Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 marzo 2019, n. 7175 - Parziale esclusione del credito insinuato relativamente alla domanda risarcitoria per danno differenziale a seguito di infortunio


 

Presidente: NOBILE VITTORIO Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI Data pubblicazione: 13/03/2019

 

 

Rilevato
che con decreto del 23 novembre 2016, il Tribunale di Varese dichiarava inammissibile l'opposizione proposta, ai sensi dell'art. 98 L. fall., da M.A.H. avverso lo stato passivo del Fallimento G.C.per la parziale esclusione del credito insinuato, limitatamente alla domanda risarcitoria di € 55.839,21 per danno differenziale a seguito dell'infortunio sul lavoro del 27 aprile 2007, in quanto formulata come condanna del fallimento al pagamento di una tale somma e non come ammissione allo stato passivo fallimentare;
che avverso tale decreto il lavoratore ricorreva per cassazione con unico motivo, mentre la curatela fallimentare intimata non svolgeva difese; il P.G. comunicava le sue conclusioni scritte a norma dell'art. 380bis c.p.c.;
 

 

Considerato
che il ricorrente deduce violazione degli artt. 112 c.p.c. e 1367 c.c., per la non corrispondenza della pronuncia, sotto il profilo della sua omissione, alla domanda per effetto di una sua erronea interpretazione, dovendo essere intesa, alla luce del chiaro tenore della sua formulazione (in esito alla parziale esclusione dallo stato passivo del fallimento, cui aveva tempestivamente insinuato il proprio credito) e della significativa richiesta di privilegio ai sensi dell'art. 2751bis n. 1 c.c., come espressiva della volontà di partecipare al concorso e non di ottenere una condanna del fallimento, frutto di evidente refuso (unico motivo); che il collegio ritiene che il motivo sia inammissibile;
che la censura del ricorrente, attraverso la deduzione di un vizio di omessa pronuncia (in realtà insussistente, perchè in effetti il Tribunale una pronuncia, sia pure di inammissibilità, ha reso), consiste nell'esplicita richiesta di una diversa interpretazione della domanda formulata, diversa da quella data dal giudice di merito; che nel giudizio di legittimità, deve essere tenuta distinta l'ipotesi in cui si lamenti l'omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l'interpretazione che ne abbia dato il giudice del merito: nel primo caso, infatti, si verte in tema di violazione dell'articolo 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale per la soluzione 
del quale la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere all'esame diretto degli atti, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta; nel secondo, invece, poiché l'interpretazione della domanda e l'individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass. 7 luglio 2006, n. 15603; Cass. 18 maggio 2012, n. 7932; Cass. 21 dicembre 2017, n. 30684);
che, infatti, l'interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente statuito sulla domanda avanzata, ancorché in ipotesi erroneamente, il suddetto difetto non è logicamente verificabile prima di avere accertato l'erroneità della relativa motivazione, sicché l'errore può concretizzare solo una carenza nell'interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio motivazionale (Cass. 18 aprile 2006, n. 8953; Cass. 5 febbraio 2014, n. 2630; Cass. 27 ottobre 2015, n. 21874: tutte in riferimento ad ipotesi di censura per ultrapetizione);
che un tale sindacato è oggi tanto più limitato, per effetto della novellazione del testo dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. che ne ha rigorosamente circoscritto l'ambito all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); sicché la rilevanza del vizio di motivazione deve essere interpretata come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità, ossia alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento alla previsione dell'art. 132, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per "mancanza della motivazione"; ed essa si configura quando la motivazione manchi del tutto (nel senso che alla premessa dell'oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segua l'enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione) ovvero esista solo formalmente come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);
che neppure ricorre un'ipotesi di nullità della sentenza, per effetto di error in procedendo, tale da consentire il sindacato di questa Corte, senza violare il richiamato principio di riserva al giudice di merito dell'interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti, siccome integrante un giudizio di fatto (Cass. 8 agosto 2003, n. 12022; Cass. 11 luglio 2007, n. 15496; Cass. 25 ottobre 2017, n. 25259); che pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza assunzione di alcun provvedimento sulle spese di giudizio, non avendo la curatela fallimentare intimata svolto difese;
che ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato come da dispositivo;
 

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
Così deciso nella Adunanza camerale del 17 gennaio 2019