Cassazione Civile, Sez. 6, 12 febbraio 2019, n. 4138 - Rendita da infortunio: il titolare non può rifiutarsi di sottostare alle visite di controllo


 

Secondo il disposto dell'art. 83, quinto comma, del d.P.R. n.1124/1965, il titolare della rendita non può rifiutarsi di sottostare alle visite di controllo che siano disposte ai fini del presente articolo dall'Istituto assicuratore. In caso di rifiuto l'Istituto assicuratore può disporre la sospensione del pagamento di tutta la rendita o di parte di essa.


 

Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: FERNANDES GIULIO Data pubblicazione: 12/02/2019

 

 

Rilevato
che, con sentenza del 12 giugno 2017, la Corte d'Appello di Torino confermava la decisione del Tribunale di Biella di accoglimento dell'opposizione proposta dall'INAIL ai sensi dell'art. 615 cod. proc. civ. avverso il precetto notificatogli da M.C. per il pagamento della somma di euro 21.033,00 a titolo di ratei di rendita da infortunio per gli anni dal 2008 al 2011 ed i mesi di gennaio e febbraio 2012 in forza della sentenza della Corte d'Appello di Torino n. 970/2010 del 27 ottobre 2010;
che ad avviso della Corte territoriale la sentenza n. 25684/2014 questa Corte, nel respingere il ricorso proposto dal M.C. avverso la menzionata sentenza n. 970/2010, aveva evidenziato che con quest'ultima pronuncia era stata rigettata la domanda dell'assicurato volta ad ottenere il pagamento da parte dell'INAIL della rendita per inabilità permanente (la cui erogazione era stata sospesa dall'istituto per essersi l'assicurato rifiutato di sottoporsi agli accertamenti richiestigli in sede di visita di revisione) secondo quanto disposto dall'art. 83, comma 5, del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124; che, quindi, correttamente il primo giudice aveva ritenuto la ridetta sentenza n. 970/2010 non costituente un titolo idoneo a fondare l'esecuzione prospettata nel precetto opposto, anche se limitata ai ratei di rendita maturati dopo il settembre 2008 (data di deposito della consulenza tecnica nel giudizio di primo grado); che, infatti, il giudice del gravame, pur non pronunciandosi sull'accertamento dei presupposti sanitari della prestazione nella misura del 50% contenuto nella sentenza n. 23/2009 del Tribunale di Biella, aveva escluso senza limiti temporali l'obbligo dell'INAIL di provvedere al pagamento del relativo trattamento economico a causa del persistente rifiuto del M.C. di sottoporsi a visita medica di revisione;
che per la cassazione di tale decisione propone ricorso il M.C. l'E. affidato ad un unico motivo cui resiste l'INAIL con controricorso;
che è stata depositata proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380- bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio;
 

 

Considerato
che con l'unico motivo di ricorso si deduce violazione dell'art. 83 del T.U. n. 1124/1965 e dell'art. 2909 cod. civ. ( in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo la Corte territoriale errato nel non considerare il passaggio in giudicato del capo della sentenza n. 58/2009 del Tribunale di Biella relativo all'accertamento del diritto del M.C. alla rendita a decorrere dal deposito della consulenza tecnica d'ufficio (ovvero del settembre 2008) e ciò in quanto l'INAIL aveva impugnato la menzionata decisione n. 58/2009 solo nella parte in cui aveva ricostituito la rendita con decorrenza dalla data di sospensione con la conseguenza che tale sospensione era legittima a decorrere dal rifiuto di sottoposizione a visita di revisione e fino al settembre 2008 mentre, per il periodo successivo, doveva valere il giudicato formatosi sul capo della sentenza n. 58/2009 di accertamento del diritto del M.C. alla rendita nella misura del 50% a decorrere dalla data della consulenza tecnica. Si evidenziava, altresì, che dalla lettura della decisione n. 25684/2014 di questa Corte emergeva come in quel giudizio si facesse questione della legittimità della sospensione e non della revoca della prestazione e che il potere di sospensione della rendita da parte dell'istituto aveva natura sanzionatoria, ma che il contenuto della sanzione non poteva identificarsi nella perdita definitiva della prestazione in astratto spettante per effetto delle minorazioni della capacità lavorativa realmente esistenti ma solo, appunto, in una sospensione della prestazione suscettibile di recupero una volta che fosse definitivamente accertata la sussistenza delle minorazioni poste a fondamento della rendita;
che il motivo è infondato. Osserva il Collegio che secondo il disposto dell'art. 83, quinto comma, del d.P.R. n.1124/1965 <<II titolare della rendita non può rifiutarsi di sottostare alle visite di controllo che siano disposte ai fini del presente articolo dall'Istituto assicuratore. In caso di rifiuto l'Istituto assicuratore può disporre la sospensione del pagamento di tutta la rendita o di parte di essa>>. Orbene, nel caso in esame, a seguito del rifiuto del M.C. di sottoporsi alla visita di revisione, l'INAIL aveva sospeso il pagamento della rendita sicché il M.C. aveva adito il Tribunale di Biella che, con sentenza n. 58/2009 dichiarava "... l'INAIL tenuto a corrispondere a M.C. la rendita per infortunio commisurata alla percentuale di invalidità del 50% e lo condanna al pagamento dei ratei scaduti..". Tale decisione era stata appellata dall'istituto che aveva concluso perché, in parziale riforma della impugnata sentenza, venisse rigettata la domanda del M.C. di ricostituzione della rendita sospesa ex art. 83, comma 5, del d.P.R. n. 1124/1965. La Corte territoriale, con la sentenza n.970/2010 cit., riformava la decisione del primo giudice con la quale era stata disposta la ricostituzione della rendita e la confermava nel resto e tale decisione passava in giudicato a seguito del rigetto del ricorso per cassazione proposto dal M.C. giusta sentenza di questa Corte n. 25684/2014 che, in motivazione, aveva precisato come la questione dibattuta fosse la legittimità della sospensione e non la revoca della prestazione, sospensione, quindi, che era risultata legittima. Orbene, in siffatta situazione è corretto l'assunto della Corte d'appello secondo cui la decisione n. 970/2010 non poteva essere posta a fondamento del precetto opposto avendo ribadito la legittimità della sospensione della rendita da parte dell'INAIL all'esito di una nuova consulenza espletata in appello che aveva acclarato come il rifiuto del M.C. di sottoporsi a visita non fosse riconducibile alla patologia psichiatrica che aveva concorso a dare luogo alla rendita in questione. In effetti la sentenza n. 970/2010 aveva riguardato la legittimità della sospensione le cui cause non risultavano essere state eliminate essendosi il M.C. rifiutato di sottoporsi alla visita anche del consulente tecnico d'ufficio, fermo restando che il primo giudice aveva affermato che il predetto era titolare di rendita presuntivamente determinata nella misura del 50%, escludendo che vi fosse stato un miglioramento. La sentenza n. 970/2010, quindi, nel ritenere legittima la sospensione aveva finito con l'escludere il diritto del M.C. al pagamento della prestazione di cui era titolare per il periodo dal provvedimento di sospensione (1 settembre 2005) e fino a che non fosse stata eliminata la causa della sospensione sicché, come esposto nella impugnata decisione, aveva affermato l'insussistenza dell'obbligo dell'INAIL di provvedere al pagamento del relativo trattamento economico stante il persistente rifiuto dell'assicurato di sottoporsi alla visita di revisione, rifiuto perdurato anche in giudizio;
che, pertanto, in dissenso dalla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;
che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);
 

 

P.Q.M.

 


La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2018