Cassazione Civile, Sez. Lav., 09 maggio 2005, n. 9576 - Il lavoratore può legittimamente astenersi dalla prestazione lavorativa quando essa comporti pericoli per la sua salute


 

 

 

Pres. Mileo, Rel. Toffoli

 

 


Fatto

 

 

 

Con ricorso al giudice del lavoro di Foggia, G.P. esponeva di avere lavorato alle dipendenze della società P. s.r.l. come addetto ad attività di pulizia e sanificazione, in esecuzione dell'appalto ottenuto dalla società da parte della struttura ospedaliera "Casa sollievo della sofferenza" di San Giovanni Rotondo, e di avere svolto la sua attività fino al giorno in cui gli era stato comminato il licenziamento, provvedimento adottato perché egli era stato ritenuto responsabile di avere lasciato incompiuto il lavoro per quattro giorni consecutivi dal 19 al 22 luglio 1999 e per ciascuna di tali mancanze gli era stata inflitta la sospensione dal lavoro per alcuni giorni, cosicché in totale ne aveva cumulati 35 che, aggiunti alle precedenti sospensioni avevano indotto la resistente a sanzionarlo con il licenziamento. Tanto premesso, deduceva che il licenziamento doveva ritenersi nullo, inefficace o illegittimo, atteso che le mancanze contestategli erano state sanzionate separatamente, pur essendo esse ricollegabili ad una condotta continuata; le sanzioni gli erano state inflitte tardivamente rispetto all'epoca di commissione; la recidiva gli era stata contestata quando ancora nessuna sanzione gli era stata applicata; le contestazioni non fornivano sufficienti indicazioni in ordine alle vicende contestategli; senza preventiva contestazione gli era stata comunicata la sospensione per ulteriori 6 giorni arretrati, oltre a quella totale per 35 giorni. Lamentava inoltre la eccessività e sproporzione del licenziamento inflittogli e nel merito sosteneva la legittimità del proprio comportamento, finalizzato solo alla salvaguardia della sua salute. Concludeva chiedendo la dichiarazione di illegittimità del licenziamento e la conseguente reintegrazione nel posto di lavoro.
La convenuta resisteva alla domanda, in particolare deducendo che il ricorrente, a causa del suo atteggiamento di ostilità, aveva fatto venire meno il necessario vincolo di fiducia tra le parti. In effetti il ricorrente si era ripetutamente assentato dal lavoro senza giustificato motivo o aveva svolto il proprio lavoro non a regola d'arte, cumulando così una serie di sospensioni disciplinari tali da permettere la comminazione del licenziamento in base alla previsione contrattuale. E, in ogni caso sussistevano i presupposti del giustificato motivo oggettivo.
Il Tribunale di Foggia (estromesso dal giudizio l'Ospedale Casa di Sollievo, che aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva), accoglieva la domanda, formulando le pronunce di cui all'art. 18 st. lav.
A seguito di appello della Soc. P., la Corte d'appello di Bari, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda.
Il giudice di appello, ricordato il principio di corrispettività tra prestazioni e retribuzione e il dovere del lavoratore di svolgere compiutamente la sua prestazione lavorativa sotto la direzione del datore di lavoro - con configurabilità di una insubordinazione nel caso di sottrazione del prestatore agli ordini del datore, particolarmente nel caso in cui la reiterazione sia indicativa della intenzionalità -, in punto di fatto osservava che nella specie la prova espletata aveva evidenziato, oltre alle assenze ingiustificate, le inadempienze del ricorrente, che, invece di stivare nei container i cartoni dei rifiuti prelevati dai vari reparti dell'Ospedale, secondo la mansione per cui era stato assunto, li aveva depositati altrove e, precisamente nel corridoio adiacente il cortile in cui si trovavano i container destinati allo stivaggio. Egli aveva cercato di coinvolgere altro personale nelle medesime inadempienze, aveva ricevuto le contestazioni seguite da pesanti sanzioni disciplinari (41 giorni di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione) senza impugnarle e aveva confessato gli addebiti, sia pure giustificandosi adducendo la cattiva igiene dei container. Osservava anche che, quando al dipendente sono contestati diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, il giudice di merito deve valutarli complessivamente.
In merito alle giustificazioni osservava che, pur dando per ammesso che la cattiva igiene dei containers impedisse lo stivaggio dei cartoni dei rifiuti, ciò non poteva dare diritto al lavoratore di non portare a termine la sua prestazione, in quanto egli avrebbe potuto rivolgersi alle organizzazioni sindacali, alle autorità sanitarie e, in definitiva, contestando l'omesso obbligo di tutela delle condizioni di lavoro, avrebbe potuto chiedere il ristoro dei danni e al limite rassegnare le dimissioni, invece di continuare a ricevere la retribuzione senza portare a termine le prestazioni.
Peraltro, il P. ed altri suoi colleghi di lavoro avevano sollecitato un'ispezione da parte della AUSL, la quale però non aveva sortito l'effetto da loro sperato, poiché alla convenuta erano state contestate altre contravvenzioni, che non avevano a che fare con lo stato igienico dei container. Il teste D.L. aveva parlato di una scarsa pulizia dei container e all'ispettorato del lavoro aveva riferito della nausea in cui incorreva quando si dedicava allo stivaggio dei cartoni negli stessi. Ma le giustificazioni del P. non avevano trovato obiettivo riscontro da parte dell'organo sanitario.
In conclusione il licenziamento doveva ritenersi legittimo, sulla base di una valutazione complessiva della vicenda, per la violazione dei sopra ricordati principi di legge e comunque di doveri fondamentali del dipendente, senza necessità di una specifica previsione in un codice disciplinare.
Contro questa sentenza il P. propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
La società P. resiste con controricorso.
 

 

Diritto

 

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c., dell'art. 7 l. n. 300/1970, oltre insufficiente e contraddittoria motivazione.
Si lamenta che la Corte di merito, nel ravvisare gli estremi dell'insubordinazione, abbia considerato anche le assenze ingiustificate, non oggetto del licenziamento impugnato, in quanto con la nota del 19.8.1999 gli era stato contestato il fatto che, a dire dell'impresa, egli "lasciava volontariamente incompiuto il lavoro" nei giorni 19, 20, 21 e 22 del luglio 1999. Per queste asserite mancanze gli erano stati inflitti 41 giorni di sospensione e conseguentemente licenziato, giusta quanto disposto dal c.c.n.l. di categoria e dal codice disciplinare.
Il ricorrente, inoltre, aveva impugnato le sanzioni con lettera a sua firma del 16.8.199 e aveva addotto la giustificazione di non avere stivato i cartoni nel container per le pessime condizioni igieniche in cui quest'ultimo si trovava, allo scopo di salvaguardare la propria salute.
Il secondo motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo.
Si lamenta la mancata considerazione delle risultanze istruttorie relative alle condizioni di inagibilità del container (sporco per la fuoriuscita dai cartoni di materiale fisiologico infetto e maleodorante proveniente dalle sale operatorie) e all'avvenuta denuncia delle stesse al datore di lavoro da parte dei lavoratori, e, in particolare, delle deposizioni testimoniali attentamente vagliate dal giudice di primo grado, riportate testualmente nella relativa sentenza, e delle fotografie prodotte dal ricorrente. La motivazione sul punto della sentenza d'appello è insufficiente, stante la sola evidenziazione dei risultati dell'ispezione della ASL, che peraltro era avvenuta il 6.9.1999 e quindi ben due mesi dopo la contestazione disciplinare. E neanche era stato tenuto presente che successivamente ai fatti di causa e alla ispezione la convenuta aveva provveduto a riverniciare il container (come da deposizioni testimoniali).
Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 1460 c.c. e degli artt. 32 e 41, 2° comma, Cost., oltre a contraddittorietà di motivazione.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui, peraltro contraddittoriamente, vi è affermato che l'art. 2087 c.c. non poteva dare diritto al lavoratore di non portare a termine le prestazioni, pur sussistendo le ragioni di igiene addotte dal medesimo, e che semmai il lavoratore avrebbe dovuto dare le dimissioni o non ricevere la retribuzione.
Il quarto motivo denuncia omessa motivazione circa un punto decisivo.
Si lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto che il lavoratore avesse lasciato incompiuto il proprio lavoro, commettendo una grave mancanza, per il fatto di avere depositato "altrove", invece che nel container i cartoni. In realtà, egli li aveva depositati in luogo adiacente a quest'ultimo, fatto che costituiva la regola (una prassi consolidata) in presenza di talune circostanze, e comunque un fatto frequente, come evidenziato dal giudice di primo grado, sulla scorta di varie deposizioni, con acquiescenza della datrice di lavoro. Si deduce anche la mancanza dell'elemento soggettivo (dolo o colpa).
Il quinto motivo denuncia nullità del procedimento per omessa pronuncia, a norma dell'art. 360 n. 4 c.p.c.
Si lamenta il mancato esame della deduzione, formulata in primo grado e riproposta in appello, relativa alla nullità del licenziamento per i seguenti vizi procedurali.
A) La datrice di lavoro aveva artificiosamente e maliziosamente atteso che il lavoratore tenesse lo stesso comportamento per alcuni giorni per poi contestargli contemporaneamente (con lettere recapitate nella stessa data) quattro addebiti disciplinari. È ravvisabile quindi una strumentalizzazione del potere disciplinare.
B) Genericità delle contestazioni.
C) Mancata manifestazione della volontà di far ricorso alla recidiva in occasione delle contestazioni disciplinari: la recidiva era stata contestata solo con la lettera con cui era stata comunicata la misura espulsiva, in applicazione dell'art. 38, 2° comma, del c.c.n.l. di settore.
Il sesto motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
Si fanno valere i rilievi di cui al motivo precedente sotto il profilo del vizio di motivazione.
Hanno rilievo preliminare le censure di cui al quinto e al sesto motivo aventi ad oggetto, propriamente, violazioni procedurali relative al procedimento disciplinare, e cioè quelle precedentemente indicate sub lett. A), B) e C) del quinto motivo.
Poiché il mancato esame delle indicate violazioni procedurali inciderebbe non già su un vero e proprio capo di domanda, ma su circostanze incidenti sulla decisione - sia pure a seguito della loro confluenza nella causa petendi in base all'iniziativa della parte di porle a concorrente base dell'impugnativa di licenziamento -, si è nel campo del potenziale vizio di motivazione, piuttosto che in quello della mancata pronuncia sulla domanda o una sua parte. Ne consegue l'onere della parte ricorrente di dedurre compiutamente le circostanze di fatto di cui viene lamentato il mancato esame, con il riferimento specifico e puntuale alle relative fonti probatorie.
Con riferimento alla doglianza sopra indicate sub lett. B) della sintesi del quinto motivo, tali oneri non possono ritenersi adeguatamente adempiuti, poiché non sono stati adeguatamente esposti il contenuto delle varie lettere di contestazione e sanzionatorie.
Con riferimento alla doglianza riportata sub lett. C) (mancata contestazione della recidiva) deve rilevarsi invece che la stessa non è puntuale in relazione alla decisione impugnata, poiché il giudice di merito ha ritenuto che, in caso di contestazione - evidentemente nello stesso contesto - di più mancanze, le stesse devono essere considerate complessivamente e, poi, concretamente ha ritenuto giustificato il licenziamento sulla base della ritenuta radicale negazione da parte del lavoratore degli obblighi di legge.
Quanto alla censura sub lett. A), esclusa la rilevanza formale ai fini di causa della recidiva, deve escludersi anche che una dilazione di pochissimi giorni della contestazione formale rispetto ai fatti potesse comportare la perdita del potere di reazione disciplinare. Resta salva, peraltro, la considerazione del complesso del comportamento delle parti sotto il profilo della valutazione dell'elemento soggettivo della responsabilità disciplinare (su cui cfr. infra).
È appena il caso di rilevare, ad ogni modo, l'infondatezza, riguardo ai motivi ora in esame, dell'eccezione della controricorrente che oppone il giudicato interno che si sarebbe formato in base alla notificazione della sentenza (di primo grado) effettuata dalla controparte. In effetti di tale notificazione non vi è riscontro in atti (nello stesso atto di appello la soc. P. parla di sentenza non notificata) e, ad ogni modo, in base all'art. 346, c.p.c. la parte appellata vittoriosa in primo grado, a seguito dell'impugnazione della controparte, può riproporre le questioni non esaminate o non accolte dal giudice di primo grado.
Il primo motivo del ricorso non è meritevole di accoglimento, dato che in realtà il giudice di appello ai fini della valutazione circa la fondatezza dell'intimato licenziamento ha fatto riferimento al ritenuto grave inadempimento connesso al mancato completamento delle mansioni affidategli, stante il mancato stivaggio dei cartoni nel container, mentre le precedenti assenze ingiustificate costituiscono oggetto di una mera citazione incidentale, in relazione all'esito della prova espletata. Così pure non può ritenersi che abbia avuto uno specifico e autonomo rilievo nell'iter argomentativo il cenno relativo alla mancata impugnazione delle sanzioni disciplinari della sospensione preliminarmente irrogate per gli inadempimenti in questione. Peraltro deve sottolinearsi che le particolarità della normativa contrattuale, relative al cumulo delle varie sanzioni della sospensione ai fini della irrogabilità del licenziamento, non hanno formato oggetto di specifica contestazione nel giudizio, nè è stata sostanzialmente e adeguatamente censurata in se stessa la considerazione unitaria della vicenda compiuta dal giudice di merito in relazione alle norme legali sui presupposti dei licenziamenti per mancanze.
I motivi secondo, terzo e quarto sono esaminati congiuntamente, stante la loro connessione.
Rispetto ad essi deve innanzitutto rilevarsi che il giudice di appello è incorso in una evidente violazione di principi di diritto nel momento in cui ha escluso in radice la facoltà del lavoratore di astenersi dallo svolgere determinate operazioni lavorative anche nell'ipotesi della sussistenza di concreti pericoli alla salute connessi al non corretto adempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi a carico del medesimo di tutela delle condizioni di lavoro. In effetti non vi può essere dubbio che il lavoratore, ove effettivamente sussistano situazioni pregiudizievoli per la sua salute o per la sua incolumità, possa legittimamente astenersi dalle prestazioni che lo espongano ai relativi pericoli, in quanto è coinvolto un diritto fondamentale, espressamente previsto dall'art. 32 della Costituzione, che può e deve essere tutelato in via preventiva, come peraltro attesta anche la norma specifica di cui all'art. 2087 c.c. (cfr. Cass. 30 agosto 2004 n. 17314 e 30 luglio 2003 n. 11704).
Quanto all'accertamento relativo alla sussistenza o meno di una situazione che giustificasse il rifiuto di completare le operazioni di sua spettanza da parte del lavoratore (onerato della relativa prova), la motivazione della sentenza impugnata è viziata dal punto di vista logico per avere ritenuto determinanti i risultati dell'ispezione compiuta dalla AUSL, nonostante che, evidentemente, rispetto a situazioni relative alla pulizia e all'igiene di un luogo, una simile rilevanza non possa essere attribuita ad accertamenti amministrativi compiuti a distanza di tempo.
Viceversa la Corte d'appello non ha preso in considerazione la prova testimoniale e, in particolare, quella del D.L., sebbene questo lavoratore avesse riferito circostanze significative, come ricordato nella stessa sentenza.
Deve infine rilevarsi che il giudice di merito, evidentemente in via consequenziale rispetto alla negazione in radice della facoltà del lavoratore di astenersi dal compiere le operazioni di stivaggio dei cartoni, anche nel caso di seri impedimenti connessi alle cattive condizioni di igiene dei containers, ha del tutto omesso valutazioni in concreto circa l'elemento soggettivo del lavoratore rispetto alle violazioni disciplinari contestategli. È evidente, invece, che nell'ottica della possibile efficacia giustificatrice di adeguate ragioni relative a pericoli per la salute del lavoratore, nel caso in cui l'accertamento relativo a tale elemento oggettivo non fosse adeguatamente positivo, dovrebbe pur sempre valutarsi il comportamento del lavoratore anche dal punto di visto soggettivo, almeno in astratto essendo prospettabile l'ipotesi dell'errore, colpevole o meno, circa la effettiva sussistenza di una situazione di fatto idonea a giustificare il comportamento tenuto.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto per quanto di ragione, con annullamento della sentenza impugnata e rinvio della causa per nuovo esame ad altro giudice, che procederà ai necessari accertamenti in linea di fatto in relazione al seguente principio di diritto: "in caso di non adeguata adozione da parte del datore di lavoro delle misure necessarie, a norma dell'art. 2087 c.c., a tutelare l'integrità fisica e le condizioni di salute dei prestatori di lavoro, il lavoratore ha la facoltà di astenersi dalle specifiche prestazioni la cui esecuzione possa arrecare pregiudizio alla sua salute e, conseguentemente, se il lavoratore prova la sussistenza di tale presupposto, deve ritenersi ingiustificato il licenziamento intimato a causa del relativo non adempimento, ferma restando in ogni caso la necessità di valutare la eventuale responsabilità disciplinare del lavoratore anche dal punto di vista dell'elemento soggettivo".
La regolazione delle spese di questo grado è rimessa al giudice di rinvio (art. 385 c.p.c.), che si designa in dispositivo.

 




P.Q.M.

 

 

 

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d'appello di Lecce.