Cassazione Civile, Sez. 3, 08 febbraio 2019, n. 3724 - Caduta durante il riposizionamento di un'antenna in una abitazione a causa del crollo del pavimento del sottotetto


 

 

 

Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO Relatore: IANNELLO EMILIO Data pubblicazione: 08/02/2019

 

Fatto

 


1. Il 22/8/2007 F.T., mentre era intento ad eseguire nell'abitazione dei coniugi R.C. e P.F., su incarico della B.B.Bell S.r.l., un intervento di riposizionamento/ripuntamento dell'antenna ivi in precedenza collocata, precipitava da un'altezza di 3,5 m a causa del crollo del pavimento del sottotetto, riportando un trauma cranico e toracico.
Per il risarcimento dei conseguenti danni, patrimoniali e non patrimoniali, egli conveniva in giudizio la B.B.Bell e i predetti comproprietari dell'immobile. Questi ultimi estendevano il contraddittorio agli altri comproprietari Omissis e chiamavano in manleva Assicurazioni Generali S.p.A..
Con sentenza depositata in data 14/1/2016 il Tribunale di Torino accoglieva parzialmente la domanda: ritenuto il concorso di colpa del danneggiato nella misura del 10%, condannava la società e i predetti comproprietari, in solido tra loro, al pagamento in favore dell'attore della complessiva somma di € 188.810,10 e la compagnia di assicurazioni a tenere indenni i propri assicurati, nei limiti della loro quota di responsabilità del 50%.
2. Pronunciando sui contrapposti appelli la Corte d'appello di Torino, con la sentenza in epigrafe, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha diversamente commisurato nella percentuale del 50% il concorso di colpa del danneggiato. Confermata la stima e la liquidazione dei danni (oltre che l'obbligo in capo a Generali Assicurazioni S.p.A. di manlevare i propri assicurati) ha conseguentemente condannato la B.B.Bell (nel frattempo divenuta S.p.A.) e i comproprietari dell'immobile, Omissis, in solido, al pagamento in favore del F.T. della somma di € 104.894,50, con gli accessori già liquidati dal tribunale, ponendo nei rapporti interni il 25% di dettoimporto a carico della società predetta e il restante 25% a carico dei comproprietari (così testualmente in dispositivo), regolando conseguentemente le spese di lite.
3. Avverso tale sentenza la B.B.Bell S.p.A. propone ricorso per cassazione, con tre mezzi.
Vi resiste, con controricorso, F.T., proponendo a sua volta ricorso incidentale, affidato a quattro motivi, illustrati anche da memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Omissis e Generali Italia S.p.A. (subentrata ad Assicurazioni Generali S.p.A.) depositano controricorsi per resistere al ricorso principale.
Omissis depositano separati controricorsi per resistere al ricorso incidentale.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo di ricorso la B.B.Bell S.p.A. deduce, ai sensi dell'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2050 e 2087 cod. civ., 7 d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, e 100 cod. proc. civ., in relazione alla qualificazione di essa ricorrente come datrice di lavoro, committente o comunque titolare di una posizione di garanzia nei confronti del danneggiato.
1.1. Sul punto la Corte d'appello — richiamati i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità del committente che, incaricato di eseguire lavorazioni pericolose per loro natura, subappalti a terzi l'esecuzione di parte dei lavori (in quanto tenuto a verificare l'idoneità tecnico professionale del soggetto cui l'opera è affidata ed a concorrere alla prevenzione del rischio specifico implicato nella realizzazione della medesima) — ha rilevato che «dalla documentazione in atti risulta che il F.T. lavorava prevalentemente a favore dell'appellante (B.B.Bell, n.d.r.), pur avendo una propria impresa individuale», ha quindi ritenuto operanti «i doveri protettivi e di sicurezza posti a carico del committente in forza della normativa antinfortunistica», rimarcando inoltre che «già il 14 febbraio 2007 ... la B.B.Bell S.p.A. aveva eseguito l'installazione del servizio radio presso l'abitazione dei signori P.F. e R.C. e quindi era a conoscenza dello stato dei luoghi: in forza di ciò avrebbe dovuto fornire le idonee informazioni al prestatore d'opera perché potesse operare in sicurezza, ma nulla di ciò risulta».
1.2. Con il motivo in esame la ricorrente lamenta una erronea interpretazione delle norme ed inoltre che la ricostruzione del rapporto contrattuale operata dalla Corte non riflette la realtà dei fatti, documentalmente provata e non controversa; osserva in particolare che:
— essa aveva fornito prova di aver verificato l'idoneità tecnico professionale del F.T., attraverso l'analisi dell'oggetto delle sue fatture e la durata del rapporto contrattuale, da cui poteva desumersi che si trattava di soggetto altamente esperto della materia;
— l'opera commissionata non rappresentava un'esternalizzazione di parte del processo produttivo, trattandosi di manutenzione di un impianto già realizzato; B.B.Bell non si era riservata poteri direttivi ed organizzativi, ma si trattava di attività da eseguirsi in piena autonomia, senza vincolo tecnico di sorta;
— il F.T. svolgeva attività continuativa in favore di B.B.Bell solo nell'ambito della costruzione delle centraline di trasmissione del segnale radio, ma non si occupava di installazione di antenne e/o della manutenzione delle stesse, se non in casi eccezionali e/o di emergenza;
— essa ricorrente aveva offerto prova di aver informato dei rischi sul lavoro ed il prestatore d'opera aveva dichiarato di aver portato con sé le cinghie di sicurezza ma di non averle utilizzate.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Lamenta che i giudici d'appello hanno omesso di considerare «il disposto della sentenza di primo grado relativamente alla circostanza che il F.T. avesse con sé, nella sua auto, le cinghie di sicurezza e che ometteva di utilizzarle» (così testualmente in ricorso).
Rileva inoltre l'esistenza di un «conflitto insanabile tra motivazioni contrastanti» per avere la Corte d'appello, da un lato, affermato che era onere di B.B.Bell informare il prestatore circa i rischi del lavoro, dall'altro, rilevato che lo stesso F.T. «in qualità di persona esperta doveva rendersi conto dei rischi connessi con il lavoro da eseguire, o direttamente attraverso l'osservazione dello stato dei luoghi, oppure chiedendo ulteriori chiarimenti».
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia infine, ai sensi dell'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 92 e 97 cod. proc. civ. per avere la Corte d'appello pronunciato condanna nei suoi confronti, in solido con i comproprietari dell'immobile, al pagamento di metà delle spese del secondo grado di giudizio, nonostante avesse rigettato l'appello incidentale del F.T. sulla quantificazione del danno e accolto il motivo d'appello di essa società sulla graduazione del concorso di colpa del danneggiato.
4. Con il primo motivo di ricorso incidentale F.T. denuncia, ai sensi dell'art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 132 n. 4 cod. proc. civ. e 111, comma sesto, Cost. e, comunque, violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, comma primo, 2043, 2050, 2051, 2087 e 2697 cod. civ., 7 d.lgs. n. 626 del 1994, 115 e 116 cod. proc. civ..
Lamenta che la sentenza impugnata risulta totalmente priva di motivazione nella parte in cui ha respinto l'appello incidentale proposto con riferimento alla ritenuta responsabilità concorrente di esso danneggiato nella valutazione dell'evento.
Denuncia, in subordine, sul punto, violazione delle norme sopra indicate, per essere stata detta concorrente responsabilità affermata in assenza di allegazione e prova di comportamenti colposi da parte del danneggiato.
Rileva in particolare che, quanto alla presunta sottovalutazione del pericolo, egli aveva rilevato come nessuna evidenza istruttoria indicasse che tale situazione (ossia la non idoneità del solaio a sopportare i carichi normali) fosse in qualche modo percepibile e che anzi, dagli atti di causa, risultava esattamente il contrario.
Richiamati inoltre gli accertamenti contenuti nelle sentenze di merito circa gli elementi che giustificavano l'affermazione di responsabilità della committente e dei comproprietari dell'immobile, lamenta che, «a fronte di tali gravi e concorrenti responsabilità», l'affermazione di una responsabilità del danneggiato, nella misura del 50%, è frutto di errata interpretazione ed applicazione delle norme di cui agli artt. 1227, comma primo, e 2697 cod. civ., avendo la Corte d'appello trascurato di considerare che: a) spetta al danneggiante dimostrare che il comportamento della vittima ha concorso a cagionare il danno, mediante allegazione e prova del fatto di questo, nel caso di specie non fornita; b) l'accertamento della riconducibilità causale dell'evento al concorso di due fattori determinanti, quali la condotta omissiva della committente e la condizione oggettiva della cosa, escludeva l'attribuzione al danneggiato di una responsabilità concorrente.
5. Con il secondo motivo il ricorrente incidentale deduce, ai sensi dell'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2697 e 2729 cod. civ., per avere la Corte d'appello erroneamente ricondotto i pregiudizi derivati dalla riduzione della capacità lavorativa all'alveo del danno non patrimoniale, valutandoli ai fini della c.d. personalizzazione del danno, laddove — sostiene — i rilevanti postumi residuati avrebbero dovuto considerarsi direttamente incidenti sulla capacità lavorativa e rilevanti pertanto sul piano delle conseguenze patrimoniali dell'evento.
5.1. La Corte d'appello ha sul punto rilevato (v. pag. 13, § 3.5 della sentenza) che: a) non risulta specificamente contestata la motivazione della sentenza di primo grado laddove si osserva che i redditi successivi al sinistro, pure in calo, non possono essere ricondotti alle ridotte capacità lavorative del F.T., ma possono anche ascriversi ad una contrazione del mercato; b) dai modelli «Unico» risulta che nel 2009 il reddito sia stato maggiore di quello prodotto nel 2010 e quindi i minori redditi non possono ascriversi con sicurezza alle ridotte capacità di lavoro.
5.2. Con il motivo in esame il ricorrente contesta anzitutto l'affermazione sub a), rilevando che, nella comparsa di costituzione contenente appello incidentale, egli aveva specificamente impugnato la liquidazione dei danni e in particolare dedotto la concreta ed effettiva incidenza delle lesioni patite sulla sua capacità reddituale.
Quanto poi alla seconda osservazione rileva che la stessa «è priva di qualsiasi rilievo, a fronte della sussistenza di lesioni ... tali da menomare con certezza la capacità lavorativa della vittima nonché della dimostrata riduzione reddituale subita dal danneggiato rispetto al reddito goduto prima dell'infortunio».
6. Con il terzo motivo F.T. denuncia, ai sensi dell'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 32 Cost., 1226, 2043, 2056 e 2059 cod. civ., in relazione alla operata personalizzazione del danno per maggiore usura lavorativa nella sola misura del 20%.
6.1. La Corte d'appello ha sul punto rilevato (v. pag. 13, § 3.5 della sentenza) che «il F.T., sia pure con minori redditi, ha ripreso la propria attività, con la conseguenza che la percentuale di personalizzazione del danno non patrimoniale appare corretta».
6.2. Il ricorrente lamenta che, così motivando, la Corte d'appello «ha tralasciato di considerare tutte le peculiarità del caso concreto, come specificamente evidenziate dalla c.t.u. svolta nel giudizio di primo grado e non contestata da alcuna delle parti in causa».
Trascritti ampi stralci della c.t.u. rileva in particolare che, alla luce di essi, le ripercussioni dell'evento traumatico risultano «importanti» e tali da incidere «direttamente sugli aspetti più peculiari e unici della persona, determinando definitivi e rilevanti modifiche della personalità nei suoi aspetti più intimi (deficit relativi a numerose capacità quali quelle mestiche e visive o a quelle relative al linguaggio, alla sopravvenuta incapacità di astrazione e di pianificazione, alterazioni della personalità e del tono dell'umore), ancor più significativi trattandosi di un giovane uomo, all'epoca dell'incidente trentunenne». Sostiene quindi che solo un'adeguata personalizzazione, nella misura richiesta del 25%, può consentire un ristoro di tale danno nella sua interezza.
7. Con il quarto motivo il ricorrente incidentale denuncia infine, ai sensi dell'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 342 cod. proc. civ. in relazione alla ritenuta inammissibilità delle istanze istruttorie non ammesse in primo grado e ribadite in appello.
7.1. La doglianza è svolta con riferimento alle prove orali richieste in primo grado al fine di dimostrare, fra l'altro, i pregiudizi di natura patrimoniale e non patrimoniale, ma non ammesse dal giudice istruttore poiché ritenute generiche e valutative.
La Corte d'appello ha sul punto rilevato (v. pag. 11, § 3.1.4 della sentenza) che la riproposizione di tali istanze istruttorie in appello era inammissibile in mancanza di «alcun motivo specifico di appello in ordine alla reiezione (delle stesse, n.d.r.) di cui all'ordinanza 22/12/2014 del giudice di primo grado».
7.2. Secondo il ricorrente tale valutazione viola il disposto di cui all'art. 342 cod. proc. civ..
Sostiene infatti che, stante il c.d. carattere devolutivo dell'appello, il giudice del gravame è tenuto all'esame delle istanze istruttorie non ammesse dal giudice di primo grado e di cui sia rinnovata la richiesta di ammissione in appello, non essendo prescritta la formulazione di uno specifico motivo di gravame sulle ragioni della loro reiezione.
Richiama a supporto il principio affermato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui «qualora il giudice di primo grado rigetti la domanda per mancanza di prova, ai fini della specificità dei motivi di appello è sufficiente che si lamenti il rigetto e si chieda la prova, la cui mancanza ha portato al rigetto, senza che occorra alcuna altra deduzione» (Cass. 20/08/2003, n. 12218).
8. Esame dei motivi del ricorso principale.
8.1. Il primo motivo è inammissibile.
La doglianza di error iuris si appalesa generica; non è indicato dove e in che modo la Corte d'appello abbia erroneamente individuato la regula iuris applicabile al caso; sono poste in realtà questioni di merito che riguardano la ricognizione del fatto.
Occorre in proposito ribadire che non può ricondursi nell'ambito del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, quale motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ., la deduzione con la quale si contesti al giudice di merito non di aver errato nella individuazione della norma regolatrice della controversia bensì di avere erroneamente ravvisato, nella situazione di fatto in concreto accertata, la ricorrenza degli elementi costitutivi d'una determinata fattispecie normativamente regolata, giacché siffatta valutazione comporta un giudizio non già di diritto bensì di fatto, eventualmente impugnabile sotto il profilo del vizio di motivazione (v. e pluribus Cass. 30/03/2005, n. 6653; 29/04/2002, n. 6224) 
8.2. È altresì inammissibile il secondo motivo.
Non è precisato se e in che modo la questione fosse stata dedotta in appello e posta ad oggetto del dibattito; trattasi peraltro di circostanza (quella che il F.T. aveva con sé, nella propria auto, le cinghie di sicurezza e non le ha utilizzate) non decisiva non essendo di per sé in grado di contrastare l'accertamento contenuto in sentenza della violazione dei doveri informativi gravanti sul (sub)committente.
Manifestamente infondata è poi la censura nella parte in cui deduce «conflitto insanabile tra motivazioni contrastanti».
Avere ascritto sia al (sub)committente che al (sub)appaltatore la responsabilità dell'evento dannoso, per avere omesso, il primo di rappresentare adeguatamente, il secondo di attentamente valutare i rischi connessi al lavoro da eseguire, non viola affatto la logica aristotelica ma esprime semplicemente e coerentemente le ragioni del divisato concorso di colpa, dell'uno e dell'altro.
8.3. È infine infondato il terzo motivo.
Va al riguardo rammentato che, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, l'onere delle spese processuali va attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, sicché viola il principio di cui all'art. 91 cod. proc. civ., il giudice di merito che ritenga la parte soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado (v. Cass. 18/03/2014, n. 6259; v. anche e pluribus Cass. 01/06/2016, n. 11423; Cass. 12/04/2018, n. 9064).
Com'è stato precisato, tale criterio va osservato anche qualora il giudice ritenga di giungere alla compensazione parziale delle spese di lite, condannando poi per il residuo una delle due parti; in tal caso, l’unitarietà e la globalità del suddetto criterio comporta che, in relazione all'esito finale della lite, il giudice deve individuare la parte parzialmente soccombente e quella, per converso, parzialmente vincitrice, in favore della quale il giudice del gravame è tenuto a provvedere sulle spese secondo il principio della soccombenza applicato all'esito globale del giudizio, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato (Cass. 23/08/2011, n. 17523).
Nel caso di specie, benché in effetti l'appello dell'odierna ricorrente abbia trovato parziale accoglimento nella sentenza in questa sede impugnata, mentre è stato integralmente rigettato l'appello incidentale proposto dal F.T., la condanna al pagamento del 50% delle spese del secondo grado in favore dell'appellato rimane comunque giustificata dall'esito complessivo della lite, che ha visto B.B.Bell comunque soccombente, secondo valutazione non palesemente illogica della Corte d'appello e quindi insindacabile in questa sede in quanto conforme al suindicato principio di diritto.
9. Esame dei motivi del ricorso incidentale.
9.1. Il primo motivo è inammissibile.
Vi è, nella sentenza impugnata, specifica e non meramente apparente motivazione del convincimento espresso circa la sussistenza e la commisurazione del concorso di colpa del danneggiato (v. pag. 13, secondo cpv.); la Corte d'appello in sostanza imputa al F.T. l'omissione di cautele, esigibili per le sue qualità professionali, dirette ad accertare preventivamente i rischi connessi con il lavoro da eseguire o attraverso l'osservazione dello stato dei luoghi oppure chiedendo ulteriori chiarimenti; la censura non si confronta con tale parte della motivazione e si risolve nella mera oppositiva affermazione dell'assenza di alcuna colpa.
Mette conto peraltro precisare che, secondo prevalente indirizzo, il fatto colposo del danneggiato che abbia contribuito al verificarsi dell'evento dannoso (ipotesi regolata dall'art. 1227, primo comma, cod. civ.) è rilevabile d'ufficio, per cui la sua prospettazione non richiede la proposizione di un'eccezione in senso proprio, costituendo mera difesa, a differenza dell'aggravamento del danno derivante dal comportamento colposo successivo del danneggiato, previsto dal secondo comma della medesima disposizione (v. Cass., 25/09/2008, n. 24080; 23/01/2006, n. 1213), con la conseguenza che, nel primo caso, il giudice deve proporsi d'ufficio l'indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato (sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, di quegli), e ciò nella considerazione che tale indagine sia intrinseca alla ricostruzione del fatto storico (v. Cass. 12/03/2004, n. 5127 e succ. conf.).
9.2. È invece fondato il secondo motivo.
Premesso che il ricorrente ha specificamente rilevato, con assolvimento dell'onere di autosufficienza, dove e come aveva impugnato la decisione di primo grado anche con riferimento alla «erronea e insufficiente liquidazione dei danni», e con specifico riguardo alla «concreta ed effettiva incidenza delle lesioni patite ... sulla di lui sfera lavorativa» (v. ricorso, pagg. 25-26), deve rilevarsi che, a fronte di una accertata invalidità permanente nella elevata misura del 34%, la considerazione svolta in sentenza, secondo cui i minori redditi non possono ascriversi con sicurezza alle ridotte capacità di lavoro, esprime una sostanziale obliterazione del forte rilievo indiziario che occorre invece attribuire, anche sul versante del danno reddituale, al primo dato, e dà in effetti riscontro al denunciato error in iudicando, sub specie di erronea sussunzione della fattispecie concreta nel quadro dei principi affermati dalla giurisprudenza.
Come rettamente ricordato in ricorso, invero, questa Corte ha da tempo affermato il principio, al quale in questa sede si intende dare continuità, secondo cui «nei casi in cui l'elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all'accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi. La liquidazione di detto danno può avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell'infortunio» (Cass. 14/11/2013, n. 25634; v. anche Cass. del 23/09/2014, n. 20003; cfr. da ultimo, ex aliis, Cass. 15/06/2018 n. 15737, secondo la cui massima «il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, va valutato su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicché, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura — non necessariamente in modo proporzionale — qualora la vittima già svolga un'attività lavorativa. Tale presunzione, peraltro, copre solo l'art dell'esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all'art. 1226 c.c., perché esso riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest'ultimo sia diminuito»).
Nel caso di specie, come detto, risultano accertate, in punto di fatto, non solo la gravità degli esiti invalidanti (34%) e la loro incidenza sulle capacità reddituali del danneggiato, ma anche l'esistenza di un'effettiva contrazione dei redditi, chiara in tal senso l'affermazione dell'andamento «in calo» dei redditi successivi al sinistro; in tale contesto si appalesa di contro inconferente (in quanto inidoneo ad offrire in concreto una diversa giustificazione e a superare così la presunzione come detto ricavabile dalla gravità dei postumi) il rilievo secondo cui «dai modelli "Unico" risulta che nel 2009 il reddito sia stato maggiore di quello prodotto nel 2010», non valendo esso ad escludere il dato primariamente rilevante rappresentato dal fatto che già nel 2009, e certamente anche nel 2008, detti redditi risultavano sensibilmente ridotti.
9.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Si ricava dalla sentenza impugnata che la personalizzazione del danno non patrimoniale con l'aumento del 20% di quanto liquidato in applicazione delle tabelle sia stata operata, dal primo giudice, sulla base delle «indicazioni del consulente» e «in aderenza» alle conclusioni dello stesso.
Può certamente presumersi, e risulta anzi espressamente evidenziato anche nella sentenza d'appello (pag. 13, quartultimo cpv.), che tali conclusioni (dunque anche la liquidazione poi operata dal tribunale, pure attraverso la suindicata personalizzazione del danno) abbiano fatto riferimento a tutti i pregiudizi riconducibili alle lesioni nella loro duplice fenomenologia, riguardati cioè sia negli aspetti che riguardano l'interiorità della persona offesa, in termini di sofferenza psichica o morale, sia in quelli esteriori/relazionali (v. Cass. 17/01/2018, n. 901, in motivazione, pag. 27).
Il ricorrente non offre elementi da cui desumere che, in realtà, detta valutazione avesse omesso di considerare alcuno di tali aspetti; né deduce di avere con l'atto d'appello specificamente censurato tale ipotetica lacuna.
La conferma dunque, da parte della Corte d'appello, della liquidazione del danno non patrimoniale quale operata in primo grado, anche con riferimento alla percentuale di personalizzazione, non si espone alla esposta censura, rimanendo irrilevante (in quanto di per sé non univocamente indicativo anche di una iniziale lacuna nella valutazione del tribunale) che i giudici d'appello, nel rigettare il motivo di gravame, abbiano fatto solo riferimento alla ripresa, da parte del F.T., della propria attività.
In tale contesto la censura appare dunque, in buona sostanza, concentrarsi esclusivamente sulla quantificazione della personalizzazione del danno, assumendo il ricorrente essere più corretta e aderente al caso la percentuale del 25% anziché quella del 20%, con ciò però investendo evidentemente una valutazione tipicamente discrezionale, riservata al giudice di merito e come tale non sindacabile nella presente sede, in quanto comunque assistita da motivazione non meramente apparente.
9.4. È infine infondato il quarto motivo del ricorso incidentale.
La giurisprudenza ivi richiamata si riferisce al caso di rigetto della domanda per mancanza di prova; in tal caso la riproposizione dell'istanza istruttoria in appello non richiede specifiche censure riferite al provvedimento che disattende la richiesta istruttoria.
Diverso è il caso in esame in cui il giudice di merito non ha rigettato la domanda ma, ben diversamente, ha deciso sui punti controversi (riguardanti l'accertamento e la quantificazione dei danni, patrimoniali e non patrimoniali) sulla base degli elementi raccolti, tra i quali non ha inserito quelli che la parte chiedeva di introdurre con la prova orale, in quanto espressamente ritenuti irrilevanti.
In tal caso l'iterazione della prova in appello richiedeva anche una specifica argomentazione critica volta a spiegare le ragioni per cui, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, quella prova avrebbe dovuto considerarsi rilevante.
In tal senso questa Corte ha già condivisibilmente chiarito che, allorché il giudice di primo grado abbia rigettato l'ammissione di una deduzione istruttoria, ritenendola irrilevante, l'appellante ha l'onere di censurare la statuizione di rigetto dell'istanza istruttoria con uno specifico motivo di gravame, non essendo sufficiente che egli impugni la sentenza, lamentando l'omessa pronuncia su domande e l'errata valutazione del materiale probatorio da parte del primo giudice, perché quello d'appello debba necessariamente compiere un nuovo apprezzamento discrezionale della complessiva rilevanza delle richieste istruttorie disattese in primo grado (v. Cass. 22/01/2018, n. 1532; cfr. anche Cass. 27/02/2014, n. 4717; 20/10/2016, n. 21230; 27/10/2017, n. 25652).
10. In definitiva il ricorso principale va rigettato mentre va accolto quello incidentale, con limitato riferimento al secondo motivo, nei termini di cui in motivazione.
La decisione impugnata va conseguentemente cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa rinviata al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
Ricorrono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'alt. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, per l'applicazione del raddoppio del contributo unificato a carico del solo ricorrente principale.
 

 

P.Q.M.

 


accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, nei termini di cui in motivazione; rigetta il ricorso principale ed i restanti motivi del ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d'appello di Torino in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso il 13/12/2018