Cassazione Penale, Sez. 4, 05 marzo 2019, n. 9454 - Scorretta installazione e manutenzione nel tempo dei requisiti di sicurezza degli stampi applicati alla pressa. Responsabilità del socio accomandatario e della società
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: CENCI DANIELE
Fatto
l. La Corte di appello di Venezia il 6 ottobre 2016 ha integralmente confermato la sentenza emessa all'esito del dibattimento il 19 novembre 2014 dal Tribunale di Vicenza, sentenza con la quale L.B., socio accomandatario della s.a.s. F.A.B. (poi divenuta s.r.l. F.A.B.) è stato riconosciuto responsabile del reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, nei confronti della dipendente B.T., e la società s.a.s. F.A.B. (poi divenuta, appunto, s.r.l. FA.B.) ritenuta responsabile dell'illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, fatti commessi il 14 ottobre 2010, con condanna alla pena stimata di giustizia.
2.1 fatti sono stati così ricostruiti dai giudici di merito.
La ditta F.A.B. svolge attività di lavorazione e fusione di articoli in alluminio a mezzo pressofusione, stampatura e trinciatura. Gestisce, quindi, una fonderia, all'interno della quale lavorava - anche - B.T., addetta alla sabbiatura, sbavatura e tranciatura dei pezzi. Nel momento in cui è accaduto l'infortunio, il 14 ottobre 2010, la donna prendeva da un cassone i pezzi da tranciare e li collocava nella pressa: terminata l'operazione, riaperta la porta del macchinario, stava riprendendo i pezzi ma, all'improvviso, si è staccato dal punzone un pezzo dello stampo, che le è caduto dall'alto sulla mano sinistra, provocandole serie lesioni (malattia di durata superiore a quaranta giorni e indebolimento permanente dell'organo della prensione). Gli stampi venivano sempre cambiati, a seconda dei pezzi da produrre (ad es., forchette, cucchiai) ed erano forniti di volta in volta dai vari clienti che commissionavano la realizzazione degli oggetti.
Al datore di lavoro è stato addebitato di non avere adottato idonee misure per garantire la corretta installazione e manutenzione nel tempo dei requisiti di sicurezza degli stampi applicati alla pressa che adoperava la dipendente, in violazione, dunque, dell'art. 71, comma 4, lett. a), d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
3. Ricorrono per la cassazione della sentenza sia l'imputato L.B. sia la società F.A.B., tramite distinti ricorsi affidati a diversi difensori, ricorsi ai quali sono allegati estratti di verbali di udienza e documentazione.
4. L.B. (con l'avv. OMISSIS, del Foro di Vicenza) si affida a tre motivi, con i quali denunzia violazione di legge (tutti i motivi) e difetto motivazionale (il secondo ed il terzo motivo).
4.1. Con il primo motivo, in particolare, lamenta inosservanza e/o erronea applicazione di norme di legge (arti. 24 Cost. e 533 cod. proc. pen.), avendo la Corte territoriale fondato la condanna dell'Imputato su una sua presunta mancanza di collaborazione all'attività di indagine, così violando il principio compendiato nel brocardo "nemo tenetur se detegere".
La circostanza, che si legge nella sentenza impugnata, che l'impossibilità di venire a conoscenza dei dati relativi al costruttore dello stampo ha reso impossibile la verifica sul rispetto delle procedure e che tale fatto è risultato sicuramente addebitabile all'imputato, che ha posto in essere un comportamento di occultamento (pp. 2-3 della sentenza impugnata), contrasterebbe con i principi fondanti il codice di rito penale, che esclude che l'imputato abbia l'obbligo di collaborare all'attività di indagine e di auto-accusarsi e che prevede l'adozione di sentenza di condanna soltanto "oltre ogni ragionevole dubbio".
4.2. Mediante il secondo motivo critica promiscuamente violazione di legge (artt. 191, 354 e 356 cod. proc. pen. e 114 e 220 disp. attuaz. cod. proc. pen.) e mancanza di motivazione, anche sotto il profilo di omissione di pronunzia circa il rigetto di uno specifico motivo di impugnazione: in particolare, la Corte di appello non ha risposto al quinto motivo di appello, con il quale si deduceva la inutilizzabilità dell'esito degli accertamenti degli ispettori S.P.I.S.A.L. (acronimo di Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro) della A.S.L.
Essendo, infatti, gli ispettori intervenuti nell'azienda dopo l'infortunio, quando cioè una compiuta notizia di reato era sorta, gli stessi avrebbero dovuto procedere applicando le regole del codice di procedura penale, che, invece, avrebbero "calpestato" (così alla p. 4 del ricorso), in particolare non dando gli avvisi di legge; così come sono state dagli stessi trascurate le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, che impongono la redazione di verbale.
Inoltre i giudici di merito hanno trascurato che il consulente di parte privata, ing. C.A., ha avuto accesso all'azienda ed ha visionato lo stampo, dichiarando di averlo trovati integro e di avere fotografato, spiegando perché lo stampo non debba essere provvisto di libretto di istruzioni, uso e manutenzione e perché non sia oggetto alla c.d. direttiva macchine. Avendo evidenziato tali aspetti nel terzo motivo di appello, lamenta il ricorrente non avere la Corte di appello fornito alcuna risposta.
4.3. Infine, con il terzo motivo il ricorrente si duole ulteriormente di violazione di legge (artt. 40 e 43 cod. pen. e 192 e 546 cod. proc. pen.) e di difetto di motivazione, anche sotto il profilo della omissione di pronunzia in relazione a tre specifici motivi di appello.
In particolare, la Corte di merito non avrebbe accertato il nesso di causa, essendo rimaste del tutto ignote le cause del distacco dello stampo, avendo addebitato ad un atteggiamento stimato sleale dell'imputato l'impossibilità di visionare lo stampo, stampo che si è ritenuto in sostanza essere stato tenuto nascosto perché vi era, ma in base ad una mera supposizione sfornita di prove, qualcosa di irregolare da celare.
Peraltro, si sottolinea che nel corso dell'istruttoria era emerso che i dipendenti A.B. e V.B. - attrezzisti - erano stati incaricati dall'imputato di una procedura operativa, consistente nello smontare ed ispezionare attentamente lo stampo prima di affidare la macchina al lavoratore, procedura che, ove fosse stata puntualmente seguita, avrebbe evitato eventi del tipo di quello che si è verificato. In conseguenza, la causa dell'infortunio sarebbe da ricondurre ad un comportamento posto in essere dagli attrezzisti, forse in un fissaggio non sufficiente dello stesso, come ipotizzato da un ispettore della A.S.L. nel verbale del 13 dicembre 2013 (che si allega).
Tali considerazioni, analiticamente svolte nel primo, secondo e quarto motivo di appello, non sono state tenute in considerazione dai giudici di merito, che - si sottolinea - non vi hanno accennato nemmeno al fine di confutarle.
Oltre alla mancata dimostrazione del nesso di causalità, difetterebbe la prova della causalità della colpa, cioè che l'evento in concreto verificatosi rientri proprio tra quelli che la norma mirava a impedire, così che il comportamento alternativo lecito avrebbe avuto certa o probabile efficacia impeditiva.
Infine, difetterebbe la individuazione di una regola cautelare violata, in quanto «I giudici di secondo grado hanno ritenuto sic et simpliciter che il sig. L.B. abbia violato un obbligo di collaborazione, ma è di tutta evidenza che tale obbligo (oltre che insussistente) non ha alcuna portata cautelare ed è del tutto indifferente rispetto all'evento per cui è processo. La Corte d'appello aveva l'onere di chiarire che cosa il sig. L.B. avrebbe dovuto fare per evitare l'evento; invece non l'ha fatto. Di qui un palese vizio di omessa motivazione ed una altrettanto palese violazione degli artt. 40 e 43 c.p.» (così alla p. 9 del ricorso).
5. La soc. F.A.B. (avv. OMISSIS del Foro di Vicenza) si affida e tre motivi con cui censura violazione di legge (tutti) e difetto motivazionale (il terzo).
5.1. Con il primo motivo denunzia violazione di legge (artt. 25-septies, 69 e 71 del d. Lgs. n. 231 del 2001), per avere - illegittimamente ed erroneamente - la Corte di appello ritenuto sussistente un reato presupposto rispetto alla responsabilità dell'ente, mentre, in realtà, il responsabile dell'ente non lo ha commesso. Gli argomenti svolti sullo specifico punto sono i medesimi spesi nella difesa della persona fisica di L.B. (sintetizzati ai punti nn. 4.1., 4.2. e 4.3. del "ritenuto in fatto")
5.2. Mediante il secondo motivo lamenta violazione degli artt. 5 69 e 71 del d. lgs. n. 231 del 2001, per avere la Corte di appello, omettendo di valutare le risultanze istruttorie nel loro complesso, ritenuto sussistente un interesse dell'ente alla commissione del reato-presupposto, in particolare sotto il profilo di una più celere e più proficua lavorazione, interesse che invece, ad avviso della difesa, non sussiste.
La Corte di merito avrebbe del tutto trascurato le emergenze istruttorie secondo cui lo stampo non doveva essere accompagnato da documentazione, non vi è prova che lo stampo non fosse a norma ed era stata prevista ed attuata una proceduta operativa idonea a prevenire eventi del tipo di quello in concreto verificato (si richiama e si allega il contributo dei testi - attrezzisti A.B. e V.B.), emergenze di cui non si sarebbe dato atto.
Inoltre, «nel corso del dibattimento di primo grado è stato [...] dimostrato che le macchine in dotazione in azienda erano tutte marcate CE; che esse erano oggetto di costante monitoraggio e controllo, oltre che di manutenzione periodica; che i lavoratori erano stati adeguatamente informati, formati ed addestrati; che dunque la politica aziendale era orientata a garantire [...] la sicurezza dei lavoratori. Sicché nel caso di specie non vi è prova (rectius, la motivazione dalla Corte di appello non dà conto dell'esistenza) di quella "tensione finalistica al risparmio di spesa" che, secondo la giurisprudenza più recente, deve caratterizzare il requisito dell' "interesse" nell'ambito dei reati colposi» (così alle pp. 7-8 del ricorso).
5.3. Con il terzo motivo, infine, la società F.A.B. lamenta ancora violazione di legge (arti. 6, 69 e 71 del d. lgs. n. 231 del 2001) e difetto motivazionale, specialmente quanto all'asserita omissione di pronunzia in relazione al terzo motivo di appello, con il quale si era argomentato e provato che la società incolpata, prima del verificarsi dell'infortunio, si era dotata efficacemente di un modello organizzativo conforme agli artt. 6 e 30 del d.lgs. n. 231 del 2001 ed idoneo ad impedire il verificarsi di eventi del tipo di quello in concreto realizzatisi.
La Corte di appello, in conseguenza, avrebbe dovuto escludere la responsabilità dell'ente ex art. 66 d. lgs. n. 231 del 2001 ovvero, in subordine, almeno motivare circa la inidoneità del modello e sulla presenza o meno di una sua elusione fraudolenta ex art. 6, comma 1, d. lgs. n. 231 del 2001.
Diritto
l.Va premesso che, quanto all'imputato - persona fisica, il reato non è prescritto (termine massimo il 12 febbraio 2019, per effetto di 298 giorni di sospensione da aggiungersi ai sette anni e sei mesi dal fatto), mentre per l'ente, come noto, una volta esercitata l'azione, la prescrizione non corre («In tema di responsabilità da reato degli enti, l'intervenuta prescrizione del reato presupposto successivamente alla contestazione all'ente dell'illecito non ne determina l'estinzione per il medesimo motivo, giacché il relativo termine, una volta esercitata l'azione, non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica». Sez. 5, n. 20060 del 04/04/2013, P.M. in proc. Citibank N.A., Rv. 255415; in termini, Sez. 4, n. 31641 del 04/05/2018, Soc. Tecna Group s.r.l. e altro, Rv. 273085; in conformità, Sez. 5, n. 50102 del 22/09/2015, D'Errico e altro, Rv. 265588; Sez. 2, n. 10822 del 15/12/2011, dep. 2012, Cerasino e altri, Rv. 256705).
1.1. Deve, poi, tenersi conto che, secondo tradizionale e risalente insegnamento della S.C., da cui non vi è ragione di discostarsi, le decisioni conformi di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi a vicenda: infatti, «Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione dei provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile» (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti ed altri, Rv. 225671; Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano ed altri, Rv. 224079; Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994, Scauri, Rv. 197497; più recentemente, Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore e altro, Rv. 266617).
2. Ciò posto, i ricorsi sono infondati.
2.1. Non risponde al vero, anzitutto, che i giudici di merito abbiano, in sostanza, preteso che l'imputato collaborasse ad un'attività di investigazione dagli esiti potenzialmente contra se, in quanto, in realtà, hanno soltanto preso atto che lo stampo da esaminare, quello che ha cagionato l'infortunio, e la documentazione ad esso relativa sono risultati indisponibili al momento dell'accesso dei tecnici della A.S.L. effettuato il 9 novembre 2009, né successivamente, per poi ricomparire - il solo stampo - quindici mesi dopo, il 2 febbraio 2011, al momento dello svolgimento di incarico consulenziale di parte privata (pp. 5-6 della sentenza del Tribunale e pp. IV-V della sentenza impugnata), e che, secondo le logiche considerazioni dell'ispettore A.S.L., anche l'accessorio-stampo della pressa meccanica non poteva non essere correlato da specifiche indicazioni tecniche da conoscere e di cui tenere conto, altrimenti, adoperando cioè un accessorio di natura ignota, il datore di lavoro espone i dipendenti ad un rischio di cui deve assumersi la responsabilità, poiché non è governabile, non essendo in grado di valutare i requisiti di idoneità e di sicurezza dello strumento complessivamente assemblato, in violazione dell'art. 71 del d. Lgs. n. 81 del 2008 (pp. 5 della sentenza di primo grado e p. VI di quella della Corte di merito). Con la puntualizzazione - svolta alla nota n. 2 a piè di pagina 5 della sentenza del Tribunale - che peraltro «nulla attesta che lo stampo visionato dal C.T. di parte corrisponda effettivamente a quello montato sulla pressa al momento dell'infortunio».
Né - si è specificato da parte dei giudici di merito - esonera da responsabilità il datore di lavoro l'avere adoperato stampi di volta in volta forniti dai clienti, poiché tale pressi concretizza, in realtà, una reiterata negligenza (p. 5 della decisione del Tribunale); non senza considerare che - si è ulteriormente sottolineato - «il manuale d'istruzioni d'uso e manutenzione della pressa specificava che, nel caso fosse installato uno stampo diverso da quelli prodotti dalla ditta costruttrice della pressa stessa, dovevano essere seguite le indicazioni specifiche dettate dal costruttore dello stampo» e che la società F.A.B. non ha nemmeno indicato chi fosse il cliente che aveva fornito quello stampo (p. 4 della sentenza del Tribunale). Mentre la giustificazione imperniata sul ritardo nel controllo da parte dello S.P.I.S.A.L. è stata disattesa per ritenuta implausibilità (p. V della sentenza impugnata), essendo riapparso il pezzo molto tempo dopo e non essendo stato messo a disposizione delle investigazioni di parte pubblica (pp. 5-6 della sentenza del Tribunale), pretendendo, in ultima analisi, l'imputato di essere creduto "sulla parola" (p. VI della decisione di secondo grado).
Nessuna inversione dell'onere della prova, dunque, ma l'emersione invece di una prova logica circa l'utilizzo di stampi difformi da quelli prodotti dal costruttore della pressa (macchinario, di per sé, pienamente in regola) e di cui non si sa nulla (p. VI della sentenza impugnata).
Malgrado i dipendenti V.B. ed A.B. abbiano dichiarato di avere preventivamente controllato con attenzione il pezzo da installare sul macchinario, come facevano sempre (p. 5 della sentenza di primo grado), la insufficienza di tale prassi operativa è stata ritenuta dai giudici di merito, con implicita evidenza, in concreto insufficiente, anche tenuto conto che lo stesso dipendente V.B. ha ammesso la mancanza di ogni documentazione circa lo stampo (p. VIII della sentenza impugnata).
Né si indicano nel ricorso puntualmente quali disposizioni specifiche di legge gli ispettori della A.S.L., che in sostanza hanno solo eseguito un accesso nell'azienda e riferito in udienza, nel contraddittorio delle parti, su quanto constatato di persona, avrebbero violato, anche tenuto conto della estrema genericità del motivi di appello a suo tempo svolto sul punto (motivo n. 5, p. 12 dell'impugnazione di merito).
Pur essendo, infine, rimaste incerte le cause del distacco dello stampo (originaria strutturazione imperfetta, difetto nel fissaggio, altro), per mancanza dell'oggetto da esaminare, mancanza che si è ritenuta addebitabile all'imprenditore, non è rimasta incerta però, ciò che qui rileva, la dinamica dell'infortunio (distacco di una parte dello stampo e precipitazione sulla mano della lavoratrice: pp. IV-V della sentenza impugnata e 3 di quella del Tribunale).
Sicché, come si vede, i giudici di merito hanno, in realtà, fornito risposta - che non risulta né incongrua né illogica - a tutte le questioni sollevate con i motivi nell'interesse dell'imputato e con il primo svolto nell'interesse dell'ente.
2.2. Anche le questioni poste con il secondo ed il terzo motivo di ricorso nell'interesse della società F.A.B. sono infondate.
Il vantaggio dell'ente è stato - non illogicamente - desunto dalla maggiore velocità nella realizzazione degli oggetti in alluminio (v. p. VII della decisione impugnata e penultima pagina dalla sentenza del Tribunale) e del prodotto modello organizzativo si è, in realtà, tenuto conto da parte dei giudici di merito: infatti, in relazione alla doglianza svolta con l'ultimo motivo, che richiama il terzo motivo di appello, le considerazioni svolte in precedenza circa l'an della responsabilità della persona fisica escludono logicamente la previgenza di un modello organizzativo idoneo e conforme a quanto previsto dall'art. 6 del d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, mentre l'essersi la società poi «dotata di un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi» è stato in effetti considerato, al fine della concreta modulazione della pena, dalla sentenza di primo grado (v. prima e penultima pagina della stessa).
3. Consegue da tutte le considerazioni svolte il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 31/01/2019