presunzione non è tuttavia assoluta ma è superabile con la prova - a carico dell’INAIL - che la malattia è stata determinata da cause extraprofessionali e non dal lavoro. Il che è accaduto nella fattispecie di causa in quanto il ctu ha individuato un diverso fattore - il tabagismo - avente rilevanza causale esclusiva nella determinazione della malattia. Tale rilievo esime da ogni altra considerazione in ordine alla effettiva ricorrenza nella fattispecie di causa di una delle lavorazioni specificate al n. 33 lett. a) della nuova tabella delle malattie professionali nell’industria di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 3, e successive modificazioni ed integrazioni (D.P.R. n. 1124 del 1965, all. n. 4).
che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere respinto con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;
che non vi è luogo a rifusione delle spese in ragione della dichiarazione resa ai sensi dell’art. 152 Disp. Att. c.p.c..
che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), - della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

 

 

P.Q.M.

 



La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.