Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, 08 marzo 2016, n. 4502 - Rifiuto della lavoratrice di essere spostata al "banco del pesce" a causa di inidoneità fisica: licenziamento illegittimo




Licenziamento per giusta causa - Rifiuto di eseguire le disposizioni aziendali impartite - Rischi lavorativi - Incompatibilità - Documentazione sanitaria
 

 


Fatto

 



Il Tribunale di Firenze, con sentenza del 19.3.2013, rigettava il ricorso con cui M. B. chiedeva l'accertamento dell’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatole il 29.12.2009 dalla C. di C. San L., in conseguenza del reiterato rifiuto della lavoratrice di eseguire le disposizioni aziendali impartite (svolgere i turni di servizio al banco del pesce), come contestatole con lettere del 15, del 16 e del 21.12.09.

Il primo giudice ritenne sussistenti i fatti ed ingiustificato il rifiuto. Proponeva appello la lavoratrice. Resisteva la società C.. Con sentenza decisa e depositata il 14 luglio 2014, la Corte d'appello di Firenze, dopo avere ammesso ed espletato la prova testimoniale richiesta sin dal primo grado, accoglieva il gravame, e per l'effetto dichiarava l'illegittimità del licenziamento, con ordine di reintegra nel posto di lavoro e con condanna della società C. al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni non percepite dal momento del recesso sino all'effettiva reintegra, con gli accessori di legge.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società C., affidato a sette motivi. Resiste la B. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

 

Diritto

 



1. -Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c. per omesso esame dell'eccezione preliminare relativa all'inammissibilità dell'appello per mancata contestazione di un capo della sentenza autonomamente decisivo e per mancata contestazione della ratio decidendi della sentenza di primo grado. Violazione ed erronea applicazione dell'art. 434 c.p.c.

Lamenta che l'atto di gravame proposto dalla B. non conteneva le specifiche censure alla sentenza impugnata richieste dalla norma ora citata, ma solo la riproposizione di argomentazioni già proposte in sede di ricorso di primo grado, ovvero questioni nuove (quali la proporzionalità del licenziamento) evidentemente inammissibili.

Il motivo è inammissibile.

Deve infatti considerarsi che quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un'attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all'esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dai ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito, e quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (Cass. sez.un. n. 8077/2012).

Deve dunque rimarcarsi che la pur indicata collocazione all'interno dei fascicoli di causa, o la produzione, del documento, se vale ad escludere l’improcedibilità del motivo (Cass. sez. un. n. 22726/11), non ne esclude l'inammissibilità ex art. 366, n. 6 c.p.c. per difetto di qualsivoglia specificazione del documento indicato, nel senso di chiarire il suo contenuto ovvero "di trascriverlo nella sua completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza" (Cass. ord. 16.3.12 n. 4220; Cass. 9.4.13 n. 8569), escludendo così l'esame diretto degli atti di causa da parte di questa Corte.

Deve infine considerarsi che nulla risultando al riguardo nella motivazione della sentenza impugnata, era onere della parte odierna ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente (ed in quali termini) ciò sarebbe avvenuto, onde dar modo alla Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (cfr. Cass. n. 7149/2015, Cass. n. 23675/2013).

2. -Con il secondo ed il terzo motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. per omesso esame di una eccezione preliminare relativa alla inammissibilità dell'appello per mancata contestazione di un capo della sentenza autonomamente decisivo. Violazione degli artt 100 e 346 c.p.c. per omessa pronuncia di inammissibilità del l'appello per mancata contestazione della ratio decidendi della sentenza di primo grado. Violazione dell'art. 434 c.p.c. (art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.).

Lamenta che il Tribunale aveva affermato che ai sensi dell'art 41 d.lgs. n. 81/2008 sarebbe stato onere della lavoratrice dimostrare la propria inidoneità fisica allo svolgimento di attività a contatto con pesce fresco, producendo documentazione medica e chiedendo se del caso di essere sottoposta ad una visita medica da parte del medico competente. Lamenta che tale accertamento non venne minimamente contestato dall'appellante B., sicché non poteva la sentenza impugnata esaminare ulteriormente nel merito la questione, dando peraltro ingresso alla prova testimoniale richiesta dalla B.

La censura presenta i medesimi profili di inammissibilità evidenziati sub 1), coinvolgendo per il resto l'interpretazione del citato art. 41 d.lgs n. 81/2008, di cui si dirà in seguito.

3. - Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. Nullità della sentenza per violazione dell'art. 132 c.p.c. (art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.).

Lamenta che la sentenza impugnata diede ingresso alla prova testimoniale richiesta dalla lavoratrice (e non espletata in primo grado), prova che tuttavia era e poteva essere solo diretta a dimostrare che la B. aveva una certa idiosincrasia per il pesce, ma non già, come sarebbe stato suo onere, una scientifica e medicalmente accertata impossibilità di svolgere le sue mansioni presso il banco del pesce.

4. - Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt 1460 e 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. Nullità della sentenza per violazione dell'art 132 c.p.c. (art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.).

Lamenta che la sentenza impugnata ritenne certa la conoscenza dell'azienda in ordine ai (dedotti) problemi di salute o di incompatibilità della lavoratrice nel contatto col pesce. Evidenzia che quest'ultima non produsse mai alcun certificato medico attestante tale incompatibilità, sicché l'azienda provvide legittimamente allo spostamento presso il reparto pesce (nel rispetto della qualifica posseduta), ed altrettanto legittimamente a sanzionare il relativo rifiuto della B., che non poteva certamente sussumersi nella fattispecie di cui all'art. 1460 c.c., essendo comunque illegittimo il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa laddove il datore di lavoro adempia a tutti gli obblighi nascenti dal contratto (pagamento della retribuzione e rispetto dell'inquadramento), Cass. n. 25392/2013.

5. - Con il sesto motivo la C. denuncia la violazione dell'art. 41 d.lgs. n. 81/2008 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.). Lamenta che la sentenza impugnata ritenne che la norma in questione non poteva incentrarsi sul primo comma del detto art 41 (prevedente una richiesta da parte del lavoratore di un accertamento sanitario), laddove nei commi successivi l'accertamento sanitario è ricondotto ad un onere datoriale, conseguendone (erroneamente) un obbligo datoriale di sottoporre la lavoratrice a visita medica in occasione del mutamento di mansioni, obbligo esistente invece solo per l'adibizione del lavoratore a particolari mansioni, ritenute potenzialmente pericolose (videoterminali, movimentazione manuale di carichi, esposizioni al rumore, ultrasuoni, vibrazioni, etc.), restando in caso contrario tale onere gravante sul lavoratore, ex art. 41, comma 1.

6. - Con il settimo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. Nullità della sentenza per violazione dell'art. 132 c.p.c. Violazione degli artt. 2119 c.c. e 191 e 193 del c.c.n.l. delle cooperative di C.. Motivazione perplessa ed incomprensibile (art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.).

Lamenta che la sentenza impugnata attribuì soverchio rilievo alla circostanza che vi sarebbe stata al riguardo delle nuove mansioni affidate alla lavoratrice una riunione (29.12.09) tra la datrice di lavoro, la B. ed un sindacalista, e che lo stesso giorno la dipendente venne licenziata. Deduce che tale incontro ebbe natura meramente informativa, ribadendo la lavoratrice la sua indisponibilità a lavorare presso il banco del pesce, riservandosi l'azienda di adottare in seguito i provvedimenti del caso. Nessun contrario elemento era emerso dall'istruttoria espletata. Lamenta infine che nessun rilievo poteva avere l'obbligo di repechage, su cui la sentenza impugnata ha fondato almeno in parte il decisum, stante la natura disciplinare del licenziamento per giusta causa irrogato alla lavoratrice.

7. - I motivi, che per la loro connessione possono congiuntamente esaminarsi, sono in parte inammissibili (laddove mirano ad una diversa ricostruzione delle circostanze di causa, alla luce del novellato n. 5 dell'art. 360, comma 1, c.p.c. e si basano sulle norme del c.c.n.l. che non risulta prodotto in contrasto con l'art. 369 c.p.c.), per il resto infondati poiché basati sull'inesistente obbligo della lavoratrice di documentare sanitariamente la sua personale impossibilità (o estrema difficoltà) di svolgere il lavoro presso il reparto pesce, ex art. 41 (che semmai avrebbe imposto alla C. di far valutare l'idoneità delle nuove mansioni affidate alla lavoratrice, art. 41, comma 2, lett b) e d), non rilevando nella specie il comma 1, ed in particolare la sua lettera b) che subordina l'intervento sanitario richiesto dal lavoratore alla condizione che esso sia ritenuto dal medico competente correlato a specifici rischi lavorativi), rilevando a questo punto, come esattamente evidenziato dalla sentenza impugnata, gli obblighi di sicurezza (art. 2087 c.c.) e di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), che avrebbero imposto alla datrice di lavoro, una volta informata della incompatibilità o seria difficoltà da parte della lavoratrice a svolgere il lavoro presso il reparto del pesce (circostanza ritenuta dalla Corte di merito sostanzialmente pacifica, e comunque confermata dalla riunione svoltasi sul punto, in cui pacificamente si parlò della difficoltà della B. di lavorare a contatto col pesce, v. pag. 46 ricorso), di adottare le misure alternative e possibili (in assenza di difformi deduzioni da parte della C.) al licenziamento. A tal fine, seppure improprio il richiamo al repechage, rileva che l'azienda non dimostrò, in conformità dell'obbligo di correttezza nell'esecuzione del contratto, di non poter adibire la lavoratrice ad altre mansioni se non a quelle del banco del pesce.

Il ricorso deve pertanto rigettarsi.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

 

P.Q.M.

 



Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €100,00 per esborsi ed €3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.